Come la lentezza ti rende più felice e produttivo
Pubblicato
2 giorni fa
Luca Gonzatto
Autore e divulgatore sui temi della consapevolezza e della meditazione
Piccoli gesti semplici che cambiano la qualità delle nostre giornate
Hai presente quella sensazione di tornare dalle vacanze con la promessa solenne di essere più calmo, più centrato, magari persino illuminato, ma dopo due giorni sei già sommerso da mail, call infinite e la lavatrice che lampeggia come fosse un countdown nucleare? Ecco, questo per molti è settembre.
Non è un caso se il 76% dei lavoratori italiani dichiara di aver sperimentato sintomi da burnout e se la nostra soglia di attenzione è crollata da 2,5 minuti nel 2004 a soli 47 secondi oggi (Gloria Mark, University of California).
In pratica, ripartiamo già come un cellulare carico al 13%.
La domanda allora è: siamo davvero noi a guidare il tempo o è il tempo che guida noi?
E se la chiave non fosse fare di più o fare meno, ma recuperare un super potere dimenticato?
Quel super potere ha un nome semplice, che a me fino a qualche anno fa dava letteralmente l’orticaria: lentezza.
Una vita in apnea
Viviamo in una società iper-produttiva, iper-connessa e, sulla carta, iper-intelligente. Tutto ciò che non è veloce, efficiente, ottimizzato sembra inutile.
E allora viene spontaneo chiedersi: quando avremo delegato allo smartphone lo scrivere, il parlare, perfino il ragionare, cosa resterà davvero di noi?
In un tempo sempre più frenetico, riappropriarci della nostra vita è il miglior investimento possibile. Perché più corriamo, più la nostra relazione con il tempo diventa ansiogena. È come se avessimo confuso l’efficienza con la felicità.
Il risultato? Una vita in apnea, sempre con la sensazione di essere in ritardo, anche quando siamo perfettamente in orario.
Un’apnea che non nasce dal correre fisico, ma da quella più subdola: l’apnea da schermo. Ore passate a trattenere il respiro davanti a notifiche, mail e chat, con il corpo immobile e gli occhi incollati a una luce artificiale che ci svuota più di una maratona.
La ricercatrice Linda Stone, ex dirigente Apple e Microsoft, ha osservato che circa l’80% delle persone interrompe o riduce il respiro quando legge o scrive messaggi digitali. In questo modo il corpo entra in “modalità emergenza”: cortisolo e adrenalina salgono, il cuore accelera, il sistema nervoso va in stress.
Uno studio di Stanford lo ha confermato: questo schema respiratorio porta a stanchezza, calo di concentrazione e disturbi del sonno. In pratica, lo schermo ci toglie ossigeno senza che ce ne accorgiamo.
E allora riscoprire la lentezza diventa non un lusso, ma un vero atto di igiene mentale e fisiologica.
Una lumaca sotto la pioggia
Io la lentezza l’ho riscoperta a modo mio, dopo un burnout che mi ha capovolto la vita come un calzino.
Un giorno di pioggia sono uscito a camminare, senza un motivo preciso, e lì, tra le pozzanghere, ho visto una lumaca. E ne sono rimasto incantato.
In quel piccolo corpo fragile ho sentito uno specchio: anche noi nasciamo dalla lentezza.
Ogni cosa in natura ha un suo tempo. Solo noi, con la nostra arroganza da cronometro, abbiamo deciso che correre sempre sia l’unica via. Eppure questa ossessione ha impattato su tutto ciò che ci circonda. Il mantra della velocità è diventato economia: fast food, fast fashion, fast delivery, fast guarigione, fast ogni cosa. Il prezzo di tutto questo è sotto gli occhi di tutti.
E allora viene da chiedersi: se alberi, stagioni e maree seguono un tempo organico, cosa ci fa credere di poter vivere sempre in accelerazione senza pagarne il prezzo?
Forse allora, non è la lentezza a spaventarci, è il vuoto che porta con sé. Perché nel silenzio, nel tempo che si dilata, non possiamo più nasconderci dietro le notifiche o i “devo”.
Restiamo soli con noi stessi. Perché il vero viaggio non accade quando corriamo. Ma quando finalmente ci fermiamo.
Esercizi di lentezza
Introdurre momenti di lentezza non significa diventare bradipi da divano. Non significa rinunciare alla carriera. Significa scegliere.
Ed ho imparato che basta davvero poco: cinque minuti di lentezza ogni giorno possono cambiare la qualità di tutto il resto. Perché il “giusto tempo” non è misurato dall’orologio, ma da come lo abiti.
La domanda è: come allenarla senza stravolgere la vita? Non ti dirò di mollare tutto e coltivare bonsai in Tibet.
Si tratta piuttosto di esercizi di lentezza che già ci appartengono, ma che spesso dimentichiamo.
La meditazione aiuta molto: 3, 5, 8, 13 minuti come consiglio in Chi si ferma si ritrova (lo puoi trovare qui) e come confermano molti studi scientifici. Non importa la durata, ma la costanza. Quei pochi minuti ti allenano a spegnere il pilota automatico e ad accorgerti che sei vivo, qui, ora.
Ma non è l’unica via. Puoi scegliere un’azione quotidiana, una qualunque, e anziché farla a velocità raddoppiata, dimezzala. Ad esempio:
- Lavare i piatti lentamente, sentendo l’acqua sulle mani.
- Camminare con consapevolezza.
- Fare tre respiri profondi prima di aprire la casella mail.
La nostra mente tenderà a distrarsi, è normale. E quando si distrae il nostro corpo accelera. Accade in meditazione, e anche nella vita. L’arte non sta nell’evitare la distrazione, ma nell’accorgersene e riportarsi al presente. Mille, diecimila volte. Ogni ritorno è un piccolo atto di libertà.
Sono gesti minimi, quasi invisibili. Eppure, ripetuti ogni giorno, diventano rivoluzionari.
Gli ostacoli invisibili
I primi nemici della lentezza non sono il capo, i colleghi o la famiglia. Siamo noi.
La mente, abituata a correre e a performare, vive il fermarsi come una minaccia (d’altronde come potrebbe essere il contrario dato che siamo nati e cresciuti con il detto “chi si ferma è perduto”).
Il punto è che se non ci fermiamo noi, prima o poi sarà il corpo a fermarci. Con un mal di testa che non passa, con insonnie che si accumulano, con un burnout che mette in ginocchio.
Non dimentichiamoci che siamo esseri impermanenti: in fondo, siamo un po’ come yogurt che camminano (biologici, ovviamente), con una data di scadenza.
E allora forse ricordarci il memento mori, “ricordati che devi morire”, non è un esercizio macabro, ma liberatorio. Se tutto finisce, allora la domanda diventa inevitabile:
Cosa merita davvero la mia attenzione oggi? Vale la pena sacrificare giornate intere per rincorrere l’urgenza di qualcun altro? Vale la pena scrollare notizie che dimenticheremo dopo cinque minuti, quando potremmo ascoltare il silenzio o il respiro di chi ci sta accanto?
La buona notizia è che, proprio perché stanno dentro di noi, possiamo osservarli, disinnescarli, trasformarli. Un passo alla volta. Prima che sia troppo tardi perché è vero: chi si ferma, oggi, si ritrova.
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