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Splat! Dove sei finito?

Pubblicato 4 anni fa

Leggi un estratto da "Fuori dal Fango" di Daniele Di Benedetti e scopri perché il fango può essere considerato una benedizione

Se ti stai chiedendo “Ma dove sono finito?”, la risposta è semplice: nel fango.

Non è fantastico?!

“Ma come fantastico? Sono scivolato, ho le scarpe inzaccherate, il bordo dei calzoni tutto pieno di fango. Se mi muovo, poi, mi sento sprofondare…

Guarda, ti capisco. Il fango lo conosco come le mie tasche. Ci sono rimasto talmente a lungo che, a un certo punto, invece di provare ad andarmene mi ci sono ambientato. Ci sguazzavo.

Stai leggendo un estratto da:

A quei tempi ero “solo un ragazzo”, come si dice a volte nel tentativo di giustificare la massa di scelte immature che compiamo da giovani: avevo diciotto, vent’anni portati con lo slancio dei discotecari, che fanno tardi cercando di riempire le notti perché le giornate sono tragicamente vuote e pericolosamente insignificanti.

L’unica attività in cui mi applicavo con il massimo impegno era la ricerca di modi sempre nuovi per non studiare. Quando proprio mi toccava, lo facevo male, controvoglia, certo che i libri mi avrebbero portato a vivere la peggiore di tutte le vite: quella degli adulti che vedevo soffrire ogni giorno a causa dei debiti e delle tensioni familiari, ovvero i miei genitori.

Il resto del tempo lo passavo a lamentarmi e a cercare di motivare in qualche modo il mio passaggio su questa Terra attirando l’attenzione degli altri.

Non riuscendo a diventare l’idolo di mamma e papà grazie a una via “sana”, mi ero buttato sullo sballo e i relativi problemi: chi l’ha detto che gli eroi sono solo quelli positivi? I film sono pieni di eroi negativi: non sono forse loro i più entusiasmanti, i più grandi, i più divertenti?

Non era stata una scelta consapevole: non mi ero seduto nella mia cameretta a riflettere, a soppesare le alternative, per riemergere alla fine con la decisione di dedicarmi soprattutto a ignorare chi mi voleva bene, a rispondere in malo modo ai miei genitori, a fare tardi, a stordirmi, ad apprendere le più raffinate tecniche per rollare le canne e a impennare in motorino più a lungo di chiunque.

La mia impressione era che tutto questo fosse semplicemente successo, che fosse la naturale conseguenza delle condizioni in cui vivevo. Io non c’entravo un bel niente: lì ero stato portato.

Sapevo di non stare bene, ma avevo gli occhi foderati di cartine e ingressi per le discoteche: pensavo che al mondo, per me, non ci fosse altro. Di essere in qualche maniera destinato a diventare il ras dell’isolato del quartiere Talenti, a Roma, dove vivevo.

Uscire dal fango mi sembrava talmente impossibile che, per sopravvivere, l’avevo reso indesiderabile.

Se venirne fuori era qualcosa che non desideravo, e che non valeva la pena fare, mi sarei risparmiato lo strazio di provare, fallire e soffrire.

Il pensiero di confrontarmi con quello che c’era fuori mi terrorizzava, al punto che preferivo morire anziché crescere. Difatti, l’unica scelta che riconoscevo come tale era aver fissato a 27 anni il momento della mia morte: come Kurt Cobain, Jim Morrison, Janis Joplin. Tutti volati via all’apice della loro bellezza, del loro vigore, della loro carriera.


Sentirsi inutili, senza uno scopo, è la cosa peggiore che possiamo vivere.


Poi la morte è venuta a bussare alla porta di casa, per davvero.

Se avessi saputo che sarebbe successo tutto questo, l’infarto me lo sarei fatto venire prima!” ha esclamato mio padre quando ha partecipato al mio primo evento: “Dal sogno al successo”.

Eravamo sul palco, davanti a cinquecento persone, tutte in lacrime al racconto del mio risveglio, che era coinciso con la sua malattia, e lui se ne è uscito con questa battuta. Battuta per modo di dire: non posso essere certo che una parte di lui non lo abbia pensato veramente.

È accaduto questo: lui ha rischiato la vita, i medici dell’ospedale l’hanno preso per i capelli e ce l’hanno restituito con la raccomandazione di essere sempre vigili e all’erta, visto che sarebbe potuto morire in qualsiasi momento. Cosa che, comunque, sarebbe di certo avvenuta entro due anni.

L’abbiamo portato a casa. Mentre mia madre si dedicava anima e corpo a lui e a mio fratello, allora quattordicenne, il sottoscritto, allora ventenne, si è trovato di fronte a un bivio. Responsabilità o fuga, in tutte le sue infinite declinazioni: famiglia o sballo, squadra o isolamento, luce o buio.

Vita o morte, e non è un modo di dire. Se nessuno si fosse fatto carico di recuperare una situazione economica gravemente compromessa, non solo ci saremmo trovati con la casa priva di mobili (che sarebbero stati tutti pignorati dagli ufficiali giudiziari), ma proprio senza casa.

