Bambini ad alto contatto. Capricci o reali esigenze?
Pubblicato
3 anni fa
Noemi Zucchi
Consulente alla pari in Allattamento e Dottoressa in Comunicazione
La difficoltà di essere un neonato in una società che ti vuole indipendente fin dalla nascita.
Il tuo bambino vuole stare sempre in braccio? Piange se provi a farlo dormire nel suo lettino o in carrozzina? Pretende di attaccarsi continuamente al seno?
Sicuramente penserai di aver fatto qualcosa di sbagliato, di essere una mamma incapace – se ancora non lo hai scoperto, i sensi di colpa tormentano i genitori in ogni fase di vita dei loro figli, qualsiasi cosa facciano – anche perché probabilmente qualcuno intorno a te lo avrà già definito un neonato “difficile”, o addirittura "capriccioso".
Probabilmente in realtà il tuo è un bambino “ad alta richiesta”, o, molto semplicemente, un normalissimo bambino con dei bisogni reali che esprime in maniera intensa.
Bambini idealizzati
Proprio come gli adulti, anche i bambini, fin da piccolissimi, hanno un carattere ben definito, per cui non tutti si comportano allo stesso modo o hanno reazioni simili.
Le immagini delle riviste patinate, le pubblicità, ma anche la scarsa abitudine a frequentare famiglie con neonati tipica della nostra società formata da nuclei separati e distanti, ci hanno portato a credere che un lattante possa stare tranquillo in carrozzina per ore o si addormenti da solo nel proprio lettino, magari ammaliato dal suono di un carillon o stregato da una giostrina che gira.
Probabilmente qualche bambino dal temperamento particolarmente tranquillo si comporta davvero in questo modo, ma nella gran parte dei casi queste fantasticherie sono destinate a scontrarsi contro una realtà ben diversa, nella quotidianità dei neogenitori.
Se il tuo bambino vuole sempre stare in braccio, chiede continuamente di poppare, pretende di averti sempre vicino, si sveglia in continuazione, piange disperato ogni volta che avverte una necessità, è agitato, appare spesso insoddisfatto, probabilmente sei la fortunata mamma di quello che il pediatra americano William Sears ha definito un “bambino ad alta richiesta”, vale a dire un bambino che ha molto chiare le proprie necessità e che ha trovato una maniera molto efficace di comunicarle.
Vizio o necessità?
A differenza di quanto accade in gran parte del mondo animale, l’essere umano mette al mondo cuccioli che non sono immediatamente autonomi, ma anzi hanno il costante bisogno di una figura adulta di riferimento per essere nutriti, accuditi, rassicurati. Se reclamano cibo o attenzioni non è perché sono “viziati”, ma perché effettivamente avvertono un disagio e sentono l’urgenza di risolverlo.
Il Dr.Carlos Gonzales spiega in maniera molto lucida e chiara, nel suo bestseller Besame mucho – una vera e propria pietra miliare sui temi legati alla genitorialità – che un neonato usa il pianto come strumento per richiamare l’attenzione dei genitori e che questo comportamento, frutto della selezione naturale nei millenni di evoluzione che ci hanno portato ad oggi, è effettivamente funzionale alla sua sopravvivenza, in quanto consente a chi si prende cura di lui di accorrere immediatamente e provvedere a portargli sollievo (1).
Non è un caso che i bambini appaiano subito disperati quando avvertono un bisogno! In un passato che a noi appare molto lontano ma che dal punto di vista evoluzionistico non è poi così distante da noi, piangere sommessamente avrebbe potuto voler dire essere sbranati da un predatore! Senza contare che nei primi mesi di vita, i neonati non sono dotati di veri e propri pensieri razionali, ma agiscono sulla base di sensazioni istintive ed emozioni impulsive, immediate e prorompenti (2).
