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Morte pre-attiva e morte attiva

Pubblicato 3 anni fa

La medicina occidentale oggi distingue fra la fase attiva della morte (active dying) e la sua fase pre-attiva (pre-active dying), ma riconosce che tutte le previsioni sulla durata di queste fasi sono alquanto aleatorie.

Indicativamente, in base a dati statistici, la fase pre-attiva dura circa tre settimane, mentre la fase attiva, ossia finale, nella visione occidentale dura circa tre giorni.

Come vedremo, la medicina tibetana distingue anch'essa fra i segni di morte: segni distanti, o precursori, segni di morte non imminente e segni vicini, o di morte imminente, ma in base a categorie diverse.

Indice dei contenuti:

I segni distanti, o precursori della morte

Scrive il Dalai Lama in Advice on dying: «Che viviate interamente il tempo di vita che avete a disposizione o meno, il processo della morte comporta molte fasi diverse; se nel caso di una morte improvvisa esse vengono attraversate tanto velocemente da avere ben poche probabilità di notarle, quando la morte giunge in modo meno repentino è possibile riconoscerle e farne buon uso. Le avvisaglie della morte, per esempio, possono comparire anche diversi anni prima del decesso vero e proprio, anche se più comunemente si manifestano con uno o due anni di anticipo».

Per la precisione, tra i tre e i sei mesi prima di morire, anche se non abbiamo ancora nessun tipo di malattia, possono comparire segni fisici, mentali e onirici.

La morte è relativamente distante, e per questo si chiamano "segni distanti"; essi non indicano necessariamente che moriremo presto, ma se persistono è probabile che la morte sia effettivamente imminente.

Fra i segni distanti che si manifestano nel corpo, troviamo:

  • il comparire del singhiozzo quando uriniamo,
  • la scomparsa di quella sorta di ronzio che udiamo normalmente nell'orecchio interno se ci tappiamo le orecchie,
  • un lento ritorno della circolazione se premiamo sulla punta delle unghie e poi lasciamo andare;
  • durante un rapporto sessuale cambia il colore del liquido seminale che, nell'uomo, si tinge di rosso, e del liquido vaginale che, nella donna, si tinge di bianco;
  • cambiano il gusto e l'odorato senza alcuna causa apparente, così che i cibi o gli odori che prima ci piacevano ora non ci piacciono più;
  • il respiro che esaliamo è freddo, e ce ne accorgiamo espirando dentro alle nostre mani;
  • la lingua si accorcia, abbiamo l'impressione che sia arrotolata o gonfia, e quando la tiriamo fuori non ne vediamo più la punta;
  • quando siamo al buio, se premiamo sulla parte superiore del bulbo oculare con le dita così da farlo sporgere lievemente dall'orbita, non vediamo più le forme e gli schemi colorati che vediamo di solito;
  • compare l'allucinazione di un sole in piena notte;
  • la bocca si secca perché non produce più saliva;
  • le narici si infossano verso la punta del naso, che dunque appare più stretta;
  • compaiono segni scuri sui denti e i bulbi oculari sono più infossati nell'orbita;
  • se prima avevamo una carnagione luminosa e un aspetto solare, essi scompaiono.

Inoltre, quando ci sediamo al sole, al mattino, non riusciamo più a vedere nella nostra ombra quella corrente di energia che emana dal punto coronale: a proposito di quest'ultimo tipo di osservazione, nel Libro tibetano del vivere e del morire Sogyal Rinpoche avverte tuttavia che l'interpretazione richiede grandissima esperienza, e non è quindi alla portata di tutti.

