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Leonardo, matto di controllo

Pubblicato 2 anni fa

Leggi un estratto dal libro "Storie di Matti" di Arianna Porcelli Safonov

C'erano voluti due mesi di gara per selezionare l'agenzia di organizzazione eventi che si sarebbe occupata della convention nazionale del gruppo, a Bologna.

Prassi vuole che si debba simulare una competizione tra fornitori alla quale poi debba seguire un’altrettanto insincera selezione che determini la scelta apparentemente imparziale di un fornitore, calibrata su parametri seri e imprescindibili che riguardano capitale sociale, esperienza e proposta creativa.

In sostanza però, tutti sanno che il parametro unico è che il direttore creativo dell’agenzia prescelta sia più o meno amico dell’amministratore delegato.

Essere più o meno amico dell’AD è come avere in tasca un passe-partout che apre le porte di tutte le gare d’appalto possibili: è come avere in mano la vittoria e tutti i suoi assi, ancora prima di sedersi seduti al tavolo da poker.

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Stai leggendo un estratto dal libro:

Leonardo Cartieri è un casertano vicino ai cinquantacinque consapevole di essere piacente. È sempre puