Fibre tessili: quali evitare e quali preferire per la tua salute e quella del Pianeta
Pubblicato
1 anno fa
Lucia Cuffaro
Esperta di pratiche ecologiche e autoproduzione, divulgatrice e naturopata
No a poliestere, rayon e viscosa. Sì alle nuove fibre vegetali come il Tencel, il filo di ortica e la sempreverde canapa
Ci accompagnano in ogni momento della vita: i vestiti sono sempre con noi sin dal primo vagito e ci avvolgono donandoci protezione. Allo stesso tempo si possono dimostrare devastanti, in quanto parte di una delle industrie più inquinanti al mondo, quella della moda.
Un impatto devastante
Secondo le Nazioni Unite questo comparto immette ogni anno in atmosfera fino a 5 miliardi di tonnellate di CO2. Un dato che è persino in crescita a causa dell’incremento della cosiddetta “fast fashion”, la moda veloce, usa e getta, a basso costo e ad alto impatto ambientale, tanto amata dai giovanissimi. Il processo di produzione richiede infatti immense quantità di acqua per la tintura, il lavaggio e il finissaggio dei tessuti, con la conseguente contaminazione delle risorse idriche e il rilascio di inquinanti nell’atmosfera. Molte sostanze chimiche, come ad esempio i coloranti, si rivelano aggressive anche per la salute umana, determinando l’insorgenza di patologie cutanee difficili da curare in tempi brevi. La dermatite da tessuto sta diventando infatti una malattia comune. Si manifesta con arrossamenti, pruriti, secchezza, eruzioni e ferite con versamento di liquidi.
Abiti che diventano ben presto rifiuti
Se il fashion è sempre più fast, lo è anche lo smaltimento dei rifiuti tessili, che viene fatto in modo veloce e senza grandi attenzioni. Si procede un po’ come quando si nasconde la polvere sotto il tappeto. Quantità inimmaginabili di abiti vengono ammassati nelle discariche dei Paesi più poveri. Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente circa il 40% dei capi di abbigliamento usati o dismessi ogni anno dai Paesi dell’Unione Europea finisce in Africa, in discariche all’aperto, spesso realizzate tra le dune di un deserto. Tanti progetti si stanno diffondendo per invertire questa rotta. Anche in Italia è ad esempio attiva Humana People to People, che si occupa di raccolta, vendita e donazione di abiti usati, finanziando progetti nel Sud del mondo. Gli utili dei negozi con abiti usati di Humana sostengono diverse attività di cooperazione internazionale (humanaitalia.org).
Impatto sociale
Per quanto riguarda l’impatto sociale della produzione di abiti e accessori, non si può non parlare delle condizioni di lavoro disumane nelle fabbriche in Paesi in via di sviluppo, con lavoratori sottopagati e costretti a operare in condizioni spesso pari alla schiavitù. Tutto questo è documentato anche grazie alla Campagna Abiti Puliti. Nell’homepage del sito abitipuliti.org c’è l’utile sezione “Vuoi sapere come lavora il tuo brand preferito? Cercalo qui!”. Permette con qualche click di conoscere il campo d’azione di un’azienda tessile. Bisogna essere pronti però a conoscere la verità: anche la nostra marca preferita potrebbe essere una delle peggiori.
Fibre tessili: quali evitare
La scelta di un abito non è mai semplice, anche per un consumatore attento.
Barbara Molinario – giornalista, presidente dell’Associazione Road to green 2020, ogni anno promuove il contest Road to green che premia progetti di moda etica, e non solo – inquadra la situazione: «Il consumismo sfrenato e l’avvento del fast fashion ci hanno portati ad avere un guardaroba composto prevalentemente da tessuti sintetici, contenenti plastica. Perfino i capi in cotone che abbiamo dentro il cassetto potrebbero non essere sostenibili, perché il filo che li compone è quasi sempre in poliestere e la tintura potrebbe essere chimica. Inoltre, il cotone è il tessuto che richiede più acqua. La sua impronta idrica è infatti di circa 10.000 litri per chilogrammo. La situazione peggiora quando si tratta di tessuti come il poliestere o tessuti semi sintetici come rayon o artificiale come la viscosa. Sono realizzati mediante processi chimici che oltre a impattare molto sull’ambiente, sono anche collegati a vari problemi di salute e malattie, come il Parkinson, gli ictus e gli attacchi cardiaci».
