Rigenerare l’Agricoltura
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1 anno fa
Dal green deal alle contestazioni: ecco cosa prevede l’agenda agricola dell’Unione Europea e le proposte alternative dell’agricoltura organica e rigenerativa
All’inizio di febbraio 2024 anche noi di Macrolibrarsi, come tanti, abbiamo seguito le proteste degli agricoltori di tutta Europa. Ci siamo sentiti vicini agli agricoltori e condividiamo alcuni dei temi portati all’attenzione dell’opinione pubblica, ma il nostro timore è che la protesta non porti un reale vantaggio alla terra e alle persone, ma piuttosto faccia gli interessi dell’industria chimica e degli idrocarburi.
Comprendiamo a pieno le difficoltà degli agricoltori, ma non possiamo risolverle continuando a inquinare i terreni, maltrattare gli animali e distruggere gli ecosistemi. Per questo sosteniamo altri metodi agricoli, come quello dell’agricoltura rigenerativa: abbiamo quindi incontrato Matteo Mancini, agronomo e coordinatore tecnico dell’ONG milanese Deafal, per la quale si occupa di formazione e assistenza tecnica in Agricoltura Organica e Rigenerativa.
Perché sono nate queste proteste nel mondo agricolo europeo che tutti abbiamo seguito sui media a febbraio 2024?
Sostanzialmente, gli agricoltori italiani ed europei sono estremamente frustrati dal fatto che fare agricoltura oggi significhi lavorare in perdita, anche se l’agricoltura è sempre stata fortemente sussidiata. Per fare un solo esempio, possiamo citare il fatto che, nell’ultima programmazione, il 30% del budget dell’Unione Europea è dedicato a sussidi, diretti o indiretti, all’agricoltura. Pertanto, il 30% delle nostre tasse che vanno all’Europa è destinato a sostenere l’agricoltura, in particolare il basso prezzo delle derrate elementari; in pratica, per un settore strategico ma altamente finanziarizzato, si prova a far stare sul mercato le aziende attraverso il sostegno diretto e indiretto.
L’Unione Europea, quindi, da ormai cinquant’anni, destina una grande parte del proprio budget per gli aiuti all’agricoltura…
Esatto, e nonostante questo, gli agricoltori continuano a lavorare in perdita, le aziende agricole, piccole e grandi, continuano a chiudere. Il punto, poi, è che, all’interno della protesta, vengono fuori approcci e visioni diversi. C’è il gruppo che se la prende di più con il fatto che gli aiuti vengono dati principalmente alle grandi aziende. Altri gruppi, invece, come tristemente – dal nostro punto di vista – è passato, se la prendono col fatto che la Commissione Europea ha dato degli obiettivi che rientrano all’interno del famoso Green Deal; anzi, aveva dato (dobbiamo infatti parlare del passato) degli obiettivi di riduzione di sostanze chimiche, oltre a obiettivi per valorizzare la biodiversità. Secondo una parte, anche importante, degli agricoltori, la colpa del fallimento dell’agricoltura è dovuto proprio a queste politiche.
Alla fine, infatti, il Green Deal europeo per l’agricoltura è stato stralciato, giusto?
La parte del Green Deal europeo rivolta all’agricoltura si chiama Farm to Fork, e aveva degli obiettivi di riduzione di agrofarmaci entro il 2030 e di conversione all’agricoltura biologica del 25% delle aziende agricole. Gli agricoltori contestavano fortemente questa parte, che effettivamente è stata stralciata. Ecco, quindi, che la strategia Farm to Fork è stata, pian pianino, smontata, a fronte delle proteste del mondo agricolo, di cui queste che abbiamo visto a Febbraio rappresentano solo la punta dell’iceberg: è da tempo che il mondo agricolo chiede di lavorare con più libertà, soprattutto nell’uso di alcune sostanze.
