Nella pancia c'è qualcuno
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4 anni fa
Leggi un estratto da "Il Parto Positivo" di Silvia Dalvit e Cecilia Antolini per scoprire cosa ci dice la scienza sul tuo inquilino/a
E come vive questa persona? Come sta dentro la pancia?
Sapere un po' di più su come funzionano il corpo e il cervello di questo piccolo inquilino può aiutare a mettere a frutto i nuovi superpoteri materni nel modo migliore.
La cosa bella è che i benefici sono evidenti sia a breve termine - quel senso di connessione e complicità con il bambino è forse l'elemento fondamentale di una gravidanza positiva -, sia a lungo termine: imparare a conoscere la persona che ci cresce accanto è un'avventura che ci accompagnerà per tutta la vita di genitori. E visto che non si finisce mai di imparare, meglio cominciare il più presto possibile.
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...che tocca, annusa e gusta
Pensando al tatto, di solito ci vengono in mente i polpastrelli delle dita, dimenticando che la pelle di tutto il corpo sente.
È proprio il sentire della pelle il primo senso ad aprirsi al mondo. Intorno alla 5" settimana, più o meno quando scopriamo di averlo dentro di noi, l'embrione può già percepire pressione sulle labbra e sul naso. I recettori cutanei appaiono un paio di settimane più tardi e, intorno all'8" settimana, il corpo del bambino percepisce il nostro calore e movimento.
La pelle del bambino in pancia è un organo di apprendimento e comunicazione molto sofisticato. Là dentro sente tutto con tutto se stesso. Persino la voce della mamma, che noi siamo abituati a considerare solo una questione di acustica, per molte settimane invece è una vibrazione.
L'ultima area del corpo a sviluppare una consapevolezza tattile è quella della nuca e della cima della testa, che matureranno solo poco dopo il parto. Che l'Ammasso Casuale di Atomi abbia messo lo zampino anche qui, in vista del passaggio nello strettissimo canale del parto?
Dentro questa pelle sensibile e aperta al mondo, alla fine dello stadio embrionale, intorno all'8'' settimana di gestazione, il sistema olfattivo è già quasi maturo.
Indicativamente intorno alla 13" settimana, il bambino inizia a percepire una cosa nuova: un profumo, un aroma più o meno acre, forse dolce, se prendiamo per buona l'intuizione di John Locke raccontata all'inizio di questo capitolo. È l'odore interno della mamma, che muta con quello che lei mangia e ha sempre il fondo del suo specialissimo odore umano.
Alla 15" settimana circa, quell'odore è anche un sapore. E il mondo che prima lo circondava inizia a entrare dentro, a porre già le basi per i gusti che quel piccolo essere umano svilupperà nella vita.
In gravidanza il cibo è un ponte tra il mondo interiore e quello esteriore, e non solo in senso simbolico.
Se la nostra cultura scientifica esclude alcuni cibi sulla base di possibili e reali motivazioni mediche, in quasi ogni cultura troviamo cibi esclusi nella convinzione che possano recare danno al bambino: conigli evitati per scongiurare il labbro leporino a certe latitudini e fragole rifiutate per proteggersi da macchie della pelle ad altre. In modo più o meno articolato, l'intuizione che il cibo che mangiamo influenzi il bambino fa parte delle storie di gravidanza da sempre.
Oggi sappiamo che non è soltanto una relazione meccanica quella tra il cibo e il corpo del feto, e le fragole, ben lavate, ce le gustiamo con piacere. È una relazione di gusto ed emozioni.
I sapori noti fin dall'epoca prenatale, infatti, saranno non solo riconosciuti, ma anche apprezzati una volta fuori. Gli scienziati ci hanno provato con l'anice e la carota: i neonati che hanno già incontrato questi sapori nel liquido amniotico della mamma li riconoscono con piacere anche dopo. Quelli per cui sono un sapore nuovo, invece, li rifiutano.
