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Vesti sostenibile: intervista all'esperta Silvia Moroni

Pubblicato 1 anno fa

I consigli per evitare la moda usa e getta, comprare meno e meglio

Essere consapevoli dell’impatto ambientale e sociale delle nostre abitudini di consumo, spesso quotidiane, non è più una scelta, una moda o un vezzo. È una necessità: a dircelo sono i dati sull’inquinamento, sulla perdita di biodiversità, sul cambiamento climatico. In ballo c’è la sopravvivenza della nostra specie su questo pianeta. Se abbiamo già fatto scelte sostenibili a livello alimentare, il prossimo passo è ripensare al nostro armadio: quanti vestiti compriamo, dove li compriamo e l’uso che ne facciamo è una questione che non possiamo non porci, dato che quella della moda è tra le industrie più impattanti al mondo. Ma da dove cominciare per rendere il nostro guardaroba più sostenibile? Ne parliamo con Silvia Moroni, esperta di sostenibilità, ideatrice del progetto di divulgazione “Parla Sostenibile” ora diventato anche un libro edito da Slow Food Editore.

Fare scelte sostenibili equivale a rinunciare a qualche cosa? 

Diciamo che, più che fare scelte sostenibili, noi possiamo fare scelte più o meno sostenibili. Partendo da questo presupposto, è ovvio che ogni persona, quando diventa consapevole del proprio impatto, può decidere fino a che punto spingersi nelle proprie scelte quotidiane. Credo però che rinuncia sia una parola sbagliata da utilizzare, perché c’è sempre una sostituzione. Per alcune cose possiamo parlare di riduzione, di alcune attività così come di alcuni beni. Ovviamente se pensiamo a una persona completamente distante da questo mondo, estremamente consumista, estremamente attaccata a tutto ciò che il capitalismo propone, a quel punto una rinuncia a qualcosa ci deve essere. Direi, però, che la parola più appropriata possa essere “sostituzione”: sostituzione di comportamenti troppo impattanti, di prodotti troppo impattanti, di stili di vita troppo impattanti.      

Tu da dove hai iniziato? 

Ho iniziato a interessarmi di questi argomenti per formazione. Sono un’umanista prestata alla sostenibilità alimentare, con un Master all’Università delle Scienze Gastronomiche di Pollenzo, prestata poi al Master in Sviluppo Sostenibile e Cambiamento Climatico dell’Università di Pisa, che ho conseguito parallelamente all’inizio del progetto “Parla Sostenibile”. Ho quindi una conoscenza tecnico-scientifica dell’argomento, che ovviamente poi si riflette su molti aspetti della mia vita privata. Tra l’altro, col tempo, ho scoperto che attività che facevo già nel passato – come ad esempio comprare vintage, perché lo amavo – si sono rivelate sostenibili, anche se al tempo non sapevo che lo fossero.       

Mi fa piacere questo tuo accenno all’acquisto di moda vintage o di seconda mano, dato che le alternative sostenibili ai prodotti dell’industria della moda sono il focus di questo numero di Vivi Consapevole. Qual è l’impatto del fast fashion?

Per dare un quadro esaustivo dovremmo considerare gli aspetti ambientali, economici e sociali. A livello ambientale la produzione impatta tantissimo sul consumo e sull’inquinamento delle acque.  Ovviamente anche le immissioni di CO2 in atmosfera sono rilevanti. Inoltre, ricordiamoci anche che se da una parte la materia prima di origine sintetica deriva dal petrolio (che comunque è un combustibile fossile), dall’altra parte ci sono delle materie prime che derivano dai campi, quindi dall’agricoltura, per cui dobbiamo tenere conto dell’impatto della moda sul mondo agricolo, soprattutto per quanto riguarda il cotone [secondo una news del Parlamento Europeo nel 2020, il settore tessile è stato la terza fonte di degrado delle risorse idriche e dell’uso del suolo; N.d.R.].

Sempre in ottica ambientale, il core business di tantissime industrie del fast fashion, ma non solo, è improntato alla sovrapproduzione, cosa che di per sé genera una grande massa di rifiuti (circa 11 chilogrammi di abiti buttati per ogni cittadino europeo ogni anno).

