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Ecco perché non dovremmo avere paura della morte (10 film e 5 canzoni ci aiutano)

Pubblicato 2 anni fa

Fa paura, la allontaniamo da noi e non siamo più abituati ad affrontarla perché crediamo che sia la fine di tutto: natura e culture ancestrali ci mostrano invece che si tratta di un momento di passaggio e di una trasformazione che dovremmo abbracciare

Una delle cose che fa più paura è la morte, perché non abbiamo alcun tipo di arma contro di lei. Non importa quanto siamo attenti nella nostra vita, ci prendiamo cura della nostra salute, viviamo sfruttando ogni attimo, prima o poi arriva. Spesso si accompagna a rammarico per non avere portato a termine ciò che avremmo voluto e forse, anche per questo, ci fa ancora più paura. E si unisce al dolore della perdita delle persone care e a noi vicine, che può essere un’esperienza che annienta. Nella concezione occidentale la morte è la fine della vita, la fine di tutto. Eppure senza morte non c’è vita: sono le antiche filosofie e sistemi tradizionali che ci insegnano che si tratta di una fase di passaggio, di trasformazione, necessaria e a volte inevitabile che dovremmo abbracciare e rispettare invece di rifiutare o temere. 

Indice dei contenuti:

Il significato spirituale della morte

Il mistero della morte fa parte dell’enigma della vita e dell’anima (in questo articolo mi riferisco al termine “anima” in senso spirituale e non religioso); capire la morte significa comprendere la vita. Nel corso della nostra vita è l’anima che mantiene vivo il corpo, mentre con la morte si verifica la separazione fra corpo e anima. Immagina il corpo come un’auto e l’anima come il pilota che la guida. Mentre l’auto smette di funzionare (e quindi il corpo diventa un involucro vuoto) il pilota – l’anima – continua a vivere, finalmente libero dalle costrizioni del corpo terreno. Poiché i tratti caratteristici che ci contraddistinguono – carattere, virtù, pregi, difetti ecc. – risiedono nel pilota e non nella macchina, continuano a vivere, ascendendo a uno stato superiore dopo aver portato a termine i suoi compiti sulla Terra. Il corpo rimane privo di vita sulla Terra, ma l’anima continua a esistere su altri piani, dando vita a una nuova trasformazione.

Sappiamo, grazie alla fisica moderna, che nessuna sostanza scompare veramente, ma si limita a cambiare forma. Un albero, una volta abbattuto, diventa legno che può essere impiegato per la costruzione di una casa, o di un tavolo o di una sedia. Anche se ha cambiato forma, rimane sempre legno. Se il legno viene bruciato, di nuovo è la sua forma che cambia, diventando energia (fuoco) dalla quale si sprigionano calore e gas. Ma albero, sedia e fuoco sono tutte forme diverse di una stessa cosa. Ed è così per tutto, incluso noi: è l’anima che di volta in volta cambia forma. 

Le culture orientali, infatti, credono che l’anima scelga di reincarnarsi su questa Terra per apprendere nuove lezioni che ci facciano evolvere. Ogni volta scegliamo un corpo: uomo, donna, alto, basso, grande, minuto, bello o brutto; la forma non cambia la sostanza o l’essenza. In quest’ottica, dunque, la morte viene considerata una continuazione della vita come la conosciamo, ma in una nuova forma, che ci permette di accedere a un livello superiore. Allo stesso modo in cui lo yin si trasforma in yang, e la notte in giorno, anche noi ci trasformiamo attraverso la morte in qualcosa che è più congeniale alla nostra evoluzione. Ed è in questa dualità vita-morte che si basano le culture più antiche, come quella cinese. 

Yin e Yang: la dualità cosmica

Secondo la filosofia cinese l’universo è composto da due forze opposte e complementari: buio e luce, sole e luna, maschio e femmina, bene e male, ma anche nascita e morte; in due parole, yin e yang. Yin e yang si presentano sempre in coppia, ma non sono statici né si escludono a vicenda. Sebbene il mondo sia composto da molte forze diverse, a volte opposte, queste possono coesistere e persino completarsi a vicenda. A volte, le forze opposte in natura fanno addirittura affidamento l’una sull’altra per esistere e l’alternanza del giorno e della notte ne è un esempio.

Il Tao (descritto nel Tao Te Ching di Lao Tzu) è costituito da un cerchio diviso in due metà da una linea curva. Una metà del cerchio è nera e rappresenta il lato yin, l’altro, il bianco, rappresenta lo yang; al centro di ogni metà si trova un puntino del colore opposto. Le due metà si intrecciano attraverso una curva a spirale che divide il tutto in semicerchi, e i due puntini più piccoli rappresentano l’idea che entrambi i lati portano il seme dell’altro. 

Il puntino bianco nell’area nera e il puntino nero nell’area bianca indicano la coesistenza e l’unità degli opposti per formare un tutto. La linea sinuosa significa che non ci sono separazioni assolute tra i due opposti. Il simbolo del Tao, quindi, incarna entrambi i lati: dualità, paradosso, unità nella diversità, cambiamento e armonia. Tale filosofia prende spunto dall’osservazione della natura, dove yin e yang si seguono e inseguono, dando vita, ad esempio, alle diverse stagioni e dove niente è assoluto ma è caratterizzato da un cambiamento spontaneo.

