Sai cosa metti nel piatto?
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1 anno fa
Come riconoscere i pericoli e le insidie dei cibi pronti e confezionati
Siamo quello che mangiamo, sosteneva il filosofo Ludwing Feuerbach nell’Ottocento. E viene da chiedersi cosa ne penserebbe oggi che abbiamo a disposizione molta più varietà di cibo, non sempre però sano e nutriente e non sempre è possibile capirlo dalle etichette. Il cibo non è tutto uguale, così come non tutto quello che mangiamo non è tutto nutriente. Di questi aspetti abbiamo parlato con Monia Caramma, Sustainable Food Researcher, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro.
Monia, il titolo del tuo nuovo libro è senz’altro curioso: Facciamo la Rivoluzione Alimentare! - Dalla nutrizione all’alimentazione. Perché questo titolo? Qual è l’errore di fondo che ancor oggi viene reiterato in fatto di cibo?
Il titolo deriva da una riflessione che è maturata nel corso degli anni, facendo informazione ai consumatori, ma, più che altro, osservando come il cibo viene coltivato, trasformato, allevato, insomma da quando nasce fino a quando arriva sulla tavola. Mi sono resa conto che, complici i regolamenti, le disposizioni di legge europee, in particolare la legge n.1169/2011, noi siamo abituati a pensare al cibo come ad un alimento ideale, e a un qualcosa che non corrisponde a quello che noi abbiamo nel piatto.
Faccio un esempio. Ormai leggiamo dappertutto che bisogna usare la curcuma, perché è una cura fantastica, antinfiammatoria e anche antiossidante. Però la curcuma alimentare in polvere, che arriva nei supermercati e quindi nelle nostre tavole, ce l’ha la curcumina all’interno? Questa è stata la prima domanda che mi sono fatta. Sono quindi andata a vedere tutti i processi di produzione della curcuma in loco. Mi sono documentata attraverso le ricerche e i processi tecnologici e ho visto che, di fatto, nella curcuma alimentare, la curcumina non c’è, perché la curcuma viene talmente tanto processata che i curcuminoidi non ci sono più. Da lì, ho capito che c’è quindi una discrepanza incredibile fra quello che pensiamo e quello che, in realtà, mangiamo.
Questo lo possiamo applicare a tantissimi alimenti, ad esempio alle banane, che vengono raccolte quando sono ancora super acerbe e vengono poi fatte maturare nei forni di maturazione in Europa.
Fare la rivoluzione alimentare significa quindi spostare la nostra attenzione dalla nutrizione, che è meravigliosa, perché è la scienza che osserva i principi attivi e capisce quali di essi, contenuti all’interno degli alimenti, siano utili o no al nostro benessere, alla nostra salute. Però poi noi, di fatto, mangiamo, quindi, conosciuta la nutrizione, dobbiamo chiederci quale sia l’alimentazione. Quindi, spostiamo l’asse, noi consumatori, noi professionisti, dobbiamo cioè spostare l’asse dalla nutrizione e andare sull’alimentazione.
In fatto di etichette, si sono fatti molti passi avanti rispetto a qualche anno fa, quando anche le normative erano più lacunose. Però spesso non bastano a tutelare il consumatore. Perché? Quali sono i dati nascosti che ancora il consumatore non riesce a trovare nell’etichetta?
Il consumatore in etichetta non trova i coadiuvanti di produzione, cosa questa estremamente grave. Basti pensare all’ultimo studio pubblicato qualche settimana fa, sugli effetti del biossido di silicio. È stato fatto uno studio in vivo su delle cavie, su dei topi, ai quali è stato somministrato in biossido di silicio, alle dosi che si trovano normalmente negli alimenti come coadiuvante o additivo. Queste cavie hanno mostrato non solo un’alterazione del microbiota, ma hanno anche sviluppato nebbia mentale, nel senso che provavano disorientamento. Come terza condizione, tali cavie hanno sviluppato una sensibilità al glutine che, secondo gli scienziati, porta anche alla celiachia. Pertanto, il biossido di silicio, che è considerato da essa sicuro – le revisioni di Efsa hanno affermato che, in realtà, non avevano abbastanza studi per categorizzarlo come pericoloso – ad oggi sappiamo invece che impatta sul nostro microbiota. Questo non va bene, perché il biossido di silicio, che è usato come coadiuvante in tantissimi alimenti ha un impatto sulla nostra salute.
I coadiuvanti impattano sulla nostra salute, seppure queste sostanze compaiano in tracce. La legge, però, non definisce il concetto di traccia, ma stabilisce che possono essere presenti in tracce nell’alimento finito, però, non sapendo a cosa corrisponda “traccia”, non sappiamo quale sia l’impatto finale sulla nostra salute.
Come può fare il consumatore per difendersi da queste insidie nascoste?
Spesso è difficile! Non c’è un mezzo per poterlo fare. L’unico mezzo che il consumatore ha è quello di scrivere alle aziende di produzione, chiedere se ci siano dei coadiuvanti e quali. Sulla base di quello, vedere poi quale sia la risposta dell’Azienda.
Se non c’è il tempo per cucinare e quindi si comprano per lo più cibi trasformati o semi-trasformati, allora bisogna stare attenti alle aziende e scegliere quelle di cui ci si fida di più.