Suoli più fertili e cibo migliore con l'agricoltura rigenerativa
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2 anni fa
L’agricoltura rigenerativa ci aiuta ad avere suoli molto più fertili: per difenderci dal cambiamento climatico, dall’erosione e avere prodotti migliori e più abbondanti
L’agricoltura rigenerativa è quella che ha l’obiettivo di restaurare il potenziale delle risorse naturali rinnovabili presenti in un territorio, prima tra tutte la fertilità del suolo. Eh sì, perché la salute del suolo (la fertilità della terra) è l’unico vero capitale sociale ed economico per l’umanità ed è oggi radicalmente compromessa, soprattutto in Italia.
Ne abbiamo parlato con Matteo Mazzola, perito agrario, fondatore di Terra Organica e co-fondatore di ISIDE, un’azienda agricola a sistemi integranti dove nutraceutica e agroecologia sono le fondamenta.
Matteo ha alle spalle un intensissimo e appassionante percorso formativo e lavorativo in quattro continenti, con maestri di fama mondiale come David Holmgren, Jairo Restrepo Rivera, Darren Doerthy, Joel Salatin, Ernst Goetsch, Jaime Elizondo Braun e tanti altri. Ha lavorato con diverse organizzazioni ed associazioni in diversi Paesi del mondo coordinando progetti di sviluppo rurale, come consulente e formatore in campo agroecologico. È uno dei massimi esperti italiani di agricoltura rigenerativa.
Ciao Matteo, cosa ne pensi dello stato di fertilità dei suoli italiani?
Lo stato di fertilità dei suoli italiani è pessimo, nel senso che, essendo un Paese con tante aziende agricole di piccolissime dimensioni, è molto difficile fare evolvere quella che è la “tradizione di gestione del suolo”. La tradizione è quella di lavorare il suolo e dare concimazioni tradizionali o malfatte. Ci troviamo quindi di fronte a uno stato veramente preoccupante – uno tra i peggiori al mondo a livello di fertilità. Inoltre sfruttiamo i nostri suoli in maniera veramente molto pesante, a cominciare dal piccolo agricoltore fino ad arrivare al grande.
Perché la fertilità del suolo è così importante?
Dal punto di vista evolutivo, la fertilità sotto forma di sostanza organica, di humus, è quello che i microrganismi del suolo, in milioni di anni di evoluzione, hanno messo a punto come sistema tampone per fare funzionare meglio il mondo vegetale e il mondo animale.
È importante per regolare il cambiamento climatico, guardando un po’ da lontano tutta la questione idrogeologica, per cui gli ecosistemi riescono ad assorbire più acqua e a cederla agli utilizzatori più profondi, oltretutto favorendo l’infiltrazione e il nutrimento delle falde sotterranee. Si controlla inoltre l’erosione.
Abbiamo poi un ciclo dei nutrienti molto più articolato e completo, sia a livello quantitativo che qualitativo. Pertanto, con la sostanza organica, anche il profilo nutrizionale dei prodotti che poi noi andremo a raccogliere sarà sicuramente migliore dal punto di vista quantitativo e qualitativo. Infine abbiamo una migliore termoregolazione, per cui il terreno non diventa troppo caldo o troppo freddo troppo velocemente, durante la notte, ma anche durante l’arco dell’anno, fra una stagione e l’altra. Una miriade di ragioni connesse direttamente sia alla produttività, ma – se non di più – anche al funzionamento e alla salute degli ecosistemi e della biosfera ci testimoniano l’importanza della fertilità del suolo.
Cosa compromette la salute del suolo?
La salute del suolo viene compromessa da una gestione agronomica scorretta, tradizionale, per cui con lavorazioni che vanno a distruggere sia la sostanza organica, sia gli aggregati della struttura del suolo e che vengono fatte troppo velocemente.
Idealmente, non bisognerebbe lavorare il suolo quando è possibile. Inoltre ne compromette la fertilità l’utilizzo di un eccesso di concimi e fertilizzanti, sia di origine biologica, che di sintesi nell’uso convenzionale; un eccesso di azoto, che favorisce una più rapida decomposizione della sostanza organica, quindi un’erosione dell’immagazzinamento sia della sostanza organica più giovane, ma anche della componente umifera. Infatti, di base, l’asportazione dei residui colturali, quindi il non reintegro all’interno del sistema, oltre a sistemi tradizionali che non usino cover crops (colture di copertura o da sovescio), che non usino tutte quelle strategie che puntano a mantenere il suolo sempre coperto o coperto il più possibile.
Quali pratiche al contrario favoriscono la salute e la fertilità del suolo?
Tutto l’opposto di quello che ho detto. Di base, il mantenimento del terreno sempre coperto. Il fatto di lavorare tanto sulle poli-colture invece che sulle mono-colture. Avere radici e chioma sempre presenti nel terreno, per cui consociazioni tra semina, avvicendamenti ben studiati, che ci permettano di emulare il comportamento dei boschi o dei prati e dei pascoli, dove le radici e le chiome sono sempre presenti.
Come posso fare a comprendere lo stato di salute del mio terreno, anche, ad esempio, di un orto familiare?
Una piccola analisi molto semplice che si può fare è quella di prendere un po’ di terra, spruzzarci dell’acqua ossigenata sopra e vedere quanta schiuma fa. Tendenzialmente, più schiuma fa e più attività microbica è presente. Il che, non significa per forza che ci sia anche sostanza organica stabile, ma solamente una forte attività microbica in quel determinato momento.
Inoltre, lo si può comprendere dal profumo, dal colore, dal fatto che il terreno sia drenante, che respiri e che, allo stesso tempo, abbia la capacità di rimanere fresco, umido.