L’inverno: natura (apparentemente) morta

A molti l’inverno non piace: il freddo, le meno ore di luce a disposizione, la natura statica e spoglia lo fanno sembrare la peggiore delle stagioni. 

L’inverno è l’opposto dell’estate, è lo yin che si contrappone allo yang, ed è stato celebrato fin dall’antichità come un aspetto del ciclo vita (estate)-morte (inverno)-rinascita (primavera). Questo ciclo è il modello di creazione primario dell’universo e governa la trasformazione dell’energia da una forma all’altra, ed è necessario affinché la vita avvenga. 

L’inverno viene messo in relazione con la morte perché freddo e oscurità spesso nascondono sfide che mettono alla prova la forza e la resilienza anche degli elementi più resistenti, come le piante. Se però lo consideriamo come un momento di passaggio, ci accorgiamo che può essere una stagione ricca di doni e benefici nonostante non sia colorata e viva come le stagioni che lo precedono. È un tempo dedicato al riposo, all'ascolto interiore, all'immobilità, così da essere in grado di lasciare andare ciò che non serve più al proprio presente, mantenendo l’essenziale, che è necessario per garantire la rigenerazione che esploderà nella stagione successiva. 

La morte nei tarocchi

Uno degli Arcani che fa più paura nei tarocchi è la Morte. Fa talmente paura che viene definita anche “Arcano senza nome” poiché originariamente nei tarocchi marsigliesi era contrassegnata dal numero (XIII) ma non dal nome. 

Quando la carta della Morte esce in una lettura è sempre associata a disagio e a significati negativi. In realtà le carte non sono mai negative: non servono per predire un futuro nefasto e doloroso, quanto invece per aiutarci a comprendere al meglio l’energia che stiamo vivendo, dandoci consigli su come affrontarla al meglio per il nostro vantaggio e crescita personale.

La Morte dunque indica la fine di una fase e l’inizio di una nuova: è una porta che si chiude per permetterne ad un’altra, più adatta per noi, di potersi aprire. Questo ovviamente presuppone che ci sia un cambiamento, una transizione o una trasformazione: ciò che non serve, o la vecchia versione di noi stessi, deve morire, per permettere alla nuova di poter nascere e fiorire. Allo stesso modo, dobbiamo lasciare andare il passato per permettere al futuro di diventare presente. Se ci pensi, la nostra vita è basata sulla trasformazione e sul cambiamento, anche se li viviamo in maniera inconscia: da bambini diventiamo adolescenti, poi adulti e anziani, lasciamo il mondo della scuola per entrare in quello del lavoro, da figli diventiamo a nostra volta genitori e così fino alla morte dell’auto che abbiamo guidato fino a quel momento. Affinché possiamo procedere lungo il sentiero della nostra vita, qualcosa deve morire e cambiare. Ed è in questi momenti che si manifesta l’energia della Morte. 

Morte come trasformazione: positiva o negativa dipende da quanta resistenza facciamo a quella necessità di cambiamento che si sta manifestando nella nostra vita e al nuovo inizio che sta per cominciare. Può trattarsi di un cambiamento non facile, doloroso, repentino, inaspettato ma si verifica sempre per il nostro bene, per permetterci di poter proseguire il nostro viaggio evolutivo che ci porterà alla nostra crescita personale.

Morte come inizio di un capitolo nuovo del nostro ciclo vita-morte-rinascita, che dovremmo abbracciare e non temere.

 

10 film sulla morte 

1. Vi presento Joe Black (1998) regia Martin Brest

2. The others (2001) regia Alejandro Amenábar

3. Non è mai troppo tardi (2007) regia Rob Reiner

4. Amabili resti (2009) regia Peter Jackson

5. After.Life (2009) serie TV

6. Hereafter (2010) regia Clint Eastwood

7. Coco (2017) regia Lee Unkrich

8. Endless (2020) regia Scott Speer

9. Upload (2020) serie TV

10. Soul (2020) regia Peter Docter

5 canzoni sulla morte 

1. Candle in the wind (Elton John)

2. Knocking on heaven’s door (Bob Dylan)

3. Tears in Heaven (Eric Clapton) 

4. Preghiera in gennaio (Fabrizio De Andrè) 

5. The lonliest (Maneskin)


Ultimi commenti su Ecco perché non dovremmo avere paura della morte (10 film e 5 canzoni ci aiutano)

Recensioni dei clienti

Baristo T.

Recensione del 27/05/2025

Valutazione: 5 / 5

Data di acquisto: 27/05/2025

Immagino che come tutte le cose di cui non abbiamo la risposta ci vada un po' di fede e ovviamente più si è credente meno bisognerebbe averne paura, anzi. Grazie per tutte le spiegazioni.

Gilia M.

Recensione del 15/05/2025

Valutazione: 5 / 5

Data di acquisto: 15/05/2025

Sinceramente per me è un mistero che non vedo l'ora di conoscere, non ne ho mai avuto paura, al massimo ho paura di soffrire, ma di morire no. E' giusta, non guarda in faccia a nessuno e non fa discriminazioni. Inoltre solo in quel momento potremo sapere se è vero tutto quello che pensiamo di sapere sull'aldilà!

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