Ma perché questi tessuti sono così dannosi per l’ambiente e la salute umana? «Anzitutto perché contengono petrolio – continua Molinaro. Il poliestere è realizzato anche con il PET, lo stesso materiale delle bottiglie di plastica. Queste fibre rilasciano microplastiche che si depositano sul fondo degli oceani; inoltre, per il loro raffreddamento viene impiegata un’ingente quantità di acqua ed è richiesta molta energia. Scegliere fibre naturali è la soluzione meno impattante, anche se questo richiede una spesa molto più alta e non tutti i consumatori sono disposti a spendere tanto. Il fast fashion sta cercando di recuperare proponendo capi realizzati con tessuti riciclati, anche se, come sappiamo, si tratta sempre di fibre sintetiche».
DALLA POLPA DI LEGNO ALL'AGRIWASTE PER LA MODA A BASSO IMPATTO
La consapevolezza negli stili di vita che caratterizza il nostro decennio sta contaminando anche l’abbigliamento. Si sta facendo infatti sempre più largo un approccio legato alla moda etica e sostenibile. Fibre vegetali innovative e sostenibili sono entrate finalmente negli armadi di tutto il mondo.
Tra queste una novità è il Tencel. Questa fibra ecologica viene prodotta principalmente da legno di eucalipto proveniente da foreste gestite in modo sostenibile. Si caratterizza per un processo di produzione che consente il recupero e il riutilizzo quasi totale dei solventi organici e delle sostanze utilizzate. Il Tencel è morbido e traspirante, il che significa che può assorbire l’umidità e liberarla rapidamente, mantenendo il corpo fresco e asciutto. Questa caratteristica lo rende adatto anche per i capi d’abbigliamento estivi o per la biancheria da letto. Anche gli slip assorbenti da ciclo sono fabbricati col tencel. «Fra i tessuti più sorprendenti c’è anche l’Orange Fiber, prezioso e morbido come la seta. Arriva direttamente dalla Sicilia ed è il primo tessuto al mondo a essere prodotto dagli scarti della produzione degli agrumi. Dal banano si può ottenere poi un tessuto resistente che è perfetto per zaini e borsoni. Il Pinatex è un tessuto ricavato dalle foglie di ananas: è morbido, duttile e resistente e viene impiegato per abbigliamento, accessori e tappezzeria» - conclude Barbara Molinario.
Policotone
Sul mercato sono poi arrivate altre nuove fibre. Si parla ultimamente molto di Policotone, ovvero il tessuto fabbricato miscelando cotone e poliestere. Il cotone è una fibra vegetale morbida e traspirante, il poliestere è invece sintetico, ed è impiegato in questa tecnologia perché resistente e durevole. C’è però da dire che, anche se viene descritto come un composto ecologico, vi sono delle perplessità.
Alessandra Gallo, fondatrice di Fashionable Green, studio di consulenza per la moda responsabile, spiega: «Attualmente la tecnologia non ci permette di dividere le fibre dei materiali misti, quindi il Policotone non è riciclabile. Molte startup stanno lavorando per sviluppare la tecnologia che possa permettere il riciclo di questi tessuti in mischia. Recentemente l’azienda americana Circ ha raggiunto l’obiettivo di separare le due fibre. Speriamo che questa tecnologia sia presto scalabile e possa portare la percentuale attuale del tessuto riciclato (1% del rifiuto tessile) a crescere in modo importante. Questo per poter trasformare gli scarti tessili in tessuto riciclato, riducendo i rifiuti dispersi nell’ambiente o bruciati».
Canapa, bambù e lino
Queste fibre vegetali e sostenibili sono sempre più presenti nel mercato grazie alla loro versatilità. La canapa è una delle piante più antiche coltivate al mondo; una risorsa ecologica che offre tanti vantaggi. La sua rapida e abbondante crescita senza la necessità di sostanze chimiche, il contributo alla riduzione del carbonio, il risparmio d’acqua, la biodegradabilità, l’efficienza di prestazione nel comparto della moda la rendono un vero e proprio tesoro. È brillantemente impiegata per produrre non solo abiti, ma anche scarpe, borse e accessori vari.
