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Un'altra prospettiva: la Primal Health Research

Pubblicato 4 anni fa

Leggi un estratto da "La Scientificazione dell'Amore" di Michel Odent e scopri l'importanza dell'amore per la sopravvivenza umana

Il nostro centro di ricerca, il Primal Health Research Centre, ha creato una banca dati con centinaia di riferimenti a studi pubblicati su autorevoli riviste scientifiche e mediche.

Tutti questi studi hanno preso in esame le correlazioni tra il "periodo primale" e lo stato di salute e il comportamento futuro.

Secondo l'interpretazione da me proposta in passato, il periodo primale comprende la vita fetale, il periodo attorno alla nascita e il primo anno "di vita'".

Da una panoramica sulla nostra banca dati sembra che ogni qualvolta i ricercatori si sono soffermati sugli individui che denotavano una sorta di "ridotta capacità di amare", sia se stessi sia gli altri, sono emersi sempre fattori di rischio nel periodo attorno alla nascita. Inoltre, quando sono state messe in luce tali correlazioni, si trattava sempre di scottanti temi di attualità della nostra epoca.

Dobbiamo raccogliere tutti questi studi per renderci conto di quanto utile e innovativo si riveli il concetto di "ridotta capacità di amare".

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Indice dei contenuti:

La criminalità giovanile

La criminalità giovanile è senza alcun dubbio un tema di grande attualità. La si può considerare una forma di ridotta capacità di amare il prossimo.

Adrian Raine e il suo gruppo di ricerca dell'Università di Los Angeles, in California, hanno seguito 4269 soggetti maschi nati nello stesso ospedale di Copenhagen.

Hanno riscontrato che il principale fattore di rischio per diventare un criminale violento all'età di 18 anni era la presenza di complicazioni alla nascita abbinata a una separazione precoce dalla madre, o addirittura al rifiuto da parte di quest'ultima. Essere stati separati dalla madre o essere stati da lei rifiutati in tenera età non rappresentavano invece da soli un fattore di rischio.

I comportamenti autodistruttivi

Il suicidio in adolescenza, un tempo pressoché sconosciuto, è un'altra tematica rilevante tipica della nostra epoca.

Lee Salk e il suo gruppo di ricerca a New York analizzarono le storie di 52 adolescenti che avevano commesso suicidio prima dei vent'anni e le comparò con 104 casi di controllo. Dallo studio emerse che uno dei principali fattori di rischio per il suicidio in adolescenza era la rianimazione neonatale.

Lo svedese Bertil Jacobson si soffermò in particolare sulla modalità di suicidio scelta dagli individui.

Nel suo primo studio esaminò le informazioni sulla nascita raccolte per 412 casi relativi a suicidi e le confrontò con 2901 casi di controllo. Scoprì che il suicidio per asfissia era strettamente correlato ad asfissia al momento della nascita, e il suicidio per mezzo di strumenti di vario tipo era connesso a traumi meccanici sofferti durante il parto.

Nel suo ultimo studio, Jacobson dimostrò che gli uomini (ma non le donne) che avevano sperimentato una nascita traumatica corrono un rischio cinque volte maggiore rispetto agli altri di commettere suicidio ricorrendo all'uso di modalità violente.

Jacobson prese in esame le storie di 242 soggetti che si erano suicidati in età adulta utilizzando armi da fuoco, oppure lanciandosi nel vuoto o buttandosi sotto un treno, o ancora impiccandosi o procurandosi lacerazioni. Li confrontò con 403 fratelli e sorelle nati nello stesso periodo e nel medesimo ospedale.

Anche dopo aver corretto i risultati tenendo conto di un gran numero di possibili fattori associati, Jacobson notò che le differenze tra uomini e donne scomparivano nel caso in cui durante il travaglio la madre era ricorsa ad antidolorifici della famiglia degli oppiacei. Sembra che gli effetti collaterali a lungo termine di analgesici come la morfina o vari tipi di suoi derivati di sintesi siano diversi, e includano la tossicodipendenza.

Jacobson studiò anche la dipendenza da droghe.

