Impara a meditare
Pubblicato
3 anni fa
Scopri le tecniche e le meditazioni più adatte a te a seconda del tipo di equilibrio che stai cercando
Nel precedente articolo abbiamo visto cosa sia la meditazione e, soprattutto, cosa non sia. Abbiamo parlato di un “mezzo”, utile e di indubbia efficacia per migliorare la propria capacità di ascolto, per rafforzarla; una riflessione su di sé, su quel che si sta compiendo in quel dato momento, in quella porzione di spazio. Una sorta di auto-osservazione, quindi, un ascoltarsi nel proprio spazio-tempo. La chiave è imparare ad ascoltarsi: ecco in che modo.
TROVA IL TUO EQUILIBRIO
Vi sono tante tecniche, anche piuttosto diverse tra loro il cui fine, comunque, è quello di insegnare a meditare. Ognuna ha la propria validità, soprattutto quelle che si basano su solidi principi scientifici, e non, semplicemente, che affondano in metafisiche che si “perdono nella notte dei tempi” (mi preme ricordare che, come si dice in Oriente, queste concezioni sono una scienza dello spirito, e come tale andrebbero approcciate: ponendo molto attenzione sulla prima delle due parole...). Detto ciò, quindi, quali discipline sono più idonee per imparare ad ascoltarsi? Prima di addentrarsi nelle differenze tecniche, credo sia il caso di vedere il concetto che vi è alla base.
Abbiamo parlato di migliorare la propria capacità di ascolto, ma questo non è il fine del meditare: è soltanto il primo gradino di una scala piuttosto alta (e sinceramente, anche ardua) che conduce, passo dopo passo, a un equilibrio armonico. O meglio, al mantenimento di un equilibrio. Ed è questo il fulcro: il tipo di equilibrio che si vuole raggiungere con la meditazione. Quando si pratica una disciplina, bisogna aver ben chiaro a cosa essa ci può condurre ma, soprattutto, cosa si sta cercando.
Non basta praticare per “stare bene”, per quello è sufficiente una salutare passeggiata sulla spiaggia. Ed è sì vero, che per un praticante esperto, anche una semplice passeggiata può divenire una sorta di meditazione su di sé, ma ciò non vale per una persona che si sta approcciando, o che non abbia mai praticato nulla. Può capitare che a volte, si parli di passeggiate zen, come metodo meditativo, impropriamente (prendendo a modello ciò che avviene in un monastero, ad esempio): se ci si limita a passeggiare, in silenzio, in un prato, l’effetto che si rischia di ottenere è quello di colui che riproduce su di un foglio, a matita, un’opera pittorica su tela. Pur avendo copiato il quadro, il disegno non è necessariamente un’opera d’arte. Bisogna fare attenzione perché ci si può smarrire.
EQUILIBRIO STATICO: LA MEDITAZIONE ZAZEN
È qui che entra in gioco il tipo di equilibrio: se la ricerca personale è finalizzata ad un processo introspettivo, che miri a conoscersi meglio, a cercare di fare il punto su quello che si è (in quel momento), sulle proprie certezze, su dove si è giunti, una sorta di auto-analisi, insomma, allora stiamo considerando un equilibrio statico. In questo caso, una tecnica come la meditazione zazen (坐禅), ad esempio, è perfetta.
Il termine è difficilmente traducibile, ma, in ogni caso, è riconducibile alle tecniche zen, in posizione seduta. Si dà importanza alla postura, che deve essere rilassata, e al respiro, che deve essere calmo e lento; gli occhi sono chiusi, la concentrazione è sull’interno. Parafrasando un detto orientale, è come se fossimo in una capanna con le finestre chiuse, con poca luce che filtra dall’esterno, con i rumori al minimo (anche quelli della mente) e in silenzio. Non si dà molta importanza a ciò che può arrivare dall’esterno, l’attenzione è veicolata verso se stessi, fino ad affinare sempre più la propria capacità di ascolto. Ascolto che però è dall’interno verso l’interno. È importante comprendere questo punto.
L’equilibrio statico è alla base, ad esempio, delle pratiche nate all’interno di monasteri, o in contesti religiosi. Un monaco deve rapportarsi a se stesso e tutti gli altri monaci che sono comunque persone che seguono la stessa Via, nella stessa porzione di spazio, nella stessa direzione dei suoi tempi. Ed è per questo che un metodo statico, introspettivo, raccolto, nasce e acquisisce un proprio senso. In quest’ottica, tutte le pratiche sedute (le varie meditazioni “yogiche”, e non solo) sono esemplari.
EQUILIBRIO DINAMICO: L’ARTE DEL TAI CHI CHUAN
Se parliamo però di equilibrio dinamico, il concetto è diverso. È legato a un rapporto interno-esterno: l’attenzione nasce dal focalizzarsi su di sé, ma, deve essere veicolato verso ciò che è fuori. Rapportarsi con l’esterno, non significa avere un’ottima corazza interiore che è in grado di parare qualunque cosa ci arrivi, o dei saldi principi “universali” che possano andar bene per ogni evenienza. Ma capacità di adattarsi. E l’adattamento è implicito nel movimento. Un praticante può rapportarsi anche con chi non segue la propria Via, chi non ha i suoi principi. Allora, oscillare come un’onda diviene altresì fondamentale.
Come natura insegna, un uccello che plana sull’acqua, dolcemente, è un insieme di struttura (il proprio corpo), conoscenza (sentire) delle correnti esterne, e capacità di entrare e uscire di continuo dalla propria porzione parziale di spazio-tempo. Un ottimo esempio di questo equilibrio, è nell’arte del Tai chi chuan, ad esempio, che è profondamente radicata nel movimento: i suoi gesti concatenati in maniera armonica e fluida, rispecchiano i princìpi dello yin-yang.
Muoversi non è mai fine a sé stesso, una coreografia di gesti, ma diventa un modo per esprimersi, concentrandosi su ciò che si compie: eseguire il gesto è meditare su di sé.
Diviene una forma di meditazione dinamica. I movimenti sono guidati dalla respirazione, ma il respiro, che è energia (氣) è veicolato dalla mente. Questo rapporto dinamico tra presenza mentale e corporeità è un mutamento continuo del proprio spazio-tempo, condizione importante per far sì che la propria interiorità possa incrociare l’esterno. Una dinamica capacità d’ascolto finalizzata a potersi armonizzare con ciò che ci circonda, l’universo, che è, per sua natura, in perenne movimento. Per poter crescere e migliorarsi come essere umano.