Fra i "segni distanti" di tipo mentale sono annoverati repentini cambiamenti nel temperamento abituale, come il diventare improvvisamente aggressivi anche quando si è di indole gentile e viceversa, o diventare improvvisamente collaborativi quando di solito si è sgarbati e viceversa; all'improvviso il nostro entusiasmo potrebbe aumentare a dismisura o addirittura svanire; ci mettiamo a detestare i luoghi che abbiamo sempre amato, gli amici o altri oggetti per i quali provavamo attaccamento, e sviluppiamo bramosie per tutte le cose che fino a quel momento non ci interessavano; senza ragione sprofondiamo nella tristezza; la nostra intelligenza e la nostra saggezza si offuscano, e perdono di forza.

Può cambiare anche la natura della conversazione, che da affabile può diventare particolarmente sgradevole, come quando uno improvvisamente inizia a bestemmiare; e anche l'argomento della morte può ritornare nella conversazione con frequenza molto maggiore di prima. I "segni distanti" onirici includono sogni ripetuti in cui cadiamo giù da una montagna, oppure siamo nudi, o viaggiamo verso sud, o attraversiamo un deserto.

I segni di morte vicina

Sono molto simili a quelli che anche la medicina occidentale riconosce, come l'iscurirsi della lingua, o delle occhiaie, e l'aspetto incavato delle orbite, e le indicazioni sull'estimazione del momento della morte, che il medico trae dall'analisi dell'urina del malato terminale e dal rilevare il "polso della morte"'.

Alcuni di questi segni possono scomparire in pazienti che, pur in un'ottica palliativa, ricevono ancora cure causali; è per questo che nella medicina tibetana si preferisce concentrarsi sulle otto fasi del morire, che vedremo fra poco. Lì, se non altro, è noto che la morte è inevitabilmente vicina, ed è il momento in cui ogni abilità spirituale va dispiegata per trasformarla in un'occasione di ricongiungimento con la vera natura di Tutto. 

I segni di morte imminente: le otto fasi del morire

Essi compaiono quando la morte è prossima, e si configurano in un progressivo smantellamento, in otto fasi, delle funzioni del corpo e della coscienza.

Sono riconosciuti sia dalla medicina tibetana che dalla medicina occidentale. Quest'ultima, però, li mescola un po' tutti insieme, con minore finezza delle sequenze descritte dalla tanatologia tibetana; per esempio, riconosce che i pazienti in fase di morte attiva non sono più responsivi, che la pressione sanguigna scende moho, che a un certo punto c'è un'alterazione del ritmo del respiro, con pause più lunghe, che la pelle cambia colore e compaiono delle macchie, che le estremità diventano fredde al tatto, che compare l'incontinenza urinaria e/o intestinale o una diminuzione dell'urina, o un suo cambio di colore. Compaiono allucinazioni, deliri e agitazione mentale, e il ristagno di fluido nei polmoni causa un insolito gorgoglio chiamato "rantolo", spesso scambiato per un lamento di sofferenza.

I segni sono analoghi per ogni individuo, ma con tempistiche a lui proprie.

La descrizione dell'avvicendarsi dei segni fornita dalla tanatologia tibetana si fonda su secoli di osservazione diretta, e questa osservazione è ancora alla nostra portata (perché i segni sono davanti ai nostri occhi, e si può imparare a scorgerli), purché ci si renda conto che questa lettura degli eventi richiede una mente quieta, non distratta da pensieri ed emozioni, in grado di dedurre da quanto è percepibile dall'esterno le corrispondenti dinamiche interiori della persona che siamo chiamati ad accompagnare. E questo non solo perché sarà stata materia di studio, ma verificando interiormente, empaticamente ed esperienzialmente ciò che osserviamo.

Ciò permette alla mente dell'accompagnatore di ricostruire fase per fase una comunicazione con il morente che parta da ciò che quest'ultimo vive e non da ciò che l'accompagnatore si immagina possa vivere.

Le otto fasi sono, come ricorda il Dalai Lama, «una sorta di mappa degli stati più profondi della mente che hanno però luogo anche durante la nostra vita quotidiana, sebbene di solito passino inosservati». In particolare, esse si manifestano in un dato ordine quando la morte si avvicina, e in ordine inverso dopo che il processo del morire ha avuto luogo.

