Ecco gli orti che non hanno bisogno di essere innaffiati
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2 anni fa
Sono la soluzione per utilizzare pochissima acqua e avere ottimi e abbondanti raccolti, sia in campagna che in città, anche in piccolissimi spazi
I cambiamenti climatici provocati dalle attività umane – così come verificato da innumerevoli studi scientifici avvalorati anche da quelli delle stesse multinazionali dei combustibili fossili (che sono tra le maggiori responsabili dall’attuale situazione) – hanno visto, negli ultimi decenni, schizzare in alto le emissioni di gas serra mettendo in pericolo l’esistenza stessa della popolazione umana. Si susseguono infatti catastrofi sempre più gravi, che siano incendi di dimensioni bibliche, alluvioni devastanti e una desertificazione crescente di intere aree del pianeta.
A questa drammatica situazione si aggiunge un sistema alimentare completamente irrazionale e schizofrenico basato sullo spreco e sull’uccisione ogni anno di miliardi di animali da allevamento a cui viene dato del cibo che potrebbe sfamare molto più della popolazione umana attuale sulla terra. E non c’è bisogno solo di tanto cibo per alimentare gli animali, ma anche di enormi quantità di acqua, se consideriamo che si necessitano 15.000 litri di acqua per produrre un solo chilo di carne di manzo.
Siccità: non un rischio, ma una realtà
Gli sprechi idrici in generale e quelli dell’agricoltura nel particolare, rendono la situazione ancora più drammatica, esponendo la nostra Penisola a gravissimi rischi: uno dei maggiori problemi che si crea è proprio la mancanza di acqua. Mesi e mesi senza pioggia che si ripetono, negli ultimi anni anche d’inverno, sono fenomeni estremamente allarmanti visto che senza acqua non c’è vita. Ma sembra che il problema non esista per i decisori politici vari e per chi negli anni recenti hanno Infatti, mancando l’acqua, la nostra salute è a rischio, però a quanto pare “stranamente” in questo caso non interessa. Quando poi la situazione diventa ingestibile e irrecuperabile, la politica decreta l’emergenza cioè oltre ogni tempo limite, dato che la problematica climatica e quella idrica si conoscono da decenni, ma niente di concreto e veramente risolutivo è stato fatto o si sta facendo.
Le soluzioni reali e immediate non possono, quindi, che venire dal basso. Una di queste è senz’altro l’invenzione degli orti autoirriganti [partorita dalla mente eclettica di Alessandro Ronca, direttore scientifico del Parco dell’Energia Rinnovabile in Umbria, da cui è stato tratto l’omonimo libro scritto insieme a Paolo Ermani, presidente dell’associazione no profit di promozione sociale PAEA, N.d.R.]. L’idea è nata dall’osservazione della capacità delle piante di approvvigionarsi dell’acqua necessaria per capillarità, attraverso un sistema tanto ingegnoso quanto semplice che si può applicare sia in vasi di varie dimensioni, sia in bancali. Questa invenzione, grazie a un sistema molto efficace, permette di utilizzare pochissima acqua e garantisce ottimi e abbondanti raccolti. Inoltre può essere usato indifferentemente sia in campagna che in città, anche laddove non ci sia terreno disponibile. Qualsiasi piazza, strada, marciapiede, balcone può essere la sede di un orto autoirrigante, anche i tetti delle case, se ci sono le condizioni ideali e perfino indoor.
Considerato che le estati sono sempre più roventi, i giorni di pioggia rari, la possibilità di coltivare senza fatica e con pochissima acqua sono elementi indispensabili nell’ottica di una maggiore autosufficienza alimentare. Una volta realizzato l’orto autoirrigante, il lavoro è minimo, considerato anche il fatto che non si deve annaffiare costantemente, come si fa in qualsiasi orto tradizionale.
La rivoluzione dell’agricoltura leggera
L’orto autoirrigante si inserisce in un quadro di rivisitazione dell’agricoltura che viene denominata agricoltura leggera in opposizione all’agricoltura pesante, che violenta la terra e la uccide riempiendola di chimica.
