Verità e bugie sull’allattamento al seno
Pubblicato
3 anni fa
Noemi Zucchi
Consulente alla pari in Allattamento e Dottoressa in Comunicazione
I falsi miti che complicano la vita alle mamme
Sull’allattamento al seno esiste una serie pressoché infinita di credenze che nel tempo si sono diffuse e radicate nell’immaginario collettivo ma non trovano riscontro nella realtà.
Ogni neomamma si è sicuramente scontrata con qualcuno di questi pregiudizi, riportati da altre mamme, suocere, semplici conoscenti - si sa che quando nasce un bambino chiunque ci circondi si senta in dovere di illuminarci con la sua estrema competenza! - ma anche, purtroppo, da alcuni operatori del settore che, in realtà, non hanno una formazione specifica sull’argomento e quindi contribuiscono a perpetuare questi falsi miti.
Sfatiamo i più diffusi.
Alcune donne non sono in grado di produrre latte
Come già ho avuto modo di sottolineare nell'articolo dal titolo "Le soluzioni ai problemi più comuni che si incontrano quando si allatta", il preconcetto in assoluto più diffuso sull’allattamento riguarda la supposta incapacità di tante donne di produrre latte e quindi di provvedere autonomamente all’alimentazione del proprio bambino.
In realtà, le donne che non possono produrre latte sono pochissime (in letteratura si parla di una percentuale che va dal 3 al 5% di quelle che hanno partorito, ma secondo alcuni sarebbero anche meno) e in ogni caso sono affette da patologie specifiche molto rare.
Purtroppo capita invece di frequente che le madri smettano di allattare perché nessuno fornisce loro conoscenze corrette e supporto adeguato.
Imparare ad individuare le informazioni sbagliate che troppo spesso circolano e condizionano le neomamme è il primo passo per evitare che ciò accada.
Il latte materno può essere poco nutriente
Un’altra "fakenews" molto popolare è quella secondo la quale il latte prodotto da una donna potrebbe non essere sufficientemente sostanzioso per il proprio bambino. Ovviamente questo non può accadere, così come non accade agli altri mammiferi. Non ci verrebbe nemmeno in mente di pensare che una mucca possa produrre latte poco nutriente per i propri vitelli, o una gatta per i propri cuccioli, eppure tante donne si sono sentite giudicate (perché alla fine è così che si sentono: giudicate!) perché il loro latte sarebbe "annacquato".
A meno che non ci siano problemi di grave denutrizione nella madre - situazione rarissima nella società moderna occidentale - il latte che è in grado di produrre è perfettamente adeguato alle necessità del suo bambino.
La sua composizione varia nel tempo, addirittura nell’arco dello stesso giorno e della stessa poppata, oltre che in base ad alcune condizioni specifiche (ad esempio se mamma o figlio sono ammalati), ma non diventa mai poco sostanzioso, nemmeno quando il neonato cresce e comincia a mangiare anche altro.
Addirittura dopo l’anno di vita si arricchisce di alcune sostanze perché il bambino più grandicello, che comincia a camminare ed esplorare il mondo, ha evidentemente bisogno di nutrienti diversi.
Ne ho parlato diffusamente in un approfondimento dedicato, dal titolo "Il latte materno, un alimento 'vivo' che cambia nel tempo".
Il seno va preparato all’allattamento durante la gravidanza
Spesso alle donne viene suggerito di preparare il seno all’allattamento già durante la gravidanza, facendo particolari massaggi, sfregando i capezzoli o applicando diverse sostanze.
In realtà non è assolutamente necessario: il corpo femminile è già perfettamente attrezzato a svolgere quella che è una funzione fisiologica, assolutamente normale.
Nel corso della gravidanza, le ghiandole di Montgomery, presenti sull’areola, cominciano a secernere sostanze grasse grazie alle quali la pelle del seno viene protetta e idratata. Nel momento del parto, poi, saranno gli ormoni (soprattutto prolattina e ossitocina) a compiere la magia e ad avviare la produzione di latte.
