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Perdita e Ricongiungimento

Articolo sponsorizzato

Pubblicato 4 anni fa

Siamo negli anni ’70. Li è una bambina vietnamita di dieci anni che è rimasta orfana di entrambi i genitori, morti a causa della guerra. Dovendo pensare da sé alla propria stessa sopravvivenza fisica, Li, come altri bambini, fa di un campo base americano la propria nuova casa. Dà il suo apporto nelle faccende domestiche e in cambio riceve vitto, alloggio e compagnia. C’è un giovane soldato, Sam, che sviluppa con la bambina una stretta relazione di amicizia. La piccola introduce nella sua vita quell’umanità che viene costantemente negata dalla guerra, un sentimento di tenerezza e un senso di accudimento. Quando Sam torna dai pattugliamenti nella giungla Li gli corre incontro e lo abbraccia felice. Passano i mesi e a Li piace molto sentir parlare Sam della vita che si conduce in America, dove non c’è guerra e si possono vedere e fare tante belle cose. Il soldato decide che, una volta congedato, adotterà la bambina e tornerà con lei nel proprio paese.

Giunge però un ordine dal quartier generale: tutti i bambini vietnamiti senza più genitori che si trovano nella base americana dovranno essere portati in un orfanotrofio cattolico. Sam viene emotivamente distrutto da questo ordine e qualche giorno dopo, con le lacrime agli occhi, aiuta Li e gli altri bambini a salire sull’autocarro che dovrà condurli alla loro nuova destinazione. E’ proprio allora che i Vietcong iniziano a sparare, costringendo Sam e gli altri soldati americani a far scendere precipitosamente tutti i bambini da quell’autocarro che sta facendo da bersaglio. Poi l’attacco cessa, si può nuovamente tentare il viaggio e allora i bambini vengono fatti risalire. Sam nota però che Li non c’è. La cerca e la vede immobile, sdraiata a faccia in giù con una macchia rossa sulla schiena.

Girato il corpo della bambina scopre sul suo torace il foro di un proiettile che l’aveva colpita da dietro. La prende fra le sue braccia e si siede in terra piangendo.

Nei giorni e nei mesi seguenti Sam si dà volontario per tutti i pattugliamenti più pericolosi, al fine di uccidere ogni nemico possa incontrare o porre fine al suo dolore morendo lui stesso nello scontro.

La guerra del Vietnam finisce e l’uomo torna nel suo paese. Il lutto traumatico lo segue, come una ferita aperta che non gli consente di riprendere una vita normale. Si sposa, ha una figlia ma la evita per anni, giacché l’interazione con lei gli evoca sentimenti irrisolti di rabbia, colpa e dolore per la morte di Li, risveglia l’immagine terribile del suo corpo senza vita. Passano gli anni e Sam trascorre la maggior parte del tempo appartato nel seminterrato della sua casa. Dopo 28 anni dal suo ritorno dal Vietnam, Sam va al Veterans Administration Hospital di Chicago per essere curato del proprio lutto traumatico e complicato. E’ lì che trova il dottor Allan Botkin, uno psicoterapeuta che si è formato in EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing), una nuova tecnica particolarmente efficace con coloro che hanno subito un trauma psicologico. Questa tecnica ricorre a movimenti degli occhi che si volgono in modo alternato all’emicampo visivo destro e a quello sinistro oppure ad altre forme di stimolazione percettiva alternata destra/sinistra. Ma il dottor Botkin non è solo uno dei primi psicologici a farne uso; dopo aver iniziato a praticare l’EMDR non solo ha saputo subito apprezzarne l’innovativa capacità terapeutica ma ha anche iniziato a riconoscerne i limiti e a sperimentare diversi suoi cambiamenti, volti a incrementarne ancor più l’efficacia clinica. Via via il dottore si trova a non effettuare più l’EMDR ma un intervento che, pur utilizzando le stimolazioni bilaterali alternate, consiste in una procedura ormai molto diversa.

Nella stanza dello psicoterapeuta Sam viene invitato a prestare attenzione alla propria tristezza e contemporaneamente a ricevere le stimolazioni bilaterali alternate. Il veterano, via via che il dottore esegue diversi set di stimolazioni bilaterali, sente sempre più intensamente il proprio dolore e inizia a piangere. Tutta la sua tristezza emerge e poi, dopo aver raggiunto un picco, grazie a ulteriori set inizia a decrescere.

 
Come ti senti, ora? - Gli domanda il dottore.

 
Molto meglio. - risponde Sam.

Allan Botkin a questo punto somministra un ulteriore set di movimenti oculari e chiede a Sam di chiudere gli occhi. Sam smette di piangere. Sul suo volto si delinea un ampio sorriso. Li appare a Sam come una bella donna con lunghi capelli neri in un abito bianco e circondata da una luce radiosa. Lui la vede più felice di quanto abbia mai visto essere chiunque altro.

Li: - Ti ringrazio di esserti preso cura di me.

Sam: - Ti voglio bene, Li!

- Anch’io, Sam. – Risponde Li, gettando le sue braccia al collo dell’uomo.

Poi la sua immagine svanisce e Sam racconta al dottore quello che è successo. Botkin rimane sconcertato e perplesso. Non si aspettava certamente un fenomeno del genere. Lui voleva aiutare il suo paziente a elaborare il proprio lutto traumatico, ma certamente non mirava a fargli vivere un’esperienza come quella che gli è stata appena riferita. Si domanda cosa sia mai successo.