Laggiù, in quell'origine dentro la sua mamma, il bambino si apre al mondo a poco a poco.
Dà le vertigini pensare che ciò che la mamma vive e sente durante la gravidanza entrerà a far parte delle prime esperienze di vita del bambino, lasciando nella sua personalità segni profondi.
Un cibo assaporato a tavola con qualcuno che la fa ridere non è una gioia solo della mamma e di chi è con lei: a questo piacere e a questa gioia, grazie al rilascio di ormoni come la serotonina e la dopamina, partecipa anche il bambino.
Già in utero si mette il primo mattoncino che associa i pasti alla gioia di condividere nutrimento con le persone care.
Persino il ricordo nostalgico di un'estate tardo-adolescenziale, evocato da una pina colada (rigorosamente virgin!), non è più una cosa del tutto privata. Perché quando con qualcuno condividi il sangue - con il suo carico di informazioni ormonali, oltre che nutritive -, condividi anche parte delle esperienze che vivi, emozioni comprese.
Possiamo scegliere di ignorare questo fatto e continuare la nostra vita quotidiana fingendo di essere sole, oppure possiamo riconoscere la realtà e portarla con noi come un pensiero e un dialogo privati: là dentro c'è qualcuno che sente insieme a noi.
E per quanto ci possa venir voglia di gridare all'invasione della privacy, per quante sane ambivalenze questo possa alimentare in noi, è proprio la condivisione stretta, la simbiosi, fisiologica e psicologica, a costituire un punto di forza potentissimo, un tassello fondamentale che permette di avventurarsi verso una gravidanza positiva, già a partire dalle primissime settimane.
... che ascolta
Con l'avanzare dei mesi, aumentano considerevolmente le cose che possiamo condividere con il nostro bambino.
A metà gravidanza, intorno alla 20" settimana, in quel buio umido e ovattato iniziano a distinguersi più chiaramente anche i suoni. Il bambino sentirà rumori diversi, più o meno ovattati: tintinnii di chiavi e voci varie. Ma il ritmo che da questo momento farà parte della colonna sonora di tutto il resto della gravidanza, è uno solo: il battito del cuore della mamma. E una sola è la voce che tornerà sempre, l'unica che arriva direttamente da dentro.
Il bambino è il solo essere umano al mondo, insieme ai suoi eventuali fratellini, ad aver ascoltato la voce della sua mamma dall'interno.
A un giorno di vita saprà mostrare una chiara preferenza per quella voce. E per il resto della sua esistenza sarà connessa al rilascio di ossitocina, l'ormone dei momenti felici. Quella voce attiverà aree del cervello ben al di là di quelle deputate esclusivamente all'udito: attiverà quelle deputate alle emozioni e legate alle informazioni su di sé. E quel "per il resto della sua esistenza" comincia subito.
Da questa voce, inoltre, il bambino inizia già a imparare. Quando si parla di lingua madre, si dice qualcosa di molto più grande di quanto si tende a immaginare: dentro la pancia il bambino sta già imparando la lingua della mamma, che comparirà già nei suoi primi vocalizzi.
Il pianto di un neonato ha già un accento. Se ne sono accorti degli studiosi tedeschi che hanno analizzato e comparato il pianto di neonati in diverse parti del mondo, scoprendo differenze costanti. Per capirci, i neonati francesi mettono già l'accento sull'ultima sillaba (Buà buà buà) mentre i tedeschi sulla penultima (Bùa bùa bùa).
Nella pancia l'essere umano non impara solo ad ascoltare. Inizia persino a imparare a parlare!
Lì dentro il bambino ascolta i suoni con le sue orecchie e, insieme alle sue reazioni personali, vive anche quelle della sua mamma.
I due organismi sono così strettamente connessi che quando percepiscono una voce che fa sentire la mamma al sicuro, l'ossitocina in circolo farà sentire al sicuro anche il piccolo. Le emozioni che sentiamo sono fatte di cambiamenti fisiologici - ormoni, battito cardiaco, pressione, tensione cutanea... -, e quei cambiamenti sono condivisi da mamma e bambino.