Un seno piccolo non è in grado di produrre molto latte
E’ abbastanza comune pensare che chi ha il seno piccolo non sia in grado di allattare in maniera esclusiva (vale a dire senza l’aggiunta di latte artificiale). In realtà la taglia e la forma del seno non sono in alcun modo in relazione con la produzione, la disponibilità e l’immagazzinamento del latte perché buona parte della mammella, soprattutto se di grandi dimensioni, è costituita da grasso e tessuto connettivo di sostegno che non sono coinvolti nei processi interessati.
Anche le donne che hanno i capezzoli piatti o introversi sono perfettamente capaci di allattare, dal momento che un attacco corretto prevede che il bambino non si limiti a succhiare il capezzolo ma riesca ad aprire bene la bocca per contenere una buona porzione dell’areola.
Allattare provoca dolore
Attaccare il bambino al seno non dovrebbe mai fare male.
All’inizio si può avvertire un leggero fastidio, ma questa sensazione dovrebbe rimanere tollerabile e mai trasformarsi in sofferenza vera e propria.
Se la mamma avverte dolore, significa che il bambino non si è attaccato correttamente, per cui occorre controllare la posizione del suo corpo e quella della sua bocca.
Ne ho già parlato in maniera più approfondita nel mio articolo dal titolo "Allattamento al seno. 10 Consigli per cominciare al meglio".
Il bambino deve mangiare ad orari
L’idea secondo la quale le poppate devono essere distanziate e magari seguire uno schema ad orari precisi è legata alla diffusione che negli ultimi decenni ha avuto l’allattamento con latte in polvere, la cui digestione richiede effettivamente alcune ore.
Il latte materno viene invece assimilato molto rapidamente, soprattutto grazie agli enzimi in esso contenuto, per cui un neonato può chiedere di poppare anche 10 o 12 volte al giorno.
Soprattutto nelle prime settimane in cui la produzione del latte deve essere avviata e calibrata, è anzi fondamentale che il bambino venga attaccato al seno ogni volta che vuole, perché è proprio questa sua frequente richiesta che consente l’avviamento corretto dell’allattamento.
Anche di questo ho già parlato nel mio articolo "Allattamento al seno. 10 consigli per cominciare al meglio".
Allattare fa ingrassare
Al contrario, dopo il parto, la madre che allatta perde più facilmente e più rapidamente i chili acquisiti durante la gravidanza, in quanto parte delle riserve di grasso accumulate servono proprio alla produzione di latte.
Quando si allatta bisogna mangiare per due
Secondo le ultime tabelle LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti), una donna che allatta ha bisogno di circa 700 Kcal in più al giorno e 21 grammi di proteine aggiuntive (1). Una parte di questo fabbisogno, però, viene sopperito dai depositi di grasso naturalmente accumulati durante la gravidanza, per cui non è assolutamente necessario mangiare “per due persone”: sarà sufficiente che la donna che allatta assecondi il proprio senso di fame e aumenti un po’ le quantità delle sue porzioni, sempre stando attenta ad avere un’alimentazione sana ed equilibrata.
E’ evidente che, se alla mamma viene detto di mangiare il doppio rispetto alle sue esigenze, finirà effettivamente ed inesorabilmente per ingrassare.
Mentre si allatta bisogna evitare alcuni cibi
Questa è una delle credenze assolutamente più diffuse. Molto spesso, infatti, si sente dire che verdure come la cipolla, l’aglio, i cavolfiori piuttosto che i broccoli, i legumi, oppure le spezie e gli alimenti piccanti vadano evitati. In realtà, non esistono cibi sconsigliati o da cui tenersi assolutamente alla larga. L’importante è che la mamma abbia una dieta equilibrata e varia, ricca di acqua, verdura, frutta e cereali, che fra l’altro sono indicazioni valide per tutti, in ogni fase della vita.
