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Una narrazione diversa dei conflitti in Medio Oriente

Pubblicato 3 anni fa

Leggi un estratto da "Medio Oriente" di Salvo Ardizzone

L'arco di mondo che va dalle coste atlantiche del Maghreb e Sahel fino alle montagne afghane e pakistane, e giù, fino alla soglia del Corno d'Africa, è teatro di violenti fenomeni di destabilizzazione, le cui radici vanno indietro nel tempo ma che dall'11 settembre del 2001 hanno conosciuto una drammatica accelerazione.

L'Occidente ha compreso e comprende sempre meno le crisi e i conflitti che sono scoppiati in quest'area e sono destinati a moltiplicarsi; politici, giornalisti e analisti superficiali o interessati hanno fatto passare un messaggio semplicistico quanto erroneo, secondo il quale la colpa di tutto sarebbe da addebitare a un non meglio identificato radicalismo di matrice islamica che sfocia immancabilmente nel terrorismo; uno scontro fra "islamici cattivi" per definizione e "laici buoni", anche quando non si trova a chi appiccicare queste etichette.

Un esempio si è avuto quando, per convenienza e incapacità più o meno interessata di comprensione, i media occidentali hanno innalzato a realtà le "vetrine" delle varie "primavere arabe" mitizzando quelle "piazze" e applicando gli stessi metri di giudizio, superficiali quanto erronei, a crisi e tumulti che avevano ben poco da spartire con ciò che si diceva di essi. Le dinamiche vere, le motivazioni profonde di quei fatti sono altra cosa e rimangono impossibili da cogliere per chi si ostini a giudicare società e culture enormemente diverse con schemi ad esse del tutto estranei.

In realtà, in quella parte di mondo da molto tempo è in atto uno scontro che non ha nulla a che vedere con la democrazia e lo sviluppo delle società secondo i canoni dell'Occidente; laggiù è in gioco il predominio sull'intera area di visioni assai diverse del potere e della religione.

Per comprendere quelle dinamiche c'è da seguire un filo che lega i fatti, altrimenti indecifrabili, di un caos solo apparente: la lotta senza quartiere fra chi intende mantenere un antico sistema di dominio sulla regione e chi si oppone a quella sudditanza.

Alla luce di questa interpretazione trovano spiegazione sia alleanze altrimenti apparentemente incomprensibili (vedi quella fra Israele e Arabia Saudita) sia l'attivismo di attori esterni (vedi Turchia e Russia) che di quei conflitti vogliono approfittare per regolare conti e acquisire vantaggi; allo stesso modo divengono chiari i perché di ambiguità stridenti (vedi le complicità fra gli Usa e organizzazioni terroristiche come l'Isis, combattute nella retorica ufficiale ma funzionali agli interessi di Washington nella regione).

Il cuore della questione è che quest'area cruciale, asservita da molti, molti anni a un sistema di potere che s'è spartito le enormi ricchezze energetiche e mantenuto il vantaggio strategico di controllarle, è ora in rapido quanto radicale cambiamento e dalle rovine dei vecchi assetti sta sorgendo un nuovo Medio Oriente. Di qui le convulsioni di un mutamento epocale, determinate dal nuovo che vuole emergere e dal vecchio che gioca il tutto per tutto per mantenersi al potere, con attorno una pletora di attori piccoli e grandi a disputarsi i vantaggi da strappare in un momento di radicali cambiamenti. 

È un magma in rapida evoluzione, in cui avvengono continuamente aggregazioni, alleanze temporanee, cambi di campo e inserimenti di nuovi attori che, a seconda della coincidenza d'interessi, scelgono l'una o l'altra delle parti, in un rimescolamento di ruoli, ma il fulcro della Storia, che in quel quadrante s'è rimessa in cammino, resta il cozzo tra chi tenta in ogni modo di mantenere lo status quo (e gli enormi vantaggi e privilegi che da ciò derivano per alcuni) e chi quel sistema di assoggettamento sta facendo saltare.

