Può la meditazione avere dei rischi avversi?
Pubblicato
11 giorni fa
Luca Gonzatto
Autore e divulgatore sui temi della consapevolezza e della meditazione
Scopri quando è bene non praticare la meditazione per non favorire gli effetti negativi, e gli 8 consigli per meditare in sicurezza
La meditazione viene spesso presentata come la soluzione a tutto: ansia, stress, insonnia, difficoltà di concentrazione. Ed è vero in parte: se praticata con costanza, la scienza conferma i suoi effetti straordinari su corpo e mente.
Ma c’è un lato di cui quasi nessuno parla. E oggi lo vediamo insieme. Perché stanno emergendo i primi studi sugli effetti negativi della meditazione.
Nel mio libro Chi si ferma si ritrova, che trovi sull'e-commerce di Macrolibrarsi, ho dovuto insistere per inserire un intero paragrafo su questo tema, perché non mi interessa mitizzare nessuna pratica né vendere pillole magiche.
Ecco perché oggi parliamo di un aspetto che molti ignorano: gli effetti collaterali della meditazione. Perché sì, esistono. E conoscerli è fondamentale per non farsi più male che bene. E se hai dubbi o domande, scrivimi nei commenti, rispondo sempre volentieri.
Quando la meditazione può diventare controproducente
Sedersi a meditare nel momento sbagliato può fare più danni che bene. È come cercare di calmare un uragano con un ventaglio di carta.
Quando siamo in stress acuto il sistema nervoso è in modalità “attacco o fuga”: amigdala iperattiva, adrenalina e cortisolo in circolo. Costringersi all’immobilità in questo stato può aumentare ansia e agitazione. Immagina di chiudere Hulk in una stanza e dirgli: “Respira e rilassati.” Ecco.
Gli psicologi, come Daniel Siegel (la sua bio con i suoi libri li trovi qui), parlano di finestra di tolleranza: la meditazione funziona quando restiamo in quello spazio intermedio — abbastanza attivati per essere presenti, ma non sopraffatti.
Emozioni: non vanno represse, ma ascoltate
Uno degli equivoci più grandi è pensare che la meditazione serva a “spegnere” le emozioni scomode. Rabbia e ansia non sono nemiche, né incidenti di percorso da eliminare: sono messaggeri, campanelli che suonano quando un confine è stato superato, quando qualcosa chiede di essere visto.
Se le osservi con attenzione, ti accorgi che non è l’emozione in sé a determinare la qualità della tua vita, ma il modo in cui la vivi.
La pratica non è un anestetico, ma un atto di presenza radicale: ti insegna a stare, a guardare ciò che accade come si guarda un temporale dietro un vetro. Ne vedi l’origine, il movimento nel corpo, i pensieri che lo alimentano.
E in questo sguardo nasce la libertà: non reagire in automatico, ma scegliere. Non reprimere, ma accogliere. Se però ansia o depressione diventano così forti da toglierti il fiato, il passo più saggio è chiedere aiuto: un professionista può diventare la cornice che ti permette di attraversare la tempesta senza esserne travolto.
Effetti negativi: cosa dicono gli studi
È innegabile: questa pratica millenaria, che coltivo ogni giorno e condivido in modo semplice e pragmatico, può dare spessore, radici e un senso nuovo alla vita.
Non lo dico per sentito dire: lo vedo accadere, in me e in chi mi scrive, nelle storie che ricevo attraverso Vidyanam e nei Percorsi My Life Design.
Sono profondamente convinto che ognuno possa portarla nella propria vita: bastano tre minuti per iniziare a integrarla. Perché non è questione di durata, ma di presenza. Non conta quanto a lungo resti seduto, ma con quanta verità lo fai, con quale intenzione ti siedi.
Ed è proprio perché questa pratica è così potente che merita di essere trattata con discernimento, sobrietà e rispetto.
Gli studi più recenti ci ricordano che, in una piccola ma significativa percentuale di casi con patologie pregresse, possono emergere effetti negativi: ansia intensificata, insonnia, derealizzazione, disturbi dissociativi, fino ad arrivare, in rari casi, a episodi psicotici transitori o peggioramento di sintomi depressivi.
Il rischio cresce se:
- alle spalle ci sono disturbi psicologici importanti come depressione maggiore, disturbi dissociativi, PTSD o psicosi non stabilizzata;
- si praticano tecniche intense senza guida o supporto esperto;
- si partecipa a ritiri intensivi, dove l’emergere di contenuti traumatici senza strumenti di contenimento può portare a scompensi emotivi.
