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Jiddu Krishnamurti e il risveglio interiore

Pubblicato 3 anni fa

Nel 1895 in India, in una famiglia di bramini (i bramini sono coloro che si occupano dello studio dei testi antichi e delle funzioni religiose) nasce un bambino e viene chiamato Jiddu.

A scuola ottenne scarsi risultati (per gli standard di riferimento…) e venne considerato ‘intellettualmente disabile’.

Pensiamo che ancora oggi, 2022, i bambini vengono giudicati intelligenti o meno utilizzando degli standard di riferimento del tutto arbitrari e che non tengono per nulla conto delle abilità individuali. Come disse Einstein: “Se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi…

Jiddu all’età di 14 anni venne avvicinato dal fondatore della società teosofica indiana, dove si fece subito notare per i suoi siddhi (poteri, in sanscrito) intellettuali e spirituali, e li prese corpo il suo percorso di consapevolezza. Divenne subito un punto di riferimento all’interno della società teosofica anche per membri molto più anziani i quali riconobbero subito in lui l’incarnazione di un Essere superiore.

Krishnamurti insisteva sempre molto sulla liberazione dell’uomo dalle paure, dai condizionamenti e dall’accettazione passiva di qualsiasi dogma sociale o religioso.

Egli incontrò quasi tutti i grandi pensatori della sua epoca da Aldous Huxley al Dalai Lama allo yogi Iyengar, che fu anche suo insegnante di Yoga.

Interessante fu anche il suo incontro col fisico, amico e collega di Einstein, David Bohm. Quest'ultimo trovò molti punti in comune tra le nuove teorie della fisica che egli studiava e le parole di Krishnamurti, dando così il via al cosiddetto “misticismo quantico”, che da allora vede molti studiosi di scienza coinvolti ed appassionati.

Insieme hanno scritto:

Girò praticamente tutto il mondo occidentale e tenne conferenze e dibattiti ovunque e con chiunque.

Proprio durante uno di questi viaggi, intorno al 1920, il suo amato fratello lasciò il corpo e proprio per mezzo di quel dolore Krishnamurti realizzò che non ci può essere reale distacco da niente e da nessuno quando si è consapevoli di sé stessi e in perfetta unione con il tutto.

Era naturalmente un fervente sostenitore della non-violenza e quindi seguiva anche un’alimentazione non violenta, vegetariana.

La sua più grande ribellione fu sicuramente nei confronti delle convenzioni sociali, dei dogmi imposti e delle religioni: considerava infatti inutili i preti o i maestri o i libri per la conoscenza di Dio o per il raggiungimento del nirvana. 


Nessuno a parte te stesso potrà aiutarti a risolvere tale quesito e per questo hai il dovere di conoscere te stesso: l’immaturità pone le sue possenti radici nella totale ignoranza di te stesso. La conoscenza di sé stessi è l’inizio della saggezza.


Quella che Guccini ha riassunto nella sua bellissima canzone ‘Dio è morto’ con la frase: “L’inutilità di una fede fatta di abitudini e paure”. Su queste poche righe scritte da Krishnamurti si potrebbero tenere ore di conferenze e dibattiti.

Sono parole che nella loro (forse) apparente semplicità segnano un solco clamoroso tra il prima e il dopo. E soprattutto tra il: “Ok, mi metto in gioco” e il: “Ma stai zitto Krishnamurti”.

Jiddu era così, divideva. E divideva proprio perché obbligava (e tutt'ora obbliga) il lettore o l’ascoltatore dei suoi seminari a mettersi in gioco e a prendere in mano le redini della quotidianità, a rendersi conto che fino a quel momento stava viaggiando su un vagone comandato da altri che andava verso una direzione suggerita (nelle migliore delle ipotesi…) o imposta da altri.

Io stesso ci ho messo parecchio tempo per comprendere e apprezzare il pensiero di Krishnamurti e a volte ci ho messo giorni e giorni anche solo per finire di leggere un singolo capitolo di uno qualsiasi dei suoi libri.

Mi sento di dire che il mio percorso con lui è stato: ‘non mi piace’, ‘non lo capisco’, ‘lo capisco ma non condivido’, per concludere con un: ‘accidenti, è proprio come dice lui!’. E questo vale per me, per il 99% delle sue riflessioni.

Sul finire degli anni ’20 del secolo scorso, proprio per questa sua profonda convinzione dell’inutilità o perfino della dannosità di religioni, sette e associazioni, Jiddu Krishnamurti rinunciò al ruolo di guida spirituale della società teosofica.

E lo fece in grande stile, in Olanda, niente di meno che nel ruolo di presidente della società teosofica stessa, davanti a più di 3 mila persone accorse solo per ascoltarlo, pronunciando queste parole: “Ritengo che la verità sia una terra che non possa essere raggiunta tramite nessun sentiero. Nessuna setta o organizzazione religiosa potrà mai raggiungere la verità. La verità non può essere organizzata e per questo non dovrebbe esistere alcuna organizzazione che tenti di indicare un sentiero di verità. La verità è proprio lì, proprio dove voi non guardate mai”.