Attenzione però a quei tessuti che, come il lino o il cotone, potrebbero essere trattati con pesticidi e fertilizzanti chimici. Meglio scegliere prodotti che appongono in etichetta le certificazioni del biologico, come nel caso del cotone organico.
Ortica
C’è poi una novità tutta italiana. Dal 2021 sono arrivati i primi abiti in filo d’ortica. Una fibra vegetale che non viene da luoghi esotici, ma dall’Appennino emiliano.
Luisa Ciocci, trascinante ed entusiasta presidente della cooperativa di comunità Ortika Clothing di Fanano (MO), racconta questo sorprendente percorso: «Sull’Appennino modenese, prima degli anni Cinquanta, con l’ortica venivano realizzati i sacchi per contenere le granaglie di cereali. L’ortica è stata anche utilizzata, fino al 1939, per le divise militari. Gli anziani del posto raccontano che era impiegata per queste produzioni una particolare varietà: l’ortica nera. Grazie a una collaborazione con l’Università della Lorena abbiamo identificato questa specie dallo stelo nero, che cresce oltre gli 800 metri e che detiene una percentuale di fibre di ortica maggiore rispetto alle altre. L’abbiamo chiamata Ortica Ospitale Nera, dal luogo in cui è stata trovata».
Una tradizione antica che ha dunque rivisto la luce; questo grazie alla salubrità della fibra d’ortica sia per il benessere umano che per la terra. L’ortica è infatti una pianta idonea per le rotazioni, dato che non sfrutta il terreno, anzi lo arricchisce. La fibra di ortica non cede sostanze tossiche: è iper traspirante, antibatterica, antisettica, anallergica e se dovesse sorgere giustamente il dubbio, è anche molto comoda una volta indossata.
Non è infatti urticante come ci si aspetterebbe, anzi si tratta di una fibra viva. Più la si usa, e più diventa morbida e confortevole. Possiede anche grande durevolezza, in completa antitesi all’economia del fast fashion e dell’usa e getta. Il caso della cooperativa di comunità Ortika – che opera per riportare produttività sul territorio, partendo da risorse del luogo e coinvolgendo persone locali all’interno della filiera produttiva e di sviluppo come stilisti, modellisti, sarti, agricoltori, raccoglitori, venditori – sta diventando di ispirazione per tutti coloro che sono in cerca di un nuovo modo di fare moda, rispettoso per l’ambiente, la salute umana, i lavoratori, e perché no, anche del nostro innato bisogno di creatività e colore.
Come leggere le etichette degli abiti
Comprendere le indicazioni riportate sulle etichette dei vestiti è un modo virtuoso per assicurare lunga vita al nostro guardaroba. La maggior parte dei capi ha un’etichetta cucita all’interno, o sul retro, che riporta indicazioni fondamentali:
- composizione del tessuto con inclusi i tipi di fibre tessili e le percentuali di ogni materiale. Ad esempio, si può leggere “100% cotone biologico” o “80% lino e 20% canapa”;
- informazioni sulla presenza di fibre ecologiche, sostenibili e vegan;
- paese di origine in cui il capo è stato fabbricato: quest’informazione è importante per un acquisto consapevole sulla provenienza dei vestiti;
- taglia, che in genere in Italia varia da S (piccolo), M (medio), L (grande), XL (molto grande) ecc;
- informazioni sul produttore o sul marchio di moda.
- Ecco le principali istruzioni di lavaggio per prendersi cura del capo al meglio:
- simboli con indicazioni per il lavaggio in lavatrice o a mano: forma di una bacinella;
- simboli con indicazioni per il lavaggio a secco: forma di un cerchio;
- simboli con indicazioni per il candeggio: forma di un triangolo;
- simboli con indicazioni per l’asciugatura: forma di un quadrato con un cerchio dentro;
- simboli con indicazioni per la stiratura: forma di un ferro da stiro.