Dobbiamo essere molto equilibrati, nel senso che su questo aspetto una parte di ragione il mondo agricolo ce l’ha, perché, effettivamente, non è possibile eliminare determinate sostanze senza dare alternative. Sempre più molecole vengono tolte dal mercato: nel corso degli ultimi 20 anni, l’Unione Europea ha diminuito tantissimo l’impiego delle sostanze dannose per l’ambiente e per le persone. Il problema, però, è che, se sul piatto non mettiamo tanti e tanti soldi per la ricerca, per rimpiazzare queste molecole e per trovare delle pratiche agronomiche che possano garantire la continuità della produzione, la produzione europea andrebbe incontro a forti cali di rese, e questo sarebbe comunque un gigantesco problema. Probabilmente l’errore è stato quello di indicare dei tempi un po’ troppo veloci e di non dare efficaci alternative. Da studi recenti s’è visto che, se la strategia Farm to Fork fosse stata applicata in pieno, le perdite di produzione per il mondo agricolo europeo sarebbero state anche del 30-40%. Un disastro.
Secondo noi di Deafal non si può tornare indietro sulle politiche di decarbonizzazione: è un cammino che siamo obbligati a intraprendere. È però chiaro che non si può fare da un giorno all’altro e che non si può fare con delle imposizioni. In questo cambiamento il ruolo della ricerca deve essere centrale: vanno messi in campo grandi investimenti per favorire nuove pratiche agronomiche, per trovare molecole meno impattanti, per contribuire alla formazione degli agricoltori, per fare in modo di mantenere una produzione accettabile, anche diminuendo gradualmente le sostanze attive permesse.
Il problema è anche che abbiamo trasformato il cibo in un prodotto che risente delle leggi di mercato?
Il cibo non è solo merce come tutte le altre, perché molte materie prime alimentari sono un future, un prodotto finanziario. Il mais, il grano, la canna da zucchero, il cacao, il succo di arancia sono prodotti finanziari, cioè sono prodotti che risentono non tanto della legge della domanda e dell’offerta, quanto invece delle speculazioni finanziarie. L’esempio più eclatante l’abbiamo visto quando è iniziata la guerra in Ucraina: il prezzo del grano è aumentato immediatamente, non perché non ci fosse grano nei magazzini, ma per la paura da parte degli operatori finanziari, di un futuro più incerto da parte di quel produttore. Questo è estremamente pericoloso, perché fa in modo che un prodotto che dovrebbe essere protetto, anche svincolandolo dalle logiche di domanda e offerta, sia invece un prodotto ancora più esposto alle speculazioni. Pertanto, parte delle crisi che stiamo osservando e parte della frustrazione degli agricoltori deriva proprio da questo, dal fatto che, molto spesso, quando semini non sai a quanto potrai vendere il prodotto al momento della raccolta.
Ci parli della vostra campagna “Difendi la Rigenerativa”?
Questa nostra campagna parte da un’idea molto semplice, cioè questa: secondo noi, non è possibile immaginare un prodotto da agricoltura rigenerativa che sia stato portato avanti con gli stessi strumenti, con le stesse logiche, con le stesse dinamiche dell’agricoltura che ha contribuito a metterci nei guai. Un bel giorno di ottobre dello scorso anno ci siamo imbattuti in un documento di una nota agroindustria che utilizzava le stesse nostre parole, la nostra stessa carta dei valori per indicare i valori dell’agricoltura rigenerativa da lei promossa.
Questo fatto ci ha indignati profondamente e ci ha spinti a pubblicare un documento in cui abbiamo riportato tanta letteratura scientifica e in cui viene sottolineato come gli approcci di agricoltura rigenerativa siano sostanzialmente quelli che noi e altre organizzazioni, in Italia e nel mondo, portiamo avanti. E non quelli di grandi aziende dell’agroindustria e degli agrofarmaci, che vogliono fare green washing.
Secondo noi, fare agricoltura rigenerativa vuole dire re-immaginare completamente un agro-ecosistema produttivo, cosa che non è possibile fare attraverso le logiche di queste grandi aziende.