Di seguito intendiamo andare alle radici di queste crisi sanguinose, partendo dall'instaurazione del sistema che ha dominato la regione e seguendo il percorso degli eventi che, nel tempo, lo hanno messo in discussione. Un percorso necessariamente lungo e complesso, di cui qui individuiamo motivazioni e dinamiche per spiegarne l'origine e il significato, costruendo una narrazione capace di dare orientamento a chi osserva fenomeni che, per la loro dimensione e portata, piaccia o no, influenzeranno il resto del mondo.

Nel libro abbiamo raccontato gli eventi a partire dalla conclusione del secondo conflitto mondiale, epoca in cui s'affermò l'egemonia Usa sulla regione, fino alla narrazione di quella "Guerra al Terrore" che lobby e think-tank "neocon" lanciarono, durante le presidenze di Bush Jr, per destrutturare e meglio dominare quel quadrante di mondo. Un periodo lungo e tormentato che ha visto l'assoggettamento dei popoli mediorientali e il fallimento dei tentativi di un loro riscatto fino al sorgere della Rivoluzione Islamica, un fenomeno che, per le dinamiche della regione, rappresenta uno spartiacque fra il prima e il dopo.

Tale fenomeno, che attraverso la sua dottrina della Resistenza si è opposto all'egemonia Usa, all'occupazione della Palestina, ai regimi autoritari di dittatori e ai regnanti assoluti delle petro-monarchie arabe, è infatti l'unico ad essersi dimostrato realmente efficace alla prova dei fatti, costituendo un'esperimento politico di straordinaria portata, capace di unire popoli e affrancarli. Per tale ragione la Rivoluzione Islamica costituisce un processo prodromico all'attuale situazione, la cui comprensione è indispensabile per interpretare il presente e scorgere il futuro che si apparecchia.

È un'esperienza di cui l'Occidente ha una visione distorta a causa della narrazione bugiarda che ne fa il mainstream mediatico egemonizzato dagli Usa, ovvero dalla potenza che quei sistemi d'assoggettamento ha tutto l'interesse a mantenere. Ma una realtà a cui, a nostro avviso, tutti i popoli sottoposti al potere dell'unipolarismo a Stelle e Strisce (e di qualunque potenza voglia farsi egemone sottomettendo le altre) devono guardare e trarre ispirazione, con occhio scevro da pregiudizi.

Ancora alcune notazioni: in Occidente è in atto da tempo una campagna che equipara l'Islam al terrorismo, dipingendolo, nel migliore dei casi, come una religione "arretrata", "oscurantista" e "violenta". Tale massiccia opera di disinformazione, che ha ormai pervaso il pensiero mainstream, è funzionale alla contrapposizione in atto che non è affatto uno scontro fra civiltà, come sbrigativamente liquidato da molti, ma il cozzo fra oppressori e oppressi, fra potentati che vogliono mantenere lo status quo a qualunque prezzo e popoli che intendono scrollarseli di dosso.

In tutto questo i media, e l'intero mondo dell'informazione, hanno giocato e giocano un ruolo essenziale nel creare una narrazione che asseconda e giustifica, invero in modo assai lacunoso e bizzarro, l'azione dell'Occidente in Medio Oriente e i regimi a esso funzionali. È un'azione talmente serrata e uniforme da costituire un "framing" che ha coperto e distorto la realtà, creando una "verità virtuale" quanto meno deviata, ma tale da giustificare politiche che giustificabili non sono in alcun modo.

In realtà non sono mancate alcune voci dissonanti nella Stampa e nei media internazionali e ciò perché talvolta i fatti parlano da sé; tuttavia quelle denunce cadono nel vuoto, senza incidere minimamente nella coscienza collettiva perché la mancanza di una chiave interpretativa le fa apparite fatti episodici e scollegati, troppo estranei al pensiero mainstream che subito li ricopre.

Questo libro intende fornire, appunto, quelle chiavi interpretative alla cui luce tanto si spiega e tanto cambia significato; al suo interno abbiamo volutamente dato la precedenza a fonti occidentali, spesso a media blasonati campioni del pensiero globalista che di quel sistema di potere più volte citato è l'essenza, anche quando sarebbe stato assai più semplice attingere ad altre mediorientali, e questo proprio per mostrare come la gran parte delle notizie, dei fatti, ci siano e chiedano solo d'esser messi in fila per ottenere una narrazione completamente diversa da quella omologata. È questo che abbiamo voluto fare.

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