Il paziente ha lasciato la sua stanza pieno di gioia. Se ne è andato leggero per i corridoi, ma lui è preoccupato e quindi siccome quella è un'unità ospedaliera residenziale dice alla sorveglianza di seguire Sam per tenerlo d'occhio. La mattina seguente torna in ospedale. La sorveglianza gli riferisce che il giorno prima Sam ha passato una serata fantastica e che quella notte, eccezionalmente, ha dormito per circa otto ore, svegliandosi poi del tutto riposato.

Il fine settimana successivo, Sam torna a casa e inizia finalmente a interagire maggiormente con la figlia, il cui contatto non gli scatena più i ricordi traumatici né il corredo del loro accompagnamento emotivo. Il ricongiungimento momentaneo con la bambina che voleva adottare gli ha consentito di accettarne la perdita e quindi di poter entrare in una relazione più serena e profonda con la figlia che poi aveva avuto.

Abbiamo qui raccontato come nacque la IADC Therapy, cioè la terapia dell’Induced After Death Communication che, tradotto ed espresso per esteso, significa terapia esperienziale del lutto basata sull’induzione di uno stato di ricettività mentale che consente di avere un’esperienza di comunicazione con un proprio caro non più in vita terrena. Come abbiamo visto si è trattato al tempo stesso di una invenzione e di una scoperta. Invenzione perché Allan Botkin ha testato ripetutamente vari cambiamenti apportati alla procedura dell’EMDR; scoperta perché mai si sarebbe immaginato di indurre uno stato di ricettività grazie al quale la persona in lutto poteva accedere a un’esperienza di ricongiungimento momentaneo con il proprio caro.

Dopo il primo paziente altri ne seguirono fra coloro che erano in cura presso il Veterans Administration Hospital e quindi altri ancora al di fuori di quella struttura sanitaria. Botkin formò altri psicoterapeuti in IADC Therapy e a poco a poco essa si diffuse, prima negli USA e poi in Europa.

Oggi in Italia ci sono oltre 70 terapeuti IADC, che possono essere contattati tramite il loro sito: www.iadctherapy.it.

Per quanto straordinarie siano le esperienze di ricongiungimento vissute dai pazienti, la IADC Therapy è una forma di cura naturale, che ricorre cioè a risorse presenti già prima del loro utilizzo clinico. Infatti le esperienze di after death communication (comunicazioni post-mortem) sono molto comuni, soprattutto fra le persone in lutto. Da studi fatti risulta infatti che dal 75 all’80% di queste ultime abbia del tutto spontaneamente una o più ADC entro un anno dalla perdita della persona cara. Certamente tali esperienze giocano un ruolo importante nell’evoluzione favorevole del processo di elaborazione del lutto, perché sono foriere di significati molto confortanti per la persona che vi è coinvolta. La IADC Therapy aggiunge due cose: in primo luogo crea intenzionalmente uno stato di ricettività che promuove il loro emergere, comunque spontaneo; in secondo luogo, grazie alla forza di tale ricettività, consente alla persona in lutto di vivere esperienze di comunicazione con il proprio caro ben più lunghe e articolate di quanto non siano quelle che accadono in modo naturale. Tali esperienze non vanno confuse con quelle medianiche, perché nella IADC è la stessa persona in lutto che vive un’esperienza di connessione con il proprio caro. Quest’ultima si sviluppa attraverso vari canali sensoriali, soprattutto quelli visivo, telepatico-uditivo e tattile. Non è possibile sapere in anticipo quali fra essi si attiveranno e in quale eventuale combinazione. In sintesi, tali esperienze promuovono lo sviluppo di quattro convinzioni: il mio caro c’è ancora; sta bene; mi è accanto nella vita quotidiana; si ricongiungerà definitivamente con me al termine della mia vita. Si comprende come la IADC Therapy sia una forma di terapia esperienziale del lutto di cui necessitano soprattutto le persone che hanno avuto delle perdite particolarmente gravi ed esistenzialmente impegnative.

Per chi sia interessato all’argomento possiamo segnalare certamente il libro "Comunicare oltre la morte", scritto dello stesso Allan Botkin e pubblicato in Italia da UNO Editori. Recentemente è poi uscita la seconda edizione di un libro che descrive estesamente la IADC Therapy. E’ "Perdita e Ricongiungimento", scritto dallo stesso autore di questo articolo ed edito da Edizioni Mediterranee. In esso, insieme a un’esposizione delle diverse fasi attraverso cui si snoda il processo del lutto, si trova un’ampia descrizione delle esperienze di IADC, basata su una raccolta di centinaia di casi clinici seguiti in prima persona. Il libro si propone inoltre di presentare al lettore lo stato dell’arte delle ricerche compiute fino ad oggi sul tema più generale della comunicazione con l’aldilà. Vi vengono pertanto approfonditi altri argomenti strettamente correlati, come le esperienze di pre-morte e le visioni dei morenti. Dalla trattazione emerge come queste altre forme di esperienza di comunicazione con l’aldilà presentino contenuti e modalità decisamente sovrapponibili a quanto si riscontra nelle esperienze di IADC. E’ come se in momenti e situazioni differenti si aprisse uno stesso canale percettivo che dà accesso a un medesimo mondo.

Il libro, inoltre, per meglio inquadrare concettualmente i dati emersi dalle ricerche scientifiche condotte sulle esperienze di aldilà le pone a confronto con le correlate riflessioni filosofiche di teoria della conoscenza e della mente.

Si tratta di un’opera destinata a chi è personalmente coinvolto dal lutto e a tutti coloro che vogliano affrontare in maniera nuova, razionale e basata sull’esperienza, il grande tema della possibilità di una vita oltre la vita.


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