Assieme a Karin Nyberg esaminò le storie di 200 persone dipendenti da oppiacei nate a Stoccolma tra il 1945 e il 1966, e le confrontò con fratelli e sorelle non tossicodipendenti come gruppo di controllo. I due ricercatori scoprirono che, se alla madre erano stati somministrati determinati antidolorifici durante il travaglio, il figlio correva un rischio statisticamente maggiore di sviluppare una tossicodipendenza da adolescente.

In tempi più recenti, Karin Nyberg e il suo gruppo di ricerca hanno confermato questi risultati su un campione statunitense. Essi hanno osservato che la somministrazione di tre dosi di oppiacei o di barbiturici alla madre durante il parto era associata a un rischio cinque volte maggiore per il figlio di sviluppare in futuro una tossicodipendenza.

Anche l'anoressia nervosa è una forma di comportamento autodistruttivo. L'unico studio sull'anoressia nervosa inserito nella nostra banca dati ha individuato correlazioni con la nascita.

Un gruppo di ricerca ebbe accesso ai dati archiviati relativi alla nascita di tutte le donne nate in Svezia tra il 1973 e il 1984 ed ebbe la possibilità di consultare le cartelle cliniche di 781 ragazze di età compresa tra i 10 e i 21 anni che erano state ricoverate in un ospedale svedese con diagnosi di anoressia nervosa. Ad ogni caso di anoressia assegnarono 5 casi di controllo di ragazze non anoressiche nate nello stesso anno e nello stesso ospedale.

Da questo autorevole studio emerse che il fattore di rischio più significativo per l'anoressia nervosa è un cefaloematoma alla nascita, vale a dire un ristagno di sangue tra cranio e cuoio capelluto, indicativo di una nascita fortemente traumatica da un punto di vista meccanico. Altri fattori di rischio risultarono l'uso del forcipe o della ventosa.

L'autismo

Possono essere considerati espressione di una ridotta capacità di amare anche l'autismo e i disturbi dello spettro autistico.

I bambini e gli adulti autistici non socializzano. Da adolescenti non riescono ad allacciare le prime relazioni d'amore. Da adulti non hanno figli.

Cominciai a interessarmi all'autismo nel 1982, quando incontrai Niko Tinbergen, uno dei "padri" dell'etologia, premio Nobel nel 1973 assieme a Konrad Lorenz e Karl Von Frisch.

Abituato, in quanto etologo, a osservare il comportamento dei soggetti "sul campo", egli studiò in dettaglio il comportamento non-verbale dei bambini autistici nel loro ambiente domestico. Non soltanto fornì descrizioni particolareggiate delle sue osservazioni, ma allo stesso tempo stilò una lista dei fattori che predispongono all'autismo o che possono aggravarne i sintomi.

Individuò chiaramente tali fattori nel periodo attorno alla nascita: parto operativo con forcipe "difficile", parto sotto anestesia, rianimazione alla nascita e induzione del travaglio. Quando lo conobbi stava studiando le possibili correlazioni tra la difficoltà di un bambino a stabilire un contatto visivo diretto e la mancanza del primo scambio di sguardi tra madre e bambino immediatamente dopo la nascita.

Presentò i dati raccolti senza ricorrere al linguaggio statistico e non utilizzò gruppi di controllo. Ciò nonostante il lavoro di Tinbergen e della moglie rappresenta il primo tentativo di studiare l'autismo dalla prospettiva della ricerca in salute primale.

Molto probabilmente è proprio grazie al mio incontro e alla mia corrispondenza con Niko Tinbergen che nel giugno 1991 lessi con particolare attenzione un articolo di Ryoko Hattori, una psichiatra di Kumamoto, in Giappone.

Hattori aveva valutato le possibilità di sviluppare autismo in base al luogo di nascita e scoprì che i bambini nati in un determinato ospedale risultavano notevolmente più a rischio. In quel particolare ospedale la prassi era quella di indurre il parto sistematicamente una settimana prima della data presunta, utilizzando una complessa miscela di sedativi, anestetici e analgesici nel corso del travaglio.

