Sulle tracce della parola
Pubblicato
1 anno fa
Elisabetta Vagliani
Dottoressa in scienze dell’Educazione, esperta nei processi di apprendimento
Il linguaggio come elemento vitale dei bambini
L’origine del linguaggio è uno dei temi più indagati e controversi della ricerca contemporanea. Come su binari paralleli viaggiano numerosi dibattiti, tra i più rilevanti ci sono sicuramente quello storico e quello sociale.
Nella pluralità degli studi storici spiccano due posizioni fondamentali. Una che teorizza il linguaggio umano come conquista esclusiva della specie Homo sapiens, una manifestazione improvvisa. L’altra invece ritiene il linguaggio il risultato di una lenta evoluzione avvenuta in un'epoca assai più remota: il Pleistocene.
La trattazione sociale ha invece due anime profondamente connesse tra loro: una culturale e una neuroscientifica.Tale riflessione vede il mobilitarsi di nuovi ricercatori: non più solo storici, antropologi e primatologi, ma soprattutto scienziati, psicologi, sociologi e logopedisti. Platea che si pone come obiettivo principale di ricerca empirica l’individuazione dei sistemi cognitivi e cerebrali che governano, nel corso del tempo, l’elaborazione, la produzione e la comprensione del linguaggio stesso.
Linguaggio e relazione
Perché una lingua si sviluppi sono necessari due presupposti: quello biologico, che riguarda la possibilità di parlare, e quello sociale, che concerne l’utilità dell’espressione orale. Al di là delle posizioni, della moltitudine delle teorizzazioni storiche, filosofiche, sociali e antropologiche, riguardo il linguaggio, la sua comparsa, le motivazioni biologiche e sociali che hanno fatto sì che la specie umana si esprimesse attraverso l’oralità, la riflessione di oggi, seppur nella sua brevità, riguarderà strettamente il significato della parola e di come essa agisca durante tutto il corso della vita dell’essere umano.
Senza le parole infatti il bambino, il giovane, l’adulto e l’anziano pure non raggiungerebbero la loro dimensione umana. Nessuno sviluppo, nessuna crescita, alcun divenire sarebbe dato. Secondo questa visione lo scopo principale del linguaggio andrebbe ben oltre la trasmissione di informazioni; riguarderebbe invece la relazione tra i soggetti coinvolti.
La forza primordiale della lingua trasmessa dall’uomo al bambino permette ad esso di crescere, di essere nutrito nella mente e nel corpo. Ed è proprio l’uomo, avendo appreso il linguaggio a tempo debito, che a sua volta si farà mediatore di quella stessa magia. Dapprima badando alla gioia del ritmo, alla musicalità della lingua e solo successivamente, col tempo, aggiungendo il peso dell’informazione concettuale.
È ampiamente diffuso e accertato quanto l’esposizione alle voci, materna e paterna, già nella vita intrauterina, costituisca una primissima forma di comunicazione, un modo per cominciare ad assorbire una primitiva esperienza relazionale (per alcuni studi anche fonetica!) fondamentale per il benessere del feto.
Tutte le successive fasi che portano allo sviluppo della comunicazione e del linguaggio vengono raggiunte grazie alle relazioni interpersonali e si esplicano all’interno di esse.
Tra i sei e i nove mesi i bambini iniziano a prendere confidenza con la propria voce. È la cosiddetta fase della lallazione, durante la quale il bambino imita i suoni prodotti dagli adulti e risponde prontamente ai comportamenti degli interlocutori.
Tra i nove e i dodici mesi i bambini sono quasi pronti a parlare. Iniziano a manifestare una vera e propria intenzionalità comunicativa, attraverso la gestualità.
Lo scambio affettivo, relazionale e comunicativo tra bambino e genitore, sin dalla nascita, ha pertanto un effetto significativo sullo sviluppo globale del bambino e incide positivamente sull’apprendimento prelinguistico e linguistico.
Analfabetismo culturale
Ma cosa accade se il genitore si sottrae a quel dialogo, se sopraffatto da stanchezza, da indifferenza o ignoranza non si assume la responsabilità della parola?
Molto spesso sopravvalutiamo la qualità del tempo trascorso con i nostri figli. Siamo presenti fisicamente, magari condividiamo con loro uno spazio della casa, li portiamo al parco e poi…
Poi ci defiliamo dalla relazione e ci immergiamo nel nostro mondo, molto spesso virtuale, e non tolleriamo essere disturbati, convinti che la sola presenza fisica sia sufficiente e non preveda altre richieste. Senza nemmeno accorgerci il tempo passa, un tempo pieno, troppo pieno di rumori di sottofondo, ma vuoto, troppo vuoto di parole. Di parole creatrici, di parole edificanti che animano l’immaginazione, di parole che accendono un sogno, un desiderio, un pensiero, un contraddittorio. Parole scelte con cura, accostate sapientemente le une alle altre per nutrire chi le ascolta.