Non dobbiamo dimenticare che, dopo essere stato per nove mesi nella pancia della mamma, un cucciolo di uomo viene alla luce e si trova improvvisamente privato del suo “contenitore”: tutta la sua esistenza, fino a quel momento, si è svolta in uno spazio molto raccolto, caldo, in cui ogni centimetro della sua pelle era a contatto col corpo della madre e in cui ha potuto ascoltare continuamente il battito del suo cuore e tutti gli altri rumori delle sue funzioni vitali. In questo senso, nascere può diventare un vero e proprio evento traumatico, se non avviene nel rispetto delle sue necessità, che non si esauriscono certo in sala parto o nelle ore immediatamente successive ad esso ma perdurano ancora per molti mesi e anni.
Ho già trattato questo argomento nei miei articoli sull'importanza del contatto pelle a pelle e sul massaggio infantile.
È normale che un bambino piccolo voglia stare sempre in braccio, è normale che si svegli spesso, è normale che non voglia essere lasciato solo, è normale che non voglia essere “abbandonato” in un freddo e asettico lettino, è normale che chieda molto spesso di poppare.
Essere toccato, abbracciato, cullato, contenuto lo conforta, lo fa tornare quasi alla condizione cui era abituato stando nella pancia della mamma, gli fa capire che se ha bisogno qualcuno accorre in suo aiuto, che è uscito da un luogo privo di pericoli e accogliente ma che può continuare a sentirsi al sicuro.
Non a caso nelle culture cosiddette “tradizionali”, in cui di solito le madri portano sempre con sé i bambini (ad esempio attraverso l’uso di fasce) e rispondono in maniera sollecita alle loro richieste, il fenomeno dei “bambini ad alto bisogno” non viene percepito, in pratica non esiste (3).
Essere genitori consapevoli
La comprensione da parte dell’adulto di riferimento di questo lungo processo che porterà il bambino verso l’indipendenza è importante perché consente di non vivere con fatica, insofferenza o sensazione di fallimento le sue richieste di attenzione, che spesso sono causa di frustrazione, sconforto e angoscia nel genitore, che si sente incapace di capire e consolare il proprio cucciolo.
Al contrario di quanto possa apparire, avere a che fare con un bambino ad alta richiesta, una volta che si sono compresi i motivi del suo comportamento, è una straordinaria opportunità per imparare a interpretare i suoi segnali e a modulare delle risposte efficaci (doti che sono utili con un neonato ma probabilmente lo saranno ancora di più negli anni a venire!).
Se le sue richieste di attenzione vengono esaudite, il bambino pian piano capirà che è in grado di fare delle cose da solo, che ci sarà sempre qualcuno che accorrerà se ha bisogno, e potrà diventare davvero autonomo e sicuro di sé. Imparerà a fare affidamento sulle proprie risorse comunicative e ad avere fiducia nel prossimo, perché ha potuto sperimentare, nei primi, decisivi anni della propria vita, che chiedendo conforto e rassicurazione riceve una risposta solerte ed empatica e sarà a sua volta portato a replicare questo comportamento nella sua vita adulta.
Per approfondire puoi leggere...
Note Bibliografiche
1 Carlos Gonzales, Besame Mucho, Coleman Editore, 2005.
2 Anna Ferraris e Alberto Oliverio, Fondamenti di psicologia dello sviluppo, Zanichelli, 2002.
3 Per approfondire questi temi puoi consultare:
Ann Cale Kruger e Melvin Konner, Who Responds to Crying?, Human Nature, 21:309–329, 2010, DOI 10.1007/s12110-010-9095-z.
Ronald G Barr, Melvin Konner, Roger Bakeman, and Lauren B. Adamson, Crying in !Kung San infants: A Test of the Cultural Specificity Hypothesis, Developmental Medicine and Child Neurology 33:601-10, 1991.
Meredith F.Small, Our babies, ourselves. How Biology and culture shape the way we parent, Anchor Books, 1999
Niala JC, Why African Babies Don't Cry, Natural Child.