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Yo-yo virale. L’epidemia del rocchetto

Pubblicato 3 anni fa

Leggi un estratto da "Golpe Globale" di Diego Fusaro

L’emergenza epidemica legata al Covid-19 ha, da subito, esibito un andamento analogo a quello del rocchetto, che avanza e poi torna su se stesso.

Dopo la fase 2, v’è non già la fine dell’emergenza, bensì il ritorno alla fase 1. In particolare, dopo un breve periodo con temporaneo allentamento delle misure più stringenti, sempre di nuovo si torna più o meno celermente alla fase 1.

E ciò dacché il virus torna a prosperare e la curva epidemica riprende a salire. Di più, i padroni del discorso sostengono che, se il virus ha ripreso a circolare, è colpa dei cittadini, che non hanno seguito fino in fondo le prescrizioni del distanziamento sociale, sono stati disobbedienti o, comunque, non abbastanza ligi alle nuove prescrizioni medico-politiche.

«La piaga de la fortuna» scriveva Dante nel Convivio «suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata.» Dalla fase 2 si torna ogni volta alla fase 1: reclusione totale, con responsabilità addossata “ingiustamente al piagato”, ossia ai ceti dominati.

Poi, ciclicamente, riaffiora una nuova fase 2: alla quale seguirà, verosimilmente, una nuova fase 1. E così via, con andamento ciclico o, meglio, a yo-yo o, se si preferisce, a rocchetto.

Forse fino al 2025, spiegano gli esperti di Harvard, secondo quanto riportato da «Il Messaggero» (Coronavirus, quarantena a singhiozzo fino al 2022 e ondate fino al 2025: lo studio di «Science», 14.4.2020).

Si tratterebbe, in sostanza, di un’“epidemia yo-yo”, con andamento “pendolare”, ritmato da temporanei allentamenti parziali (fase 2) e da sempre rinnovati ritorni alla reclusione totale (fase 1). Proprio come il giuoco del rocchetto, così l’andamento dell’emergenza, nell’ininterrotto susseguirsi di “fasi 1” e di “fasi 2” connesse all’epifania di nuove “ondate” epidemiche, procede senza posa in forma pendolare e secondo la figura del progressus ad infinitum. E rimodella telluricamente il modo di abitare il mondo e di governare le vite, utilizzando l’emergenza come metodo per mutare l’inammissibile in inevitabile.

Più precisamente, dalla fase 2 della “libertà vigilata” e dell’“ora d’aria” non si passa a un’eventuale fase 3 e, da lì, al ritorno alla normalità. Au contraire, dal provvisorio alleggerimento delle misure stringenti proprio della fase 2 si torna, poi, direttamente alla fase 1, con tanto di lockdown e provvedimenti iperautoritari, sempre giustificati

  • come a fin di bene, secondo il classico paradigma biosecuritario, e
  • come dovuti all’irresponsabilità dei cittadini, incapaci, con la loro condotta irrispettosa rispetto alle norme stringenti, di “tenere in ordine i conti” dei contagi.

Nell’alternanza di fase 1 e fase 2, l’emergenza potrà essere fatta durare per anni: e, con essa, la nuova razionalità politica del capitalismo pandemico-sanitario.


L’emergenza diverrà, così, la nuova normalità. E nuova normalità diverranno anche, di conseguenza, le misure stringenti prese per contenere la pandemia.


Verosimilmente, l’emergenza persisterà fintantoché le misure a essa legate non si saranno sedimentate in nuovo e normale modo di governare le cose e le persone, cioè fintantoché i sudditi non si saranno abituati al nuovo orizzonte di senso e di esistenza, introiettandolo e ormai vivendolo come naturale forma di abitare il mondo e la società.

La “fase 2”, che nella pandemia con moto del rocchetto è l’intermezzo tra una “fase 1” e l’altra, non serve solo a destare nei cittadini, rectius nei sudditi, l’idea illusoria che si possa eventualmente uscire dall’emergenza e, insieme, a far proditoriamente ricadere puntualmente su di loro e sul loro colpevole agire la responsabilità del preordinato ritorno alla “fase 1”.

Ne seguono anche altre due non trascurabili conseguenze:

  • la “fase 2” viene percepita e non raramente “amata”, rispetto alla durezza della “fase 1”, a tal punto dall’essere considerata e desiderata come massima libertà consentita (nel graduale oblio dell’ordine pre-Covid); 
  • ciò permette di appurare quanti, tra i sudditi, abbiano già introiettato il nuovo ordine sanitario e di propria spontanea volontà si autorecludano e facciano valere i princìpi della “fase 1”, senza che siano ufficialmente operativi:

Già nell’estate del 2020, nel cuore della “fase 2” e dei suoi temporanei allentamenti delle misure stringenti, molti cittadini rinunziavano a uscire di casa e a vivere normalmente, semplicemente perché già avevano metabolizzato l’ordine terapeutico della “fase 1” ed erano letteralmente terrorizzati all’idea di poter contrarre il virus. Erano disposti, di fatto, a rinunziare a vivere pur di conservare la salute.

È quanto, di fatto, venne ufficializzato dopo la pubblicazione del report dell’Imperial College of London (report che, per inciso, il 16 marzo 2020 pronosticò per l’Italia 500.000 morti e 30.000 ricoveri in rianimazione in assenza di un confinamento coatto stringente): sulle ceneri della vecchia normalità pre-Covid si venne innestando la “nuova normalità” biopolitica del distanziamento sociale e del controllo permanente sopra e sotto la pelle.