L’agricoltura leggera si basa su tre pilastri (più uno):
- l’autoproduzione per autoconsumo;
- lo scambio delle eccedenze;
- la vendita (con il corollario del dono, elemento che contraddistingue da sempre le comunità di persone).
Non è più infatti possibile pensare all’agricoltura, e quindi al cibo, esclusivamente come merce, togliendo loro ogni sacralità per l’esistenza umana. Il cibo è necessario per la vita, quindi deve essere garantito a tutti in ogni parte del mondo, cosa che viene impedita proprio dal suo essere diventato merce in un sistema autodistruttivo come quello della crescita infinita in un mondo dalle risorse finite. Qui la diseguaglianza è la costante, e pochi super ricchi detengono patrimoni pari a quelli di miliardi di persone e interi stati.
Il paradosso, in una situazione di squilibrio totale come questa, è il fatto che c’è anche chi ha il coraggio di dire che sulla terra siamo troppi. Per ridare quindi dignità, cibo e possibilità di autodeterminazione alle persone, gli orti autoirriganti sono un ottimo passo verso quell’indipendenza che è la vera chiave di volta per emanciparsi dalle multinazionali dell’agro business e dei combustibili fossili che stanno devastando il pianeta, e il cui solo obiettivo è il lucro.
Autoproduzione e orti comunitari
Attraverso gli orti autoirriganti ogni famiglia, anche in città, può avere la sua produzione orticola con la quale ridurre i costi, aumentare la qualità, il controllo e la salubrità del cibo che mangia, in un’ottica nella quale non si ara o lavora la terra, non si usano concimi chimici, antiparassitari e simili, quindi non si lotta contro la natura, ma si impara da essa e ci si collabora.
In tempi dove qualsiasi crisi mette in ginocchio interi paesi, complice la globalizzazione, la possibilità di potersi autoprodurre il cibo è quanto mai importante per riacquistare almeno quella sovranità alimentare di cui tanto si parla, ma che nei fatti si verifica assai poco, dato che continuiamo a importare dall’estero cibo per la gran parte di dubbia qualità, prodotto con il massimo sfruttamento di persone e ambiente e che fornisce uno scarso apporto nutritivo. Gli orti autoirriganti stimolano la realizzazione di orti collettivi in un’ottica comunitaria, laddove in ogni paese e città ci sono terreni privati o pubblici abbandonati, che possono essere affittati o richiesti in comodato d’uso. E per avere ottima qualità e abbondanti raccolti non servono grandi appezzamenti: qualche centinaio di metri quadrati, non ettari, possono dare un apporto notevole in termini di cibo a una famiglia di tre o quattro persone.
Attraverso gli orti collettivi si crea un luogo di aggregazione intorno a un’attività senz’altro arricchente e stimolante. Inoltre si possono coinvolgere tutte le fasce generazionali e si dà ai bambini – abituati ormai da troppo tempo a pensare che la verdura e la frutta nascano negli scaffali di un supermercato – la possibilità di conoscere la natura, la stagionalità dei prodotti e da dove viene il loro cibo.
Questa tecnica, inoltre, rende possibile una coltivazione semplice e alla portata di tutti in molti luoghi del mondo in cui l’approvvigionamento alimentare e idrico è un problema ancora più drammatico che da noi.
L’orto autoirrigante – integrato anche con altre pratiche come quelle della permacultura o della food forest – si inserisce perfettamente nel panorama italiano che di per sé è già di strepitosa ricchezza, dato che da noi praticamente quasi qualsiasi cosa si pianta, cresce. Dove non è un caso che il nostro cibo sia quello più famoso al mondo, dove ogni angolo e ogni più piccolo paese ha il suo cibo tipico e la sua caratteristica alimentare, le sue piante locali custodite con accuratezza e ancora non spazzate via dalle multinazionali del cibo che si basano su poche varietà di alimenti superlavorati e contaminati (e come se non bastasse pure geneticamente modificati).
In questo quadro l’agricoltura leggera può diventare anche un mezzo efficace per aumentare decisamente l’occupazione, arrivando a milioni di occupati in un settore che da sempre contraddistingue la nostra penisola, la quale ha nel suo DNA un popolo di sopraffini agricoltori che possono diventare i custodi di un patrimonio inestimabile del paradiso naturale chiamato Italia.