Non curare il linguaggio significa non avere parole per esprimere le proprie emozioni, per esprimere se stessi nella propria complessità e unicità, per raccontare la meraviglia e la semplicità delle cose.
Spesso nelle nostre vite (certo non in quelle di tutti, fortunatamente!) domina un lessico povero, misero, fatto di abbreviazioni, modi di dire all’ultima moda, slang, acronimi di scarso valore. Altrettanto spesso gli argomenti oggetto di discussione risultano banali, privi di qualità, poco meritevoli di essere articolati.
Sempre più attuale il fenomeno delle fatiche del linguaggio. Le fragilità linguistiche non riguardano solo i bambini, ma anche i giovani che sempre meno sono in grado di argomentare, di dare forma e senso compiuto ai propri pensieri. Così per la forma scritta, messa a dura prova nella sua complessità da una composizione priva di logica.
Sicuramente il movimento linguistico segue inesorabilmente i cambiamenti storici e le trasformazioni culturali, economiche e sociali. Questo comporta la perdita di usi linguistici apparentemente consolidati e la diffusione di forme e modalità comunicative nuove. Il pericolo però, non si nasconde nell'inevitabile scorrere del tempo, tanto meno nelle metamorfosi fisiologiche che esso porta con sé. Piuttosto nella volontà degli uomini di cedere all’appiattimento linguistico. L'appello è proprio agli uomini e alle donne: torniamo ad esprimerci con un eloquio ricco, abbondante, paratattico. Ripristiniamo il galateo della parola, ritrovando il gusto di conversare, di raccontare davanti al caffè o col favore della luna, di narrare fiabe al tepore del focolare.
Quali parole?
E allora quali parole occorre pronunciare? Quali argomenti discutere?
Nessuno in particolare; non ci sono argomenti principe, né altrettanti da bandire. Non ci sono luoghi o momenti migliori di altri. In passato c’erano le sedie sulle soglie, le piazze dei paesi, le panchine all'ombra: piccole comunità parlanti. Ognuno con il proprio dialetto, ognuno con la propria storia da raccontare, ognuno con le proprie parole del cuore. Oggi occorre riscoprire il desiderio di raccontare a viva voce, di pescare dalla memoria le filastrocche della nostra infanzia, gli aneddoti della nostra giovinezza. Non per intrattenere, ma per saziare i nostri figli, per donare loro parole sagge, gustose, opportune.
Non è necessario essere dei poeti, né degli esperti parolieri. Non è l'abilità retorica che fa di noi degli adulti responsabili o dei genitori migliori. Certamente le parole che ci confortano sono quelle che costituiscono un dialogo scorrevole nella struttura, dotato di lessico ricco e senso compiuto. Se è vero però che la parola, la comunicazione e il linguaggio sono necessari alla sopravvivenza dell'uomo come essere sociale, allora basterà animare la conversazione con passionalità, ognuno con il proprio stile per rinnovarsi nella propria peculiare umanità. Ricordando che il silenzio, pur essendo anch'esso uno spazio prezioso, necessario talvolta, rappresenta un'occasione persa.
Il pensiero, l'immaginazione mostrano la loro tridimensionalità grazie all'espressione orale, si fanno veri, quasi tangibili. Il linguaggio nella sua natura più viva, permea le nostre vite donando loro la meraviglia del racconto, della voce.
Un influsso di parole deleterie, di immagini false o perniciose producono un effetto rovinoso che riusciremo a contenere con fatica. Parole insensate o peggio dannose soprattutto se ripetute nel tempo. Vocaboli che si insinuano sedimentandosi nell'animo umano, si annidano nella mente del bambino, si aggrovigliano nella sua bocca causando un inevitabile turpiloquio espressivo.
Il potere della parola è notevole. È di colui che la pronuncia, è in chi la legge, la fa propria e da essa si lascia trasformare. Restituiamo al mondo le parole che lo hanno creato, permettiamo loro di risalire dal centro della terra in tutta la loro grandezza. Come i minatori con le gemme, come cercatori d'oro lungo i corsi d’acqua. Lasciamo che la fitta rete del setaccio ne lasci solo alcune, le più preziose e le altre le porti via la corrente. Lasciamo che l'uso le levighi e ne renda visibili le sfumature. E poi consegniamole ai nostri figli come biglie dorate raccontando loro la bellezza del mondo.
Così, anche quando avranno chiuso gli occhi, anche quando il respiro si farà profondo e disteso potranno avvertire il fluire di parole buone, rime bambine, storie gustose. Parole d'oro!
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