Le masse nazionali-popolari, svilite al rango di plebi “appestate”, si sarebbero, dunque, dovute rassegnare a rinunziare irrevocabilmente alla socialità, al lavoro e all’inventiva, accontentandosi di sopravvivere isolate nelle loro “bolle digitali”, perché l’alternativa era quella di contagiarsi e di morire “intubate” tra atroci sofferenze.

Del resto, la rivista del MIT di Boston, fin dal 17 marzo 2020, tenne a precisare che si sarebbe dovuto rinunziare per sempre alla vecchia normalità pre-Covid e, in generale, alle “normali” forme di convivenza civile invalse fino ad allora (cfr. G. Lichfield, We’re not going back to normal. Social distancing here to stay for much more than a few weeks. It will upend our way of life, in some ways forever, ovvero “Non torneremo alla normalità. Il distanziamento sociale rimarrà per molto più di qualche settimana. Stravolgerà il nostro modo di vivere, in qualche modo per sempre”, in «mit Technology Review», 17.3.2020).

In maniera non diversa, Harvey V. Finberg, ex presidente dell’Accademia Nazionale per la Medicina degli Stati Uniti, affermò che gli anni futuri sarebbero stati tristi, con «una popolazione intrappolata al chiuso per mesi, con i vulnerabili verosimilmente in quarantena più a lungo» («The New York Times», 20.4.2020).

La cosa più stupefacente è che la popolazione di un numero alquanto alto di nazioni, in tutto il pianeta, venisse all’improvviso trattata come una massa di bambini senza λόγος, con una reductio ad pueritiam dell’intera cittadinanza privata dei suoi diritti fondamentali.

Basti a tal riguardo menzionare, tra i tanti casi possibili, quello di Virginia Raggi, sindaco di Roma, che così ebbe ad affermare il 2 maggio 2020: «I parchi aperti sono una concessione che ci viene fatta dal presidente del Consiglio, ma dobbiamo meritarcela. E per meritarcela dobbiamo rispettare queste regole». Beppe Severgnini, sul «Corriere della Sera» (6.6.2021), ha pubblicato un articolo dall’eloquente titolo Il coprifuoco e noi, meritiamoci la libertà, nel quale testualmente asseriva, in relazione alla “fase 2” e all’allentamento delle misure più stringenti: «Dovremo dimostrare di essere degni della libertà ritrovata».

Vi sarebbero le ragionevoli basi per una contestazione radicale del nuovo ordine delle cose. E, invece, i cittadini impauriti e ridefiniti come sudditi dell’ordine “algofobico” (letteralmente “terrorizzato dal dolore”), come l’ha qualificato Byung-Chul Han in La società senza dolore, accettano il sequestro della libertà e dei diritti conquistati con grata subalternità, dacché ormai non credono più in nulla, se non nella promessa di salvezza del corpo.

Per chi si orienti con la ragione e non con le forme instabili dell’emotività su cui fa leva il potere fobopolitico, è evidente che l’emergenza durerà a lungo, vuoi per le nuove “varianti” del virus, vuoi per il sopraggiungere di “nuove e più letali pandemie” a venire (Onu: «Pandemie destinate a moltiplicarsi e a diventare più letali», TgCom24, 29.10.2020): se infatti lo stato emergenziale evaporasse, allora si dovrebbe, a rigore, tornare a quella normalità che il blocco dominante neoliberista ha scelto di abolire in nome di un new normal calibrato ad hoc per i propri interessi di classe.

Per questo, mentre si è ancora nel bel mezzo dell’emergenza sars-CoV-2, le centrali dell’informazione e, non di rado, anche i membri della televisiva tribù medico-scientifica già lanciano l’allarme in riferimento a nuove ondate del virus, a nuove e più insidiose varianti esotiche del medesimo, quando non direttamente a future e più letali pandemie che, inaggirabilmente, giungeranno.

Così, tra i tanti casi, al Festival della Salute globale del novembre 2020, lo scienziato Mark Dybul – collaboratore di Anthony Fauci, l’Esculapio d’Oltreoceano del Leviatano terapeutico globale – ha dissertato della futura pandemia («Arriverà un’altra pandemia. Dobbiamo essere preparati», «Il Mattino di Padova», 10.11.2020). E ha spiegato che sarà questo lo scenario del futuro, per via – sono parole sue – del cambiamento climatico, della crescita esponenziale della popolazione, della funzione microbica e della vicinanza tra l’uomo e l’animale.

La cosa sconvolgente, invero, non è che il potere tecnocapitalistico, con la promessa di sicurezza, rimuova la libertà. Sconvolgente è, invece, che trovi dinanzi a sé soggetti pronti a subirlo, spesso lieti e fieri di farlo.


Il potere, ancora una volta, genera l’inaccettabile e soggetti disposti ad accettarlo.


Lo fa anche favorito dal fatto che ingannare gli esseri umani risulta sempre più agevole che convincerli di essere stati ingannati.

I più sono in balia di un nuovo e profondo “sonno dogmatico”: credono ciecamente al logo dominante, terapeuticamente corretto, e diffidano di ogni altra prospettiva, apertamente avversandola.

Acclamano come democratico il potere che con solerzia rimuove ogni elemento residuo di democrazia. E celebrano come salvifica ogni nuova restrizione e ogni ulteriore compressione dei diritti, perché presentate come indispensabili per proteggere le vite.


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