B. K. S. Iyengar: colui che voleva eliminare le farmacie con lo yoga
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3 anni fa
Quando decidi di scolpire una divinità in una roccia sai già che sarà difficile. Sai già che anche con tutti gli strumenti adatti sarà difficile. Mentre la stai scolpendo puoi scegliere di fermarti in qualsiasi momento e lamentarti che, per esempio, ti sei fatto male ad un dito, che magari stai anche sanguinando. Certo, puoi farlo, ma così facendo la divinità non verrà mai fuori da quella pietra. Questo non è diverso dalla pratica Yoga.
Ecco come intendeva lo Yoga e la quotidianità Iyengar.
Iyengar è stato un educatore allo Yoga nato nel 1918 e vissuto perlopiù in India a cavallo tra il XX e il XXI secolo.
Uno Yoga fatto di asana “estreme”, portate al massimo livello di difficoltà, con lo scopo di far accorgere i suoi allievi di eventuali fastidi e/o dolori e quindi di attivare la mente a comprenderne le cause e a risolverne gli effetti.
Come sempre per meglio comprendere una persona dobbiamo anche fare lo sforzo di calarci nel contesto sociale e culturale in cui questa è nata e cresciuta.
Se non c’è afflizione come trovi il modo di liberartene? Se non c’è sofferenza e dolore, come è la vita?
Una visione del tutto simile ad alcuni postulati buddisti.
Ben inteso, non una sofferenza fine a se stessa o ad una qualche forma masochista di sperimentazione del dolore, ma sempre volta all’evoluzione. Il dolore non come mortificazione del corpo, ma piuttosto come mezzo per migliore la comprensione di sé stessi.
L’intenzione fa la differenza!
Non c’è presa di coscienza senza sofferenza. Non si raggiunge l’illuminazione immaginando figure di luce, ma portando alla coscienza l’oscurità interiore -C.G. Jung
“Ero malato di tubercolosi e così ho iniziato a praticare le asana (posizioni Yoga). I medici mi dissero che sarei morto a 16 anni, ne ho 84 e sono ancora qua”.
Come l’agricoltore ara il campo e rende il terreno morbido, così lo yogi eseguendo queste posture ara il suo corpo, i suoi organi, i suoi muscoli ed ogni singola cellula in modo che possano germogliare e produrre un’esistenza notevolmente migliore.
Iyengar non è mai andato a scuola, nel suo villaggio natale non sono esistite scuole fino al 1968. Per questo motivo non conosceva l’inglese e quindi inizialmente divulgare lo Yoga in Occidente e agli occidentali non fu impresa affatto semplice. Ma questo, per sua stessa ammissione, potrebbe essere stata la sua salvezza: “Non avevo altro modo per poter fare più di un pasto al giorno e quindi appresi lo Yoga e l’inglese e iniziai a trasmetterlo…oltre a questo che potevo fare?!”
Il suo metodo di insegnamento è stato molto rigido ed estremamente analitico. Arrivando addirittura a misure col centimetro la correttezza delle posizioni dei suoi allievi.
La mente vuole restare nel Mondo esterno più che in quello interno. Quindi lo Yoga ha il compito di farti entrare dentro te stesso. Il dolore nelle asana è la prima cosa che incontri. Il dolore è dolore, ma tu guarda oltre: il dolore c’è, tu sposta i riflettori altrove.
Iyengar ha sempre mostrato grande attenzione e rispetto nel trasmettere lo Yoga ai bambini dei vari istituti presenti in tutta l’India. Questo soprattutto per rispettare il background emotivo e psicologico di bambini quasi certamente cresciuti nel disagio e con enormi difficoltà famigliari. Il tutto in maniera gratuita.
Con gli adulti invece insisteva molto sulla faccenda della sofferenza. Lo Yoga come un percorso di sofferenza verso la piena comprensione di sé stessi. Una sorta di via crucis verso la resurrezione.
Dio è come la tua schiena. La schiena riesci a vederla? E a sentirla? Così è Dio. E se chiedi a qualcuno di spiegarti Dio è come chiedere a qualcuno se hai la schiena. Forse la vedrà, ma attraverso i suoi occhi e quindi sarà una visione filtrata piuttosto che la tua sensazione unica e certa.
Pensiero decisamente ‘alla Krishnamurti’, di cui per altro fu maestro di Yoga per moltissimi anni.
Hanno detto di Iyengar: “Il suo modo di guardare dentro ad una persona è così profondo che i suoi occhi sono come raggi X. Può dirti tutte le malattie o gli acciacchi di un individuo solo osservando il modo in cui cammina, questo gli è sufficiente”.
Divulgare lo Yoga quindi non è solo mostrare ed eseguire delle asana perfette, ma soprattutto è osservare, cogliere quei sottili cambiamenti che per un occhio inesperto o disattento sono molto complessi da afferrare, ma ci sono, sono lì.
È una scienza della scienza sottile. La medicina occidentale è una scienza della scienza grossolana. Bisogna avere una comprensione soggettiva del problema e del corpo e divenire un tutt’uno col paziente per capirne la sofferenza.
Iyengar è stato senza dubbio un maestro severo, molto severo, ma anche estremamente compassionevole. Un insegnante che pretendeva molto ma sempre pronto a tendere due mani verso i suoi allievi. “Un buon maestro deve dare quello che sa, quello che ha imparato, altrimenti sarebbe un maestro ingiusto. Deve trasmettere tutta la sua conoscenza, altrimenti potrà essere un maestro molto preparato e anche molto immorale”.
Lui interpretava perfettamente la visione indiana del maestro come strumento, come mezzo, non come fine né tantomeno come giudice. Si pensi che in tutta questa severità è stato proprio lui ad introdurre per primo i vari supporti facilitanti tanto cari ed utili ai praticanti Yoga di tutto il Mondo per progredire nelle loro asana.
“Lo Yoga mi ha salvato, ma non solo: lo Yoga mi ha condotto per tutta la mia esistenza e ora, a 94 anni, sto ancora praticando ed imparando. Spesso mi chiedono perché io stia ancora praticando…beh…perché la Vita si muove, ed io con lei”.
Iyengar ha lasciato il suo corpo fisico il 20 agosto 2014, aveva 96 anni.
È mia profonda speranza che la mia fine possa essere il tuo inizio.
Fuori e dentro, il viaggio continua
namaste
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