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L’azione è un buon investimento

Pubblicato 4 anni fa

Abbiamo un corpo per muoverci, per fare e per esperire. Facciamo fruttare al meglio questa opportunità senza dimenticare la nostra vera natura di esseri spirituali.

Meditare non è stare fermo, ma è portare la quiete e l’equilibrio di pensieri ed emozioni nella quotidianità, in ogni singola azione giornaliera.

Non si tratta di fare meditazione, ma di vivere nella meditazione, ponendo attenzione ed intenzione in ogni singolo gesto.

Io ripeto spesso che il verbo ‘fare’ non si addice alla meditazione (e alle altre pratiche Yoga) perché questo verbo sottintende un’azione che ha un inizio e che ha o avrà una fine, un’azione limitata nel tempo. Secondo me quindi il verbo che più si addice alla meditazione è il verbo ‘essere’.


Lo scopo non è fare meditazione, ma diventare meditazione, essere meditazione.


È vivere nella meditazione, ovvero vivere e agire nella pace mentale. E la pace mentale la si raggiunge solo quando pensieri ed emozioni sono in armonia ed equilibrio tra di loro.

Il fatto di essere incarnati in forma umana implica il fare esperienze con questo corpo: ci troviamo in un pianeta materiale e come tale è giusto esperirlo.

L’antica filosofia indiana ci insegna che lo scopo della vita sulla terra è vivere nella materia, senza essere della materia.

Da questo si evince che l’isolarsi a meditare in una capannuccia sull’Himalaya o in qualsiasi altro luogo, possa essere più simile ad un fuggire dalla materia, piuttosto che ad una serena convivenza con essa.

L’isolamento può essere molto utile e costruttivo purché poi conduca ad un ritorno nella realtà materiale. In alternativa è altresì possibile il raggiungimento di tale distacco dall’attaccamento alla materialità attraverso un percorso di consapevolezza spirituale, vissuto nella materia.

Il meditare è quindi sicuramente il fermarsi, ma non il fermarsi per stare fermi per sempre, ma il fermarsi, per ricaricarsi, per chiarirsi i pensieri, per chiarirsi le emozioni, pianificare il percorso e poi...agire!

Voltaire nel 1700 la pensava così: "L’uomo è nato per l’azione, come il fuoco tende verso l’alto e la pietra verso il basso. Non essere occupato e non esistere è per l’uomo la stessa cosa."

Vediamo cosa ci dicono a riguardo i testi vedici e come far combaciare il tutto con la contemporaneità.


Non è soltanto astenendosi dall’agire che ci si può liberare dalle conseguenze dell’azione. Né la rinuncia è di per sé sufficiente a raggiungere l’illuminazione.
[Bhagavad-gita 3,4]


In queste poche righe è spiegato tutto o quasi tutto, ma analizziamole un po' più nel dettaglio.

Partiamo dal concetto di: ‘astenersi dall’agire’.  ‘Non è astenendosi dall’agire che si può liberare dalle conseguenze dell’azione’.

La parola su cui focalizzarci è ‘liberare’.

Nella filosofia orientale troviamo molto spesso il concetto di distacco, del liberarsi dai legami terreni e del non-attaccamento a cose o persone. Però la Bhagavad-gita in questo versetto ci mette sull’attenti sul fatto che non è soltanto astenendosi dal fare che ci si può liberare dalle sue conseguenze.

Le conseguenze dell’azione sono anche, nel linguaggio comune, il cosiddetto bene e male, sono il ‘ho fatto bene questa cosa e quindi ne trarrò un beneficio’ oppure ‘ho fatto male, ne pagherò le conseguenze’.

Sono il legame a sentirsi migliori di altri perché quella volta lì abbiamo fatto del bene o sentirsi sopraffatti dalla frustrazione o dal senso di colpa, perché quell’altra volta abbiamo preso delle decisioni inopportune. E giù col senso di colpa!

Un altro importante concetto della filosofia orientale è il nirvana, l’illuminazione.

In questo caso la Bhagavad-gita ci dice che l’illuminazione non la si raggiunge con la rinuncia, che la rinuncia non è di per sé sufficiente per raggiungere la perfezione.

Sottolinea chiaramente come non sia il non-fare, lo stare, che ci possa portare ad uscire dal bosco della confusione mentale (Nir-vana in sanscrito significa proprio 'uscire dal bosco'). Quella che Dante ha definito ‘selva oscura’.


Tutti sono inevitabilmente costretti ad agire secondo le tendenze acquisite.
[BG-3,6]


Questa consapevolezza è importante perché ci chiarisce il fatto che noi siamo portati ad agire secondo dei paletti, dei condizionamenti, dei preconcetti e degli schemi acquisiti nel tempo.

Il che a volte può essere un bene: è utile non dover imparare tutte le mattine a camminare; ma è fondamentale la capacità di apprendere nuovi schemi per non reiterare nel medesimo inciampo.

Non trascuriamo nemmeno il fatto che numerosi di questi schemi ci sono stati inseriti dentro da altri e sono le gabbie del ‘si è sempre fatto così’ o ‘nella tua cultura si fa così’.


Nessuno può astenersi dall’agire, nemmeno per un’istante.
[BG-3,6]


E questo nessuno si intende proprio nessuno! Quindi nemmeno Krishna che è Creatore universale, l’energia che ha dato origine al tutto, oltre che l’enunciatore di questi versi.

Parlando di energia creatrice non possiamo tralasciare il concetto di Shiva che rappresenta proprio l’energia della trasformazione: tutto in questo intero universo è in costante movimento e mutamento.


Anche se ci si astiene dai piaceri materiali, l’anima incarnata conserva il desiderio per gli oggetti dei sensi.
[BG-2,59]


Quindi, anche se rimaniamo fermi nella non-azione, la nostra mente potrebbe essere portata a focalizzarsi sul desiderio dell’azione.

Se non ho una pizza davanti, non potrò mangiare la pizza, ma finché la mia mente continuerà a pensare alla pizza, non ne sarò mai davvero distaccato. Non sarò distaccato dall’oggetto dei sensi, ma anzi ci sarò ancora dentro in pieno.

Nel cammino spirituale non cambia nulla se io sto tutto il giorno a mangiare la pizza o se sto tutto il giorno a pensarci, perché in ogni caso distratto dalla vera ricerca. Quindi io dico: mangia la pizza e poi torna alla sadhana (in sanscrito, la ricerca spirituale).


Compi il tuo dovere prescritto perché l’azione è migliore dell’inazione, senza agire non è nemmeno possibile mantenere il proprio corpo.
[BG-3,8]


E qui già si sottintende che c’è da fare: “compi”, non “stai lì e aspetta”. E poi c’è il “dovere prescritto”: ciascuno di noi ha un compito da svolgere, una strada da seguire, un disegno che l’universo ha in serbo per lui.

Questo però non vuol dire stare sotto un albero di pere e aspettare che le cose si manifestino da sole e lo capiamo proprio da quel “compi”. 

Potremmo quindi riassumere: fai un passo nella tua direzione giusta e poi l’universo ti aiuterà e ti farà trovare le tue porte giuste aperte.

E il dovere prescritto per antonomasia è vivere e godere con amore di questa esperienza materiale sul pianeta terra.

Fuori e dentro, il viaggio continua

Namasté

Per approfondire puoi leggere...

Il libro di Edoardo:


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