Per quanto riguarda l’impatto sociale, si sono fatti dei grandi passi avanti dopo il crollo del Rana Plaza avvenuto in Bangladesh, a Dacca, nel 2013, un disastro che ha causato la morte di migliaia di lavoratori del comparto tessile. Rimangono comunque delle zone d’ombra in molti Paesi in cui viene delocalizzata la produzione. C’è poi la parte economica: ormai siamo abituati a vedere abiti che costano talmente poco che l’acquisto diventa quasi obbligato. Quante volte ci siamo detti frasi del tipo “lo prendo, tanto costa solo 10 Euro”? 

Sei stata anche tu una fan dei grandi marchi della moda veloce?

Ovviamente anche io sono stata una vittima dell’acquisto compulsivo a basso prezzo, senza ombra di dubbio! Ho continuato per tanto tempo. Inizialmente era la regola. Anche perché quando ero ragazzina la fast fashion cominciava veramente a esplodere: c’era il fattore novità e acquistare in quel modo era la norma. Parallelamente, però, sono stata sempre molto amante, anche a livello culturale, del passato, e quindi della moda vintage. Mi sono sempre vestita andando a rubare qualche pezzo negli armadi di mamma, delle nonne e delle zie e acquistando nei negozi e nei mercatini dell’usato. Da alcuni anni non compro più fast fashion e ho ampliato di più la mia conoscenza dei brand che lavorano in maniera etica. 

Ci dai qualche consiglio pratico per vestirci in maniera più sostenibile? 

Nel mio libro Parla sostenibile (Slow Food Editore) dedico un capitolo intero alla moda e ho fatto uno schemino, anche un po’ divertente, per risponde alla domanda: “Mi serve un vestito?”. Ma prima ancora di pormi questa domanda dico: “Voglio comprare un vestito”, poi mi chiedo: “Ma mi serve un vestito?!”. Se la risposta è sì allora ho due strade a disposizione. La prima: posso andare a controllare, innanzitutto, se c’è già usato: ci sono delle aste on line, ci sono i mercatini, ci sono gli shop fisici che vendono second hand, per cui c’è davvero tantissima scelta. La seconda: se mi serve e non voglio comprarlo usato, devo darmi da fare per trovare un brand sostenibile. Come fare per trovarlo? Io cerco online sui motori di ricerca, oppure sul sito “Il Vestito Verde”. Ci sarebbe una terza strada: quella di andare a parlare con uno psicologo. Ovviamente lo dico scherzando, ma sarebbe davvero importante ragionare sul perché sentiamo così spesso il bisogno di cose nuove. 


Ultimi commenti su Vesti sostenibile: intervista all'esperta Silvia Moroni

Recensioni dei clienti

Gilia M.

Recensione del 01/08/2025

Valutazione: 5 / 5

Data di acquisto: 01/08/2025

Sono consigli che dovrebbero seguire tutti, perché non ha senso cambiare vestiti stagione dopo stagione per seguire "la moda", ovvero idee altrui, facendosi letteralmente lobotomizzare il cervello. Ci va un po' più di spina dorsale!

Lia M.

Recensione del 08/01/2025

Valutazione: 5 / 5

Data di acquisto: 08/01/2025

D'accordissimo con quanto detto; e infatti da quando ho scoperto queste dinamiche alle volte nascoste, ho adottato anch'io un modo di pensare ai vestitit diversamente

Andrea M.

Recensione del 01/08/2024

Valutazione: 5 / 5

Data di acquisto: 01/08/2024

articolo che porta alla riflessione: abbiamo bisogno di così tante cose nuove? se ognuno riflettesse seriamente su questa domanda, saremmo immediatamente più consapevoli delle nostre scelte. Mi ha impressionato il problema della sovrapproduzione, a cui non avevo mai pensato. Bell'articolo

Baristo T.

Recensione del 28/06/2024

Valutazione: 5 / 5

Data di acquisto: 28/06/2024

Sono pienamente d'accordo su tutto e sono convinta che educando i giovani fin da subito su tutte le tematiche sostenibili sarebbe un bel passo avanti. Mai seguito le mode e ho sempre comprato quel che mi serve quando mi serve tanto che metto ancora vestiti di quando ero ventenne, più di 30 anni fa e questo la dice lunga. Il detto poco ma buono vale per tutti i contesti.

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