Non è un paese per mamme
Pubblicato
9 mesi fa
Noemi Zucchi
Consulente alla pari in Allattamento e Dottoressa in Comunicazione
Intervista a Giorgia Cozza su conciliazione fra maternità e lavoro (I parte)
“La nostra non è una società amica delle mamme e dei bambini”. È cominciata con questa affermazione forse un po’ categorica, ma indiscutibilmente realista, la mia intervista a Giorgia Cozza, giornalista e scrittrice che da anni collabora con riviste e siti specializzati occupandosi di gravidanza, allattamento, psicologia, salute della mamma e del bambino.
Nella mia esperienza di consulente alla pari in allattamento materno ho potuto spesso riscontrare che è opinione diffusissima quella per cui le donne che lavorano dovrebbero rinunciare ad allattare il proprio bambino, per cui dopo pochi mesi dal parto sarebbero costrette a scegliere se continuare a farlo oppure rientrare al lavoro.
Da tempo avevo intenzione di trattare questo argomento con Giorgia, che seguo e stimo da anni e che a questo argomento ha dedicato un libro uscito per La Leche League nel 2012 (1). Ho fissato un appuntamento con lei per un’intervista in cui avrei voluto chiederle se davvero sia così - se una mamma che non intende rinunciare alla propria occupazione e alla propria carriera lavorativa debba per forza interrompere l’allattamento - ma, dopo aver scambiato alcune chiacchiere, ci siamo in realtà trovate a condividere considerazioni diverse.
Un problema socio-culturale
Giorgia: Io mi occupo di questo settore da quasi ormai vent'anni ed è da vent'anni che ripeto le stesse e solite cose, che non è un bel segnale, perché significa che non sono stati fatti dei grandi passi in avanti. Basti pensare che, in Italia, la notizia di una futura mamma che riesca a ottenere un posto di lavoro benché dichiari di aspettare un bambino finisce sul Corriere della Sera! Va benissimo, è giusto dare risalto a questo tipo di notizie, ma è ben triste che lo siano, che sia cioè un fatto così unico ed eclatante da doverne parlare sul giornale. Questo, quindi, al di là dell'allattamento, è proprio un problema culturale nei riguardi della donna.
Noemi: Insomma non è il fatto che una donna allatti o meno a rendere le cose più complicate.
Giorgia: Il problema riguarda tutte ed è un problema legato alle leggi esistenti, o meglio ai buchi presenti nella normativa che non tutela le lavoratrici, al di là dell'allattamento.
Quando una mamma - che offra il seno oppure il biberon al proprio bambino - deve tornare al lavoro, a volte dopo poche settimane o comunque dopo pochissimi mesi dal parto, spesso si trova in difficoltà perché sente che non è il momento giusto né per lei né per la sua creatura.
È un problema socio-culturale, al di là di come il neonato viene alimentato: riguarda proprio la relazione tra la madre e il bambino, i bisogni di quel bambino, che evidentemente la società tende a ignorare, e anche le esigenze di una madre, che comunque sta attraversando un momento speciale della sua vita.
Come succede in altre nazioni, ad esempio nel nord Europa, servirebbero delle tutele che permettessero alle donne di scegliere quando e come rientrare al lavoro senza essere penalizzate.
Questo non vuol dire che tutte le donne desiderino la stessa cosa: c'è chi, alcuni mesi dopo il parto, si sente pronta a riprendere la propria attività professionale e si è già ben organizzata, magari anche con una rete di supporto intorno a cui affidare il bambino. C'è invece chi non vorrebbe farlo così presto e dovrebbe quindi avere il diritto di decidere come organizzare la propria vita.
Ci sarebbe poi tutto il capitolo sulle mamme che non sono lavoratrici dipendenti ma libere professioniste, donne che magari hanno un'attività e che mi scrivono di avere ripreso il lavoro poche settimane dopo aver partorito.
Al momento, vista la situazione normativa generale - le leggi che ci sono e quelle che mancano - molte donne non hanno possibilità di scelta.
(Im)possibilità di scelta
Giorgia: Se puoi scegliere, magari lasci il tuo bambino con le normali preoccupazioni del caso, con il normale timore, sai che ti mancherà, però l'hai scelto, quindi ti senti padrona della situazione. Subire le cose, invece, è incredibilmente frustrante. Io, da anni, ricevo messaggi di mamme che stanno soffrendo veramente tanto per questa imposizione, perché subiscono questa prima separazione in un momento in cui non si sentono pronte. Ripeto: si tratta in egual misura di mamme che allattano e di mamme che, per tutta una serie di motivi, danno il biberon dalla prima settimana di vita del proprio bambino. È proprio una situazione che accomuna tutte.
Anni fa alle lavoratrici capitava venisse chiesto di firmare una dimissione in bianco che sarebbe poi diventata effettiva nel momento in cui fosse rimasta incinta, adesso al colloquio ti fanno domande personali, che agli uomini non vengono fatte, come: "Hai intenzione di avere dei figli?”, “Hai dei figli?”, “Sei fidanzata?”, “Sei sposata?". Questo è inaccettabile. È vero che noi ci siamo abituati, per cui ci sembra normale, ma non è normale! Noi dovremmo ancora indignarci ogni volta!