Dentro la pancia il bambino sta imparando associazioni che resteranno con lui. Voci che la mamma ama, musiche che la fanno stare bene, gli ricorderanno una bellezza già conosciuta, che saprà riconoscere e cercare nella vita.
...che vede (poco)
La vista, così centrale per noi adulti, è l'ultimo dei sensi ad aprirsi nel periodo prenatale. Il suo sviluppo iniziale si avvia intorno ai 28 giorni di gestazione, circa alla 4" settimana. In quel periodo si formano le primissime cellule ottiche. Il loro sviluppo continua con un picco intorno al secondo mese, quando gli occhi si formano dietro il cranio e gradualmente arrivano alla posizione frontale.
Tra la 14" e la 28" settimana, nel giro di un mese e mezzo, il corpo della mamma supporta lo sviluppo di circa cento milioni di neuroni per il sistema visivo. Ci vorrà tempo per mettere a punto tutte le connessioni fra di loro fino a quando finalmente, durante l'ultimo trimestre di gravidanza, il piccolo sarà in grado di distinguere la luce attraverso il liquido amniotico.
Alla nascita il bambino sa però vedere il minimo indispensabile: la configurazione di chiari-scuri tipica di un viso, se si trova a circa 20 centimetri dalla sua faccia. E che viso è probabile che si ritrovi a quella distanza - guarda caso la distanza media tra il seno e la faccia di una donna - dagli occhi di un neonato? Quello della proprietaria di quell'odore, di quel sapore, di quella voce che sono stati l'unico ponte fra il dentro e il fuori.
Grazie a quel ponte, il bambino ha un bagaglio di informazioni, idee e meccanismi che lo rendono perfettamente competente per affrontare la grande avventura della vita. Altro che tabula rasa! Altro che "confusione ronzante"!
In sala parto - che sarebbe ora di iniziare a chiamare "sala nascita" - viene alla luce uno dei sistemi di apprendimento pili potenti che ci siano. Durante il primo anno di vita, nel cervello del bambino si creano più di un milione di nuove connessioni. Ogni secondo. E quest'esplosione di apprendimento viene messa, fin da subito, al servizio delle sue relazioni con i suoi compagni di viaggio.
... che comunica
Aristotele ha detto che l'uomo è un animale sociale, probabilmente senza sapere fino a che punto avesse ragione.
Sta diventando sempre più chiaro che fin dall'inizio il cucciolo d'uomo usa i suoi mattoncini di conoscenza per la cosa che lo interessa più di tutte, da cui dipende la sua sopravvivenza, il suo benessere, il successo e il progresso della sua specie: mettersi in relazione.
E la personcina, già nell'utero, lo fa. Un gruppo di ricercatori - casualmente composto da tantissime donne - ha considerato le gravidanze gemellari come un'occasione unica per indagare l'esistenza di un'embrionale interazione sociale prima della nascita.
Grazie a tecnologie impensabili ai tempi di Piaget, sono stati misurati con precisione i profili cinematici - accelerazione, durata e decelerazione - dei movimenti dei piccoli. La domanda a cui i ricercatori hanno cercato di rispondere era se questi movimenti fossero il risultato casuale di interazioni in un piccolo spazio o rispondessero invece a una forma più organizzata di azioni. La conclusione a cui sono giunti sembra fantascientifica: già a 14 settimane i movimenti di un embrione non avvengono a casaccio, ma seguono un piano preciso, in cui "io", "tu", "il mondo" sono associati a comportamenti chiaramente distinti.
Il bambino in utero tocca il suo gemello con gesti più lunghi e più lenti rispetto a come tocca il proprio corpo o le pareti dell'utero. Il bambino tocca il fratello in modo diverso dal resto del mondo. Lo tocca come fa con le parti più delicate e sensibili di se stesso.
Se hai dei gemelli in utero, sappi che sanno già farsi le carezze.