Potremmo sintetizzare che la via mostrata da altri è la via degli altri, non la via personale di ognuno di noi e a cui ognuno di noi dovrebbe puntare per la propria individuazione ed affermazione.

Questo percorso è sicuramente più complicato: è più arduo creare un sentiero nuovo piuttosto che seguirne uno già tracciato, ma se si riesce a creare il proprio sentiero sarà in realtà quello più adatto al proprio percorso e quindi quello individualmente vero ed illuminato.

Da qui in poi si mise contro praticamente tutti i (falsi) maestri e guru dell’epoca che si sentirono scavalcati e privati del loro ruolo centrale per il percorso spirituale dei discepoli.

Per i (veri) maestri illuminati non cambiò nulla: per loro è sempre stato chiaro che il guru funziona se funziona il discepolo e non viceversa! Il maestro è un mezzo, non un fine.

Il maestro o guru (dal sanscrito, colui che ti porta verso la luce) è una persona che aiuta per un pezzo di strada: finché può illumina, poi come disse un atro maestro illuminato di nome Siddharta Gautama conosciuto come Buddha: ‘Ognuno sia fiaccola di sé stesso’.

Concetto sostenuto anche da Leonardo da Vinci che al nozionismo tramandato oralmente o scritto nei libri preferiva l’osservazione costante, diretta e la presa di coscienza della realtà. Nota la sua affermazione: “Io sono discepolo dell’esperienza”.

Naturalmente bisogna ben intendersi sul significato del termine esperienza: è da considerarsi non come qualcosa di già vissuto, non come uno schema consolidato e quindi ripetuto senza coscienza, ma piuttosto come un’esperienza continua.

Esperire, vivere ogni momento in modo neutrale senza pregiudizi e senza preconcetti: semplicemente per come è, adesso.

Osserva e vivi ogni volta come fosse la prima volta, così da non rimpiangere inutilmente le ciliegie di una volta o la prima fidanzata o la prima bicicletta. Le esperienze passate risulteranno sempre migliori almeno fino al momento che non si inizierà a godere davvero da zero di ogni cosa, appunto come fosse la prima volta.

Molto importanti anche le parole e la visione di Krishnamurti sulla meditazione.

Egli era solito entrare in stadi di profondo e a volte doloroso samadhi (stato di estasi e di fusione col Tutto), al termine dei quali aveva piena consapevolezza di Verità assolute, ma non ricordava assolutamente nulla dell’accaduto, ‘del processo’.

Egli però non vedeva la meditazione come una pratica che possa essere standardizzata, limitata nei modi e nei tempi o perseguita con regole precise e ferree.

Partendo dall’assunto che il Tutto è infinito, infinite sono le strade da percorrere. Ed essendo la dimensione della meditazione collocata nell’infinito, non è possibile raggiungerla, ma è piuttosto già e sempre qui: non potendo essere in nessun posto, è ovunque.

E se non siamo in grado di vederla, non è che non ci sia, è semplicemente che non la vediamo. E se non siamo in grado di vederla è perché risulta oscurata, coperta dal velo dei condizionamenti mentali, sociali, familiari, religiosi… Limitandosi al solo spostare quel velo spontaneamente diventerà visibile.

Non serve rincorrerla, non serve andare chissà dove, ma semplicemente fermandoci a respirare e osservando la realtà così com’è, nella sua vera essenza, il velo si dissolverà e ciò che c’è oltre il velo risulterà facilmente visibile.


Se avete il coraggio di aprire la finestra è possibile che entri un venticello fresco. Il fatto che entri il vento è del tutto estraneo dal vostro controllo, ma se non aprite la finestra non ci sarà possibilità che entri.


Come molti spiriti illuminati annunciò il momento in cui avrebbe lasciato il corpo: “Questa sera io mi allontanerò e passeggerò sulle montagne, e la nebbia salirà“.

Era il 17 febbraio 1986. Quella notte entrò in coma e lasciò il corpo.

Fuori e dentro, il viaggio continua... Namaste


Non serve dare risposte, ma spronare gli uomini alla ricerca della Verità.



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Recensioni dei clienti

Lia M.

Recensione del 13/03/2025

Valutazione: 5 / 5

Data di acquisto: 13/03/2025

Un argomento che mi stimola, dato che ci ho trovato dei modi di pensare e di vivere, delle prospettive, che non avevo mai pensato o preso in considerazione... non so dare una valutazione o un giudizio, ma so per certo che ritrovarsi delle prospettive diverse che portano alla riflessione, è qualcosa che smuove e attiva la mente

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