Come dice Shrek: «Meglio fuori che dentro». Ma se quello che esce è un ricordo doloroso e non sai come contenerlo, può diventare un “casino”. È un po’ come il digiuno (pratica che amo): passi anni ad accumulare, poi apri il rubinetto tutto insieme. Quello che esce non sempre è piacevole — ed è qui che serve supporto.
La meditazione può portare alla luce emozioni represse, memorie traumatiche, conflitti interiori irrisolti. È un processo prezioso, perché integra parti di noi rimaste in ombra, ma senza un contesto sicuro può diventare destabilizzante, amplificando ansia, confusione o senso di perdita del controllo.
Ecco perché, se nella tua storia ci sono ferite profonde – non la semplice “ansietta” da notifica di messaggi o mail – è importante non affrontare la meditazione come un self-service emotivo, ma cercare uno spazio sicuro, un insegnante esperto, o un professionista qualificato che possa accompagnarti nel viaggio interiore.
La meditazione è un atto di verità. Ma la verità ha bisogno di contenimento per diventare presenza.
Checklist per meditare in sicurezza
La soluzione non è smettere di meditare. È applicare quello che il Buddha chiamava “Via di Mezzo”: niente forzature, niente abbandono totale. Come l’acqua: due litri al giorno sono vitali, otto ti mandano in ospedale.
Ecco perché suggerisco l’osservazione di 8 step fondamentali che ti illustro di seguito.
1. Non interrompere terapie o percorsi clinici
La meditazione non è una scorciatoia né un’alternativa alla psicoterapia o al supporto medico. Non a caso, sempre più medici e psicologi con cui collaboro la integrano proprio per questo.
2. Inizia con pratiche brevi (soprattutto se hai vissuti importanti alle spalle)
Parti da 3 minuti al giorno, il tempo di una tisana che si scalda. Così crei un’abitudine sostenibile e puoi aumentare gradualmente, senza forzare.
Gli studi mostrano che fino a 15-16 minuti al giorno restiamo in una “fascia protetta”.
3. Inseriscila gradualmente nella tua vita
Meglio 3 minuti al giorno per un mese che un’ora una volta ogni tanto. La costanza vince sull’intensità. La meditazione non è una maratona di silenzio: deve diventare parte della vita, non un peso da aggiungere.
4. Non idealizzare e non forzare
Non idealizzare la pratica o gli insegnanti: non è una bacchetta magica che ti rende sempre calmo e sorridente. La meditazione non ti chiede di annullare i pensieri, le emozioni, ma a non inseguire ogni pensiero. Anche i giorni “distratti” fanno parte del percorso e anzi, già accorgersene fa parte della pratica.
5. Nel pieno di una crisi acuta, scegli altro
Se sei nel mezzo di una tempesta emotiva, prima scarica il corpo: cammina, respira profondamente, fai stretching, danza, scuoti le braccia, urla se serve. Solo dopo siediti: il corpo sarà più rilassato, la mente più pronta.
6. All’inizio fatti accompagnare
Se sei alle prime armi o stai attraversando un momento complesso, non avere paura di chiedere aiuto. Può essere un insegnante, un gruppo di pratica o qualcuno con più esperienza che ti accompagni e ti aiuti a dare senso a ciò che emerge.
7. Coltiva la gentilezza verso te stesso
Non trasformare la meditazione in un compito da spuntare sulla to-do list. Siediti come faresti con un amico: con cura, pazienza e affetto.
La pratica è imparare a rimanere senza giudicarti, anche quando la mente sembra un carnevale di Rio.
8. Ascolta e aggiusta il tiro
Se la meditazione aumenta ansia, insonnia o agitazione, non pensare che “non faccia per te”: riduci il tempo, prova pratiche più dolci come il body scan, la camminata o la respirazione guidata. La chiave è osservarti: la consapevolezza vale anche nel dosaggio della pratica.
In conclusione
La meditazione resta uno degli strumenti più potenti per coltivare benessere e lucidità che ognuno di noi può godere e beneficiare con i giusti accorgimenti. Ma non è una bacchetta magica. È un’arte di presenza, non di perfezione.
Praticala con gradualità, dolcezza, curiosità. E ascoltati: più del guru su YouTube, più dell’amico che fa yoga una volta al mese.
La vera meditazione non è “forzarsi a stare bene”, ma imparare ad accogliere ogni parte di te - anche quella che ha bisogno di muoversi, urlare o piangere.
Se questo articolo ti è stato utile, trovi molto di più nel libro Chi si ferma si ritrova. E condividilo con qualcuno che sta iniziando a meditare: potrebbe evitargli frustrazioni inutili e regalargli un primo passo più leggero.
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