È vero che ciò che mangia la mamma determina il sapore del latte, ma si tratta di un intelligente stratagemma messo a punto dalla natura per fare in modo che il neonato, che fra l’altro aveva già cominciato a percepire i sapori della dieta materna attraverso l’ingestione del liquido amniotico, accetti di buon grado i gusti della cucina di famiglia una volta che inizia lo svezzamento.
Anche i cibi considerati "allergizzanti" (latte, uova, frutta secca) non vanno esclusi dall’alimentazione. Al contrario, le società scientifiche di allergologia pediatrica raccomandano alle madri che hanno una storia familiare di allergie di continuare ad assumerli perché, così facendo, si aiuta il neonato a sviluppare una tolleranza verso quel particolare alimento e si riduce la gravità dell’eventuale manifestazione allergica.
Sicuramente vanno invece limitati la caffeina, in quanto stimola la produzione di adrenalina che finisce nel latte materno e può provocare insonnia e irritabilità nel bambino (2), e gli alcolici, perché l’alcol passa direttamente dal sangue al latte e il bambino non è in grado di metabolizzarlo per cui potrebbe avere conseguenze importanti (3).
Alcuni alimenti aiutano a incrementare la produzione di latte
Così come non esistono cibi da evitare, non esistono nemmeno alimenti raccomandati: nessuno in particolare, infatti, ha la capacità di far aumentare la produzione di latte (nemmeno la birra!).
Persino le erbe officinali che hanno un effetto galattogeno (galega, fieno greco, finocchio, cardo, anice, cumino, agnocasto e altri) non sono così determinanti come alcune aziende che commercializzano preparati vari vorrebbero far credere. Non esistono studi che dimostrino la loro efficacia, soprattutto se assunte in quantità ridotte come quelle contenute, ad esempio, nelle tisane.
I bambini che vengono allattati al seno sviluppano un rapporto morboso con la madre
I neonati hanno bisogno di contatto: per loro non è un capriccio o un vizio, ma una necessità primaria che deve essere soddisfatta. Tenerli in braccio è quasi più importante che dare loro da mangiare e cambiarli.
Il latte materno è l’alimento che la natura ha selezionato in migliaia di anni di evoluzione per consentire ai cuccioli d’uomo di nutrirsi e diventare grandi, e la modalità di somministrazione che ha previsto (il seno della mamma) consente di fornire al neonato tutto ciò di cui ha bisogno: nutrimento e contatto, le sostanze che gli permettono di crescere in salute e la certezza della presenza di qualcuno che si occupa di lui.
Un giorno quel bambino abbandonerà quelle braccia e se ne andrà per il mondo sulle sue gambe, e lo farà con la sicurezza e la fiducia in sé stesso di chi ha ricevuto le attenzioni di cui aveva bisogno quando era piccolo.
Ne ho parlato diffusamente nei miei articoli intitolati "Pelle a pelle. Così nasce un legame" e "Bambini ad alto contatto. Capricci o reali esigenze?".
Se allatti per più di un anno risulta più complicato smettere
Secondo le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, fino ad un anno di vita il latte materno dovrebbe essere l’alimento maggiormente presente nella dieta di un bambino e l’allattamento dovrebbe proseguire almeno fino ai due anni e anche oltre, se mamma e bambino lo desiderano (4).
La decisione di interromperlo dovrebbe essere ben ponderata, e in ogni caso l’abbandono del seno dovrebbe essere graduale (ovviamente quando è possibile).
Il fatto che il bambino non sia più un neonato non rende più difficile smettere di allattarlo, anzi: potrebbe anche risultare più facile. E’ più semplice parlare con un bimbo di due anni cercando di spiegargli che la mamma è stanca e pian piano non gli darà più il latte dal seno perché sta diventando grande che farlo con uno di sette o otto mesi, magari quando si sveglia urlando nel cuore della notte! E’ sicuramente più facile distrarre un bimbo grandino con una passeggiata al parco, un gioco coinvolgente o una merenda alternativa che tentare di distogliere uno di pochi mesi dalla sua necessità impellente di latte e coccole.
