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Prefazione - Estratto da "Alzheimer e Altre Malattie del Cervello"

Pubblicato 6 anni fa

Quest’anno ricorre il mio venticinquesimo anniversario di attività come terapeuta specializzata nella cura di persone cui è stata diagnosticata qualche forma di demenza.

Nei molti anni trascorsi in questo ambito, ho ideato e gestito programmi specifici, servizi e strutture, e ho lavorato con centinaia di famiglie, medici, operatori sanitari e persone direttamente colpite dalla malattia.

A fronte di tale esperienza, a un certo punto molti dei partecipanti ai miei corsi e alle mie conferenze hanno iniziato a chiedermi di scrivere un libro.

Mi sono sempre considerata una persona pratica, abituata a rimboccarsi le maniche; quindi, scrivere un libro è stata per me una vera sfida. Per completarlo ho impiegato 14 anni, sfruttando tutti i ritagli di tempo dopo il lavoro, e intanto continuavo a imparare cose nuove e a sperimentare gli alti e bassi che la vita ci riserva. La mia speranza è che quanto ho scritto sia utile alle famiglie, ai professionisti sanitari e a tutti coloro che soffrono di demenza allo stadio iniziale.

Questo libro spiega a chi assiste una persona colpita dal morbo di Alzheimer, o da un’altra demenza, come cogliere alcuni dei profondi insegnamenti che si celano dietro la malattia. Tutti noi vogliamo che venga trovata una cura.

Ma, nel frattempo, come possiamo garantire ad ogni persona, a qualunque stadio della malattia, una buona qualità di vita? Come possiamo esaminare più in profondità situazioni che di primo acchito possono sembrare disperate e devastanti, e scoprirvi invece opportunità, intuizioni e ispirazioni che ci aiutino a trovare nuovi stimoli e a comprendere maggiormente noi stessi e coloro che amiamo?

Come possiamo vivere queste esperienze al massimo delle nostre possibilità?

Le circostanze traumatiche, che ci mettono a dura prova, racchiudono in sé delle cose positive. Per esempio, nessuno di noi vorrebbe mai vivere situazioni di emergenza, ma certamente siamo contenti di sapere che qualcuno sa cosa fare in quei casi.

Se non esistessero le emergenze, i paramedici e gli infermieri del pronto soccorso non potrebbero sviluppare le proprie capacità ed essere d’aiuto agli altri. Il fatto di aver affrontato in precedenza altre situazioni problematiche permette loro di destreggiarsi nel momento presente e di riportare la stabilità.

Questi aspetti positivi, queste grazie inaspettate (definite Yods nella tradizione ebraica) talvolta impiegano molto tempo prima di rivelarsi o di germogliare dentro di noi, mentre altre volte si manifestano quasi istantaneamente e sono immediatamente comprensibili a un livello profondo. Che si tratti di un’emergenza lunga e complessa o di un evento che ci sorprende come un fulmine a ciel sereno, spesso queste benedizioni hanno su di noi un impatto fondamentale, e hanno il potere di trasformare la nostra vita.

A tutti coloro che si prendono cura di una persona che sta affrontando il difficile percorso della demenza, auguro di cuore di riuscire a lottare con forza per non lasciarsi travolgere dagli eventi, e di rimanere vigili e aperti alle benedizioni che questa esperienza porta con sé.

Svolgiamo una professione, che è al tempo stesso una vocazione, in cui possiamo riconoscere e apprezzare pienamente i doni che gli altri ci offrono, in modo che questa esperienza così intensa per l’anima avvii un processo di iniziazione e di crescita che apra il nostro cuore, nutra la nostra compassione e, in definitiva, permetta a ciascuno di noi di diventare un essere umano migliore.

A tutte le persone coraggiose che sono state colpite da una malattia che provoca la perdita della memoria, auguro di sentirsi aiutate e sostenute, di vivere questa esperienza secondo le proprie modalità uniche e individuali, di riuscire a esprimere se stesse, di amare ed essere amate, e di sentirsi al riparo da qualunque pericolo.

Durante le fasi finali della malattia, queste persone non saranno più partecipi dell’esperienza terrena e si troveranno in un profondo stato interiore che, di solito, noi che le assistiamo non siamo in grado di raggiungere e condividere.

La demenza avrà innalzato un muro intorno a esse, come fossero entrate in un convento di clausura.

Invece di pensare a questo muro come a una prigione, io lo considero l’omaggio finale alla vita che la persona ha vissuto, e al suo corpo, il contenitore che l’ha ospitata. Ora che alla persona viene concesso il tempo necessario per raccogliersi in se stessa, la sua anima potrà occuparsi degli aspetti spirituali del “sé”.

Infine, la mia speranza è che, al termine del suo percorso, quando è pronta e sente che è giunto il momento, la persona possa andarsene, e che le venga consentito di farlo.


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