Oggi l'interesse verso questo tipo di studi risulta ancora maggiore, dato che conosciamo meglio il profilo ormonale dei bambini autistici e le peculiarità delle loro strutture cerebrali. L'ossitocina, in particolare, sembra rappresentare un fattore chiave e, di conseguenza, un promettente oggetto di studio.

Ricordiamo che l'ossitocina, che stimola le contrazioni uterine per la fuoriuscita del bambino e della placenta, è un ormone altruista, un ormone dell'amore.

Nei bambini autistici il livello di ossitocina sembra essere più basso, e già si è provato a curare alcuni casi di autismo somministrando ossitocina. Immagino che un giorno si studierà il rilascio di ossitocina nei bambini autistici.

Sembra che questo ormone sia più efficace se viene rilasciato ritmicamente, in una successione di rapide pulsazioni. Oggi è diventato possibile misurare la ritmicità, ovvero la pulsazione, del rilascio di ossitocina.

I risultati dei principali studi che hanno individuato una correlazione tra le modalità di nascita e varie forme di ridotta capacità di amare sono stati pubblicati su riviste mediche molto prestigiose. Ma sono passati relativamente inosservati e non vengono citati nella maggior parte degli articoli successivi. Hanno tutti in comune questa caratteristica.

Per citare un esempio, in un'ampia rassegna sull'autismo del British Medical Journal non si fa menzione di alcuno di questi studi sulle correlazioni con il periodo primale. Ci si potrebbe anche chiedere come mai quasi nessuna di queste ricerche sia stata ripetuta da un numero maggiore di gruppi di ricerca.

La ricerca può essere politicamente scorretta?

Ho conosciuto personalmente gli autori di tutti questi studi, quindi sono in grado di fornire commenti pertinenti riguardo questo tipo di ricerca.

Prima di morire di un colpo apoplettico, Niko Tinbergen mi scrisse una serie di lettere. Si meravigliava del fatto che la maggioranza degli psichiatri infantili "trovasse i suoi metodi, i suoi dati e le sue considerazioni difficili da accettare". Aggiunse di percepire "una sorta di diffidenza e di rifiuto da parte del suo ordine professionale".

Nel corso di uno dei miei viaggi in Giappone incontrai Ryoko Hattori. A seguito della pubblicazione, nel 1991, dei dati che aveva raccolto sui bambini autistici, era stata licenziata dalla clinica universitaria in cui prestava servizio come psichiatra. Come logica conseguenza fu costretta ad abbandonare ogni speranza di approfondire, o ripetere, gli studi svolti.

Un giorno ebbi una conversazione con Lee Salk, che studiò il suicidio in adolescenza dalla prospettiva della ricerca sulla salute primale. Era scoraggiato e stupito dello scarso riscontro ottenuto dalle sue scoperte. Poco tempo dopo morì di cancro.

Bertil Jacobson, che studiò tutte le tipologie di comportamento autodistruttivo, fu enormemente ostacolato dalle commissioni etiche, che gli impedirono di accedere agli archivi con i registri di nascita, e così anche lui non potè proseguire le ricerche.

La tesi di Karin Nyberg sugli "studi degli eventi prenatali come potenziali fattori di rischio per l'abuso di droghe in età adulta" in un primo momento fu rifiutata dal Karolinska Institute, senza alcuna motivazione tecnica, etica o scientifica: uno scandalo senza precedenti.

Lo stesso accadde ad Adrian Raine che, pur di origine britannica, dovette scontrarsi con una serie di rifiuti nel Regno Unito, prima di trovare l'opportunità di realizzare i suoi progetti di ricerca a Los Angeles.

Recentemente ho coniato l'espressione "epidemiologia a vicolo cieco", riferendomi a studi che non vengono replicati, neppure dal ricercatore originario. In quest'ambito rientra anche la ricerca su tematiche di attualità (criminalità giovanile, suicidio in adolescenza, dipendenza da droghe, anoressia nervosa e autismo ne sono buoni esempi).

Nonostante la pubblicazione su riviste mediche e scientifiche prestigiose, le scoperte vengono eluse dalla comunità medica e dai media.