Durante l’allattamento non si può fare sport
L’attività fisica è una pratica consigliata a qualsiasi età perché aiuta a rimanere in forma e in salute: è così anche per le donne che allattano.
Già due o tre settimane dopo il parto (4 o 5 in caso di cesareo) si può cominciare a fare movimento, partendo ovviamente da qualcosa di poco impegnativo e che non solleciti direttamente il pavimento pelvico, a seconda anche del proprio livello di allenamento.
Anche una semplice camminata di un quarto d’ora può essere un ottimo modo per rimettersi in forma e riacquistare il buon umore, per poi passare gradualmente ad esercizi più complessi.
Un’attività molto intensa potrebbe provocare la produzione di acido lattico, una sostanza che assolutamente non è tossica ed è già presente nell’intestino del bambino. Finendo nel latte materno non ne altera la composizione e la quantità, ma il sapore, quindi può accadere che il poppante rifiuti il seno nelle ore successive ad uno sforzo fisico prolungato e vigoroso. Anche per questo è importante procedere con gradualità e sempre, ovviamente, rispettando il proprio corpo e le proprie sensazioni.
Non si dovrebbe allattare quando si è malate
Durante una malattia, salvo casi particolari e molto rari, una madre può continuare ad allattare, con l’accortezza di riposarsi e nutrirsi a sufficienza per facilitare il processo di guarigione.
Fra l’altro, gli anticorpi specifici che il suo corpo produce per contrastare virus o batteri passano direttamente al bambino tramite il latte, per cui le sue difese immunitarie non vengono compromesse ma anzi rafforzate.
Con la mastite bisogna smettere di allattare
La mastite è un’infiammazione del seno provocata da un mancato svuotamento dei dotti lattiferi e dal successivo ristagno di liquidi.
Si tratta di una manifestazione dolorosa e che spesso rende difficoltoso l'allattamento, sia perché il bambino fa fatica ad attaccarsi al seno che diventa tipicamente molto turgido, sia perché il latte esce a fatica.
Se vi è una proliferazione di batteri, si può creare una vera e propria infezione, per la quale può essere necessario - ovviamente su indicazione del medico - assumere antibiotici o addirittura, nella peggiore delle ipotesi, praticare un’incisione per drenare l'area interessata.
Anche in questi casi estremi è possibile continuare ad allattare, mettendo in atto tutte le azioni che consentono di diminuire l'infiammazione, ammorbidire il seno e assicurarsi che il latte possa fluire dai dotti.
Ne ho parlato diffusamente nell'articolo "Le soluzioni ai problemi più comuni che si incontrano quando si allatta".
Durante l’allattamento non è possibile prendere nessun farmaco
Accade molto spesso che ad una mamma che deve assumere farmaci venga imposto di interrompere l’allattamento. Non sempre i medici hanno a disposizione informazioni corrette e aggiornate: in realtà sono pochissimi i farmaci del tutto incompatibili con l’allattamento.
Sul web esistono alcune risorse gratuite che possono essere consultate dalle stesse mamme, oltre che dagli operatori del settore, e che vengono costantemente aggiornate per fornire indicazioni esatte sui principi attivi dei farmaci e su sostanze chimiche a cui può essere esposta una mamma che allatta.
Ad esempio è possibile interpellare LactMed, della U.S. National Library of Medicine, oppure e-lactancia, a cura dell’Academy of Breastfeeding Medicine, statunitense anch’essa.
In Italia esiste un servizio simile, seppur meno immediato ed intuitivo, promosso dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Bergamo.
Quando si riceve una diagnosi per cui è necessario sottoporsi ad una terapia, è sempre opportuno consultare queste fonti e indagare se i farmaci prescritti sono compatibili con l’allattamento. Spesso i ricercatori del Mario Negri sono anche in grado di fornire eventuali alternative, in modo da non dover rinunciare né alla cura né all’allattamento.
Se si lavora bisogna smettere di allattare
Moltissime persone ritengono che sia impossibile, per le madri che lavorano, allattare un bambino, e che, di conseguenza, l’allattamento sia uno dei tanti ostacoli alla carriera lavorativa delle donne.