Avevo già la patente, le ragazze, fumavo e bevevo come i grandi. Avevo il corpo di un uomo, la barba e le spalle larghe, ma in fondo ero ancora un bambino. Sono cresciuto, all’improvviso, tutto in una volta, seduto sulla sedia accanto al letto di mio padre, mentre guardavo i tubi che spuntavano da sotto il lenzuolo, tentando di ignorare il fatto che uscissero da lui.

Ho impiegato molti mesi per mettere a tacere la mia pulsione alla fuga, e anni per stabilizzare la rotta. Sono però consapevole del fatto che potrei non essere la persona che sono oggi, non avere raggiunto i risultati che, invece, mi sono guadagnato, se prima non fossi stato quel ragazzo incasinato, immerso nel fango fino al collo.

Siamo abituati a considerare il fango una cosa non solo sporca, ma riprovevole. Le reputazioni vengono rovinate dalla “macchina del fango”, “gettare fango” addosso a qualcuno è una metafora che indica il parlarne male. Secondo Dante il fango era la melma in cui si agitavano gli stolti.


Chi desidera vedere l’arcobaleno, deve imparare ad amare la pioggia.
Paulo Coelho


So di andare controcorrente, quindi, ma secondo me il fango è una benedizione. È un agente di trasformazione. I boschi, le foreste, i fiori, le piante dell’orto e la kenzia che occupa l’angolo accanto al televisore nel tuo soggiorno non esisterebbero senza il fango.

Il fango è necessario. Pensaci: senza, non sarebbe possibile creare, crescere, evolvere, accantonare il vecchio e fare spazio al nuovo. Infatti, il mondo non è forse pieno di persone disposte a pagare fior di soldi per impiastricciarsi di fanghi del Mar Morto, di argilla o di chissà quali altri preziosi estratti della terra?

Prova a pensare al fango in cui sei immerso in questo momento come a una cura di bellezza per l’anima, che ti sporca per purificarti e renderti più splendente, pulito, consapevole.

Ti sto chiedendo una cosa tutt’altro che facile, quindi ti capirò se avrai voglia di tirarmi dietro il libro. Con ogni probabilità, il fango nel quale ti senti sprofondare attualmente non ha il piacevole odore fruttato di quelli che si comprano in profumeria, dico bene? Immagino sarai ansioso di liberartene e di cominciare a uscire dalla situazione in cui ti trovi per conquistare la tua dimensione, la tua strada verso le nuvole. D’altronde, è lo stesso desiderio che ho iniziato a provare io appena mi sono risvegliato.

Nelle prossime pagine voglio condividere con te gli strumenti e le conoscenze che ho acquisito in anni di “purgatorio” e che mi hanno permesso di prendere finalmente in mano il timone della mia vita, scrollarmi di dosso i pesi inutili e ripartire. Non è stato un processo semplice né rapido: ho dovuto stravolgere la mia mentalità.

La buona notizia è che, rispetto a me, tu sei già un metro avanti: hai comprato questo libro. Hai già compiuto il primo passo. Hai già deciso. Sai che vuoi svoltare, cambiare la tua vita in meglio, ma probabilmente non hai idea del futuro a cui vuoi davvero andare incontro.

Vuoi andare via da qualcosa, non verso qualcosa.

Questa è stata una delle mie difficoltà: quando mio padre è stato male sapevo solo che volevo sistemare le cose, saldare i numerosi debiti in cui eravamo immersi, rimettere in carreggiata l’azienda di famiglia, dare a tutti noi una seconda possibilità – anche e soprattutto in termini di relazioni: basta urla, basta liti! – ma non avevo idea di come farlo. Mi sentivo insicuro, perso, non pensavo di avere delle passioni, non conoscevo i miei desideri.

Che percorso potevo tracciare se non avevo idea della meta?

Fuori dal fango nasce dalla consapevolezza che tutti noi facciamo esperienza di alti e bassi. Un giorno respiriamo l’aria sottile e ghiacciata che il vento muove intorno alle cime delle montagne, quello dopo annaspiamo nel fango. Magari questo non accade allo stesso tempo in tutti i campi della nostra vita, e finiamo per essere attraversati da decine di emozioni a seconda della persona che abbiamo davanti, dell’attività a cui ci stiamo dedicando, della scelta che stiamo compiendo. È straniante, faticoso, difficile. Ma non deve andare per forza così.

Tutti possiamo cambiare: lasciatelo dire da uno che ha veramente stravolto i propri valori, le proprie convinzioni più profonde, e di conseguenza la propria vita.

Come ho fatto? Ritrovando innanzitutto la fiducia in me stesso. Solo in un secondo tempo sono riuscito a cambiare atteggiamento e scegliere su che cosa concentrarmi mettendo a fuoco le mie necessità. Conquistata un minimo di chiarezza, ho potuto creare attorno a me un gruppo di supporto e definire nel modo più limpido possibile i miei obiettivi e la strada per raggiungerli.


Fiducia.
Attitudine.
Necessità.
Gruppo.


Per continuare a leggere, acquista il libro...


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