Ho utilizzato l'espressione "epidemiologia a vicolo cieco" in contrapposizione all' "epidemiologia circolare", già in uso per denunciare la tendenza a ripetere incessantemente gli stessi studi, anche quando non sussistono dubbi sui risultati ottenuti.

Iniziare dalla vita fetale

Tutti gli studi precedenti erano retrospettivi. Questo significa che i ricercatori avevano considerato bambini, adolescenti o adulti che avevano qualcosa in comune (erano criminali, tossicodipendenti o autistici, e così via), per poi analizzare la loro storia.

All'interno della nostra banca dati vi sono anche studi prospettici, in particolare quelli il cui obiettivo è valutare i possibili effetti a lungo termine sulla discendenza provocati dallo stato emozionale della madre durante la gravidanza.

Alcuni di questi studi suggeriscono che le condizioni emotive della donna incinta possano generare effetti a lungo termine sulla socia(bi)lità, sull'aggressività o, in altri termini, sulla capacità di amare.

Il primo di questi studi fu condotto in Finlandia. Due psicologi individuarono 167 bambini il cui padre era morto prima della loro nascita, e altri 168 il cui padre era morto nel corso del primo anno di vita. Seguirono quindi i 335 soggetti per un arco di 35 anni, raccogliendone i dati medici. Tutti quei bambini crebbero senza padre, ma soltanto quelli che lo avevano perso quando erano ancora in grembo correvano un rischio maggiore di diventare criminali, alcolizzati o malati mentali.

Questo studio dimostra chiaramente che lo stato emozionale della madre durante la gravidanza ha maggiori effetti a lungo termine rispetto a quello durante il primo anno dopo la nascita.

Gli studi effettuati su bambini nati da gravidanze indesiderate giungono a conclusioni simili.

Verso la fine degli anni Cinquanta un gruppo di ricerca di Gotheborg, in Svezia, avviò un progetto per studiare dal punto di vista socio-psichiatrico la vita di bambini nati dopo che la madre si era vista rifiutare la richiesta di aborto. I 120 soggetti del gruppo di studio e i 120 del gruppo di controllo furono dapprima seguiti fino all'età di ventun anni, poi la ricerca fu protratta fino al compimento dei 35 anni. La principale conclusione fu che il grado di socia(bi)lità risultava minore nel gruppo di soggetti la cui madre non aveva potuto abortire, e le differenze erano ancora rilevabili all'età di 35 anni.

Lo studio di Praga riguardò un gruppo di 220 soggetti nati da madri che, tra il 1961 e il 1963, si videro rifiutata la richiesta di aborto per ben due volte, in prima istanza e in appello. Furono pubblicati i risultati di quattro fasi di valutazione. All'età di trent'anni 190 di essi vennero esaminati e messi a confronto con un caso di controllo. Proprio come in Svezia, il grado di socia(bi)lità del gruppo di studio risultava significativamente minore.

In Finlandia fu avviato uno studio con impostazione, finalità e ampiezza diverse, che nel 1966 coinvolse inizialmente 11.000 donne incinte. Al sesto o settimo mese fu loro chiesto se la gravidanza era stata desiderata, inaspettata ma ben accetta o non desiderata.

Il rischio di soffrire di schizofrenia in futuro risultò significativamente maggiore tra chi era nato da una gravidanza indesiderata. La schizofrenia, in cui la personalità risulta "separata" dall'ambiente circostante, può essere considerata una ridotta capacità di amare.

È interessante notare che, nonostante le notevoli difficoltà tecniche, gli studi sugli effetti a lungo termine dello stato emozionale della madre in gravidanza sono stati prolungati o ripetuti da altri gruppi di ricerca. Forse risultano più politicamente corretti di quelli che mettono in luce correlazioni con la nascita stessa.

Riepilogo

Se si esamina la storia di soggetti che dimostrano una qualche forma di ridotta capacità di amare, sia se stessi, sia gli altri, sembra che tale capacità dipenda in gran parte dalle prime esperienze vissute durante la vita fetale e nel periodo attorno alla nascita.


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