Si potrebbero scrivere un libro intero - o forse più libri… - sulle difficoltà che le lavoratrici incontrano sul loro cammino, ma, se non altro, potremmo del tutto eliminare il capitolo che riguarda questo.
Sono tante le madri che continuano ad allattare dopo essere tornate al lavoro, anche quando i loro bimbi sono piccini.
È importante innanzitutto sapere che esistono delle leggi a favore della genitorialità e che il datore di lavoro non può negare alcuni diritti riconosciuti, come quello che prevede che, fino al compimento dell’anno del bambino, la madre o il padre possano avere un orario ridotto (appunto i cosiddetti "permessi allattamento").
A seconda dei luoghi e dei ritmi di lavoro, una donna potrebbe chiedere di fare delle pause per tornare a casa a nutrire il proprio bambino, oppure farselo portare, o ancora tirarsi il latte e conservarlo.
Se non le è possibile, per qualsiasi motivo, allattare durante la giornata lavorativa, a casa può trovare il tempo di togliersi il latte in modo che possa essere somministrato al bimbo col biberon da chi si prende cura di lui.
Non è semplicissimo, richiede soprattutto organizzazione, ma non è certo impossibile.
Ne abbiamo parlato con la scrittrice e giornalista esperta di salute di mamma e bambino Giorgia Cozza, durante un'intervista riportata nell'articolo dal titolo Allattare e Lavorare Si Può.
Allattare durante una gravidanza mette a rischio il feto
Spesso, se una donna rimane nuovamente incinta mentre ancora allatta, le viene data l’indicazione di interrompere immediatamente l’allattamento al seno, ritenendo che questo possa avere un’influenza negativa sullo stato nutrizionale e sulla salute della donna, ma soprattutto sul feto.
In realtà la letteratura scientifica che abbiamo a disposizione ha dimostrato che allattare in gravidanza non provoca un innalzamento del rischio di aborto. E’ vero che allattare stimola contrazioni uterine dovute alla presenza nel corpo della madre di ossitocina, ma, in presenza di una gravidanza fisiologica, in cui non esistano rischi, non rappresentano un problema (anche avere rapporti sessuali induce contrazioni, ma in condizioni normali non sono vietati).
Nei paesi occidentali, inoltre, dove le donne sono generalmente sane e ben nutrite, non vi è nemmeno un aumento del rischio di ritardo di crescita intrauterino, né di carenze nella madre (6).
Per approfondire puoi leggere…
Note bibliografiche
(1) Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), IV Revisione dei Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana (LARN), 2014.
(2) Santos IS et al, Maternal caffeine consumption and infant nighttime waking: prospective cohort study, Pediatrics, 2012 May; 129(5):860-8.
Nehlig A, Debry G, Consequences on the newborn of chronic maternal consumption of coffee during gestation and lactation: a review, Journal of the American College of Nutrition, 1994 Feb; 13(1):6-21.
(3) Center of Disease Control and Prevention, Is it safe for mothers to breastfeed their infant if they have consumed alcohol?, 2021 Feb.
La Leche League International, Drinking Alcohol and Breastfeeding, 2021 Mar.
Maija Bruun Haastrup et al, Alcohol and Breastfeeding, Basic & Clinical Pharmacology & Toxicology, 2013 Oct.
Arthur I et al, Breastfeeding and the Use of Human Milk, American Academy of Pediatrics, 2012 Mar.
(4) Ministero della Salute, Latte materno, istruzioni per l'uso, 2021 Mag.
Organizzazione Mondiale della Sanità, Breastfeeding. Recommendations.
(6) Ministero della Salute, Allattamento al seno durante la gravidanza. Raccomandazioni della Società Italiana di Medicina Perinatale (SIMP) e del Tavolo Tecnico Operativo Interdisciplinare per la Promozione dell’Allattamento al Seno del Ministero della Salute.
La Leche League Italia, Allattamento in tandem: allattare durante la gravidanza.