E ancora, il fatto che le piante riescano ad andare in profondità con le radici è spesso e volentieri connesso alla presenza di sostanza organica.
Ci sono poi analisi di laboratorio che ci permettano di capire quanta sostanza organica e quanto carbonio organico è presente nel terreno. Attenzione però: facendo un’analisi del genere si rischia di concentrarsi troppo sul composto, sul prodotto, e ci preoccupiamo che ci debba essere sostanza organica, humus, per cui magari andiamo a comprare del lombricompost, del compost o del letame, dimenticandoci però che la cosa più importante da fare sarebbe creare i presupposti per originare la sostanza organica in situ, più che importarla, il che significa tante radici, tante foglie che facciano fotosintesi clorofilliana. Attraverso la fotosintesi viene catturata l’anidride carbonica e trasformata in carbonio, che in parte porteremo via con i prodotti raccolti, ma che in gran parte rimane sotto forma di residui fuori terra e sotto terra, sotto forma di radici e di microrganismi che sono stati nutriti da questi essudati radicali, che la pianta produce grazie alla fotosintesi clorofilliana.
È quindi un po’ un cambio di paradigma: invece di andare a prendere da fuori quello che pensiamo sia l’elemento chiave, in realtà dobbiamo comprendere l’ecologia del suolo e come favorire semplicemente ciò che il suolo cerca di fare da milioni di anni, ovvero coprire con vegetazione attiva.
Anche nel caso in cui ci sia un utilizzo eccessivo di pacciamatura, bisogna cercare di sostituirla sempre di più con piantumazioni, con consociazioni, con sistemi policolturali. Senza mai dimenticare l’importanza di lasciare le radici nel terreno, che sono un po’ la banca perpetua di carbonio: in questo modo avremo un’infiltrazione sempre del carbonio negli orizzonti più profondi del terreno, quelli da cui poi il carbonio difficilmente riesce a “scappare”. Il carbonio che si trova nei primi centimetri di terreno, anche se lavoriamo molto bene, tende ad ossidarsi, o comunque a decomporsi, per cui lo perdiamo sottoforma di anidride carbonica, soprattutto durante il periodo estivo.
Quanto tempo è necessario per riportare un suolo non più fertile o maltrattato, al massimo stato di salute e di fertilità?
È molto difficile dare una risposta: dipende da tantissimi fattori, ad esempio dal fattore climatico, dal suolo, quindi da che tipo di suolo abbiamo, se cioè è un suolo franco, argilloso, limoso, sabbioso, limoso-sabbioso e tutte le altre possibilità che ci sono. Soprattutto, dipende dall’esperienza e dalla capacità di osservazione che l’agricoltore o l’orticoltore hanno.
Faccio un esempio: noi abbiamo prodotto, qui in azienda, un incremento di sostanza organica dell’1% all’anno, incremento che in certe aziende agricole non avviene neanche in 20 anni. Con idee e obiettivi ben chiari, con mezzi ed esperienza a disposizione, si può addirittura essere molto più veloci rispetto a ciò che abbiamo fatto noi. Ovviamente, io posso essere estremamente insostenibile nel portare tantissima sostanza organica da fuori e quindi arricchire il mio sistema con una fertilità che venga da un’altra parte, ma non è sostenibile. Avrò il mio piccolo angolo di paradiso, che però è stato possibile creare solo grazie allo sfruttamento di risorse che vengono da un’altra parte. Qual è la cosa più difficile in assoluto? Non è l’incremento ma il mantenimento, soprattutto in virtù dei cambiamenti climatici, delle temperature in aumento, della diminuzione della pioggia, che sono tutti elementi che giocano a sfavore dell’accumulo di sostanza organica e di un suo lento ma continuo recupero. Infatti, soprattutto il caldo e l’assenza di umidità in certi periodi, anche prolungati, non aiutano il processo di accumulo e mantenimento di sostanza organica.
Che suggerimento ti senti di dare a chi vuole iniziare un progetto di vita in campagna e che non conosca nulla di agricoltura rigenerativa?
Innanzitutto, suggerisco di osservare tantissimo. Vanno bene i libri, vanno bene i corsi, meno bene i guru. Bisogna diventare guru di sé stessi, andare a leggere il libro della natura. Andare a scavare, ad annusare, assaggiare, andare nei prati, tirare fuori le radici delle piante, andare nei boschi, guardare come si comportano le foglie, gli alberi, le stratificazioni. Inoltre, studiare tanta ecologia. Tutte le tecniche, tutte le metodologie che sono state sviluppate in questi ultimi 150 anni di agricoltura intensiva, sia dalla parte del bio, del biodinamico, sia con un approccio permacolturale, ma anche nel convenzionale, sono, per la maggior parte, dei metodi che sono stati sviluppati da altre persone. È importante prendersi la responsabilità di capire un pochino – come dovremmo fare con il nostro corpo – il funzionamento dell’entità del nostro orto, del terreno della nostra azienda agricola, per riuscire realmente ad applicare le tecniche più appropriate per quel determinato contesto.
È logico che si può incominciare con dei metodi che sono stati applicati o che vengono applicati in altri contesti, ma progressivamente dobbiamo evolvere e cercare di arrivare veramente a un optimum che sia il più appropriato possibile per il nostro contesto.
In sostanza, osservare tanto. Benissimo lo studio e tutto il resto. Soprattutto, forse, il consiglio più importante è quella di non avere paura di sbagliare. Quando ci affidiamo a milioni di anni di evoluzione del mondo naturale, difficilmente quello che andremo a fare sarà completamente sbagliato.