Descrivere nel modo più esauriente possibile questi straordinari cambiamenti richiederà un intero capitolo, il quinto, ma qui ne propongo un primo, breve excursus per dare un'idea di quanto differisca la visione tanatologica tibetana dal nostro "interruttore" occidentale, e di quante altre dimensioni essa tenga conto.

Una fisiologia sottile, parallela e coesistente con quella fisica?

Le otto fasi fanno riferimento a mutamenti che avvengono contemporaneamente nel corpo fisico, sul piano dell'energia sottile e sul piano della coscienza. Occorre dunque avere una certa dimestichezza con la fisiologia sottile a cui fanno riferimento sia i testi della medicina tibetana che gli Yoga Tantra Superiori, e sapere che questi mutamenti sono in parte rilevabili mediante l'osservazione di cosa accade nel corpo.

Per comprendere di cosa si tratta, è utile rifarsi alla visione della fisica quantistica secondo la quale le informazioni potenziali e dunque infinite del campo quantico possono, quando incontrano le giuste condizioni concomitanti, configurarsi in fenomeni, i quali "collassano" istante per istante.

La descrizione della realtà offerta da molte tradizioni orientali, incluse la medicina e la tanatologia tibetane, "fotografa" almeno tre degli stati contemporanei di un fenomeno, sia esso materiale o coscienziale:

  • uno stato meramente potenziale (dunque non nato e quindi non soggetto a morte) che viene chiamato "vera natura" o "natura assoluta" del fenomeno;
  • uno stato di manifestazione che è come una sorta di... matrice fisiologica energetica del fenomeno fisico: un livello intermedio di realtà di cui non tiene molto conto l'approccio medico occidentale. Tuttavia, esso funge da ponte relazionale tra corpo e mente, e la medicina tibetana se ne occupa tramite la pratica dello yoga medico, dell'agopuntura (di cui fa un uso pili limitato rispetto alla medicina cinese: soprattutto si concentra sul capo) e per mezzo di tecniche di respirazione;
  • e, in ultimo, lo stato fisico: quello che ricade nella nostra abituale gamma percettiva ma che perlopiù cogliamo in modo distorto, limitati come siamo dalla pochezza dei sensi e dai condizionamenti dovuti a precedenti esperienze che fungono da filtro fra noi e l'oggetto percepito.

La matrice fisiologica intermedia si colloca su un piano più "sottile" della materia grossolana; è formata da lung (i venti, ossia l'energia dinamica), tsa (i canali in cui "scorrono" i venti) e tiklé (tradotto perlopiù con "gocce quintessenziali"). Forse al lettore saranno più familiari i nomi sanscriti corrispondenti, ossia prona, nadi e bindu.

Scopriremo nel capitolo 3, intitolato appunto "Venti, canali, ruote e gocce quintessenziali: la nostra straordinaria fisiologia sottile", che persino questa suddivisione può presentare diversi livelli interni di "sottigliezza", e ciò vale anche per la coscienza, alla quale il capitolo 4 è dedicato.

I vari aspetti della coscienza così come descritti dalla tanatologia tibetana, tanto quelli grossolani quanto quelli più sottili, dipendono infatti dai venti, i quali perdono, nel processo della morte, la loro funzionalità nel servire da base dinamica per la psiche; avvengono allora cambiamenti radicali anche nel modo in cui esperiamo il mondo.

Questa progressiva perdita di funzione si manifesta in fasi che vengono chiamate "dissoluzioni" o "riassorbimenti", e siccome essa avviene nella matrice energetica, influirà, oltre che sulla coscienza, anche sul piano materiale, corporeo: i venti, infatti, sono collegati ai primi quattro dei cinque Elementi di cui parla la medicina tibetana e di cui il corpo è costituito: Terra, Acqua, Fuoco, Aria e, in ultimo, Spazio.

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