Astronaute e superdonne
Noemi: Mi viene in mente la notizia che di recente ha fatto tanto parlare, quando a Samantha Cristoforetti, in partenza per la sua ultima missione spaziale, hanno chiesto chi si sarebbe occupato dei suoi bambini, che tra l'altro sono piccoli. È incredibile che a una professionista vengano fatte certe domande, a un astronauta uomo non lo avrebbero mai chiesto!
Giorgia: È proprio un modello culturale difficile da sradicare. C'è il famoso detto che recita "le donne in Italia devono lavorare come se non avessero figli e devono curare i figli come se non lavorassero". Siamo quindi veramente penalizzate su entrambi i fronti, perché non abbiamo sufficiente possibilità di scelta, non esistono agevolazioni che ci consentano di occuparci dei nostri bambini come vorremmo.
C'è poi la grande storia del capitolo del part-time: quante mamme hanno chiesto la riduzione dell'orario o un tele-lavoro! Proposte assolutamente compatibili con la loro professione, ma che non sono state accettate. Viceversa, quante donne invece vorrebbero poter procedere nella loro carriera professionale, ma non possono farlo semplicemente perché sono madri e, in quanto tali, si sono viste affibbiare il bollino rosso.
Mamme e lavoratrici competenti
Giorgia: Dobbiamo davvero cambiare mentalità: le donne possono lavorare e accudire la propria famiglia esattamente come gli uomini. Se noi le mettiamo in condizione di farlo, possono essere ottime lavoratrici o scegliere di dedicare un periodo della propria vita alla propria famiglia, senza il terrore di non riuscire poi più a rientrare nel mondo del lavoro.
Peraltro ci sono anche studi che sottolineano che le madri acquisiscono, proprio grazie all’esperienza della maternità, tutta una serie di competenze che poi la rendono ancora più efficiente sul lavoro: la capacità di ottimizzare i tempi, di coordinare, di mettere d'accordo la squadra. Insomma, tutta una serie di capacità acquisite sul campo, dovendosi occupare di un bambino molto piccolo.
Noemi: Mi verrebbe da dire anche la capacità di dare il giusto peso ai problemi e una buona gestione dell’ansia che serve a relativizzarli e risolverli.
Giorgia: Sì, assolutamente! Ecco perché sarebbe importante avere la possibilità di scegliere, e di prendersi - volendo - un periodo per accudire i propri bambini o, viceversa, a seconda delle proprie esigenze e aspirazioni, la possibilità di rientrare nel mondo del lavoro, in ogni caso senza essere discriminate - non solo in quanto madri - ma proprio in quanto donne e quindi potenziali madri. Questa cosa riguarda infatti anche le ragazze più giovani.
Una fase impegnativa
Noemi: Quando una donna rientra al lavoro dopo aver partorito, cosa accade, in base alla tua esperienza?
Giorgia: Ci sono bambini, ad esempio, che durante la notte, si svegliano molto più spesso, e se sono allattati chiedono più spesso di essere attaccati al seno. Ovviamente per la mamma è una fatica - questa è una premessa che va fatta per rispetto di tutte le mamme stanche (non sapevo esistessero mamme non stanche!, N.d.A.).
È una fase impegnativa, ma è normale che il bambino, che era abituato a stare per tutto il giorno con la sua mamma, abbia questo bisogno di recuperare il tempo della sua improvvisa assenza aumentando la richiesta di contatto e di vicinanza. Anche questo, peraltro, al di là dell'allattamento.
Noemi: La stessa cosa, in fondo, succede anche quando ci sono dei cambiamenti importanti nella vita del bambino, se ad esempio comincia l’asilo nido o, più avanti, la scuola materna.
Giorgia: Possiamo parlare in generale di relazione tra madre e bambino. Il bambino ha bisogno di un porto sicuro; durante il giorno ha vissuto tutte queste esperienze nuove, quindi cerca di più il contatto, la vicinanza, la rassicurazione, nelle forme nelle quali è abituato a riceverle dalla sua mamma: se viene allattato, cercherà il seno, altrimenti avrà bisogno di altro. Quindi, ogni madre e ogni bambino hanno le proprie consuetudini, le proprie modalità.
Il discorso non riguarda mai solo l'allattamento: in ballo ci sono le emozioni, tutto il vissuto di mamma e bambino.
Appello alla sorellanza
Giorgia: A volte si crea una divisione fra mamme che allattano e mamme che non allattano, ci si concentra su scelte e consuetudini differenti anziché su tutto quello che ci unisce, ovvero il fatto che tutte noi cerchiamo di fare del nostro meglio, come possiamo e sappiamo, per i nostri bambini. Da qui il mio appello alla sorellanza tra madri. In una società poco amica delle mamme e dei bambini, diventa ancor più importante sostenerci a vicenda, essere solidali.
› Leggi la seconda parte dell'intervista a Giorgia Cozza, sulla gestione dell’allattamento quando si rientra al lavoro
(1) I libri de La Leche League sono disponibili solamente su donazione all’associazione. Maggiori informazioni qui: https://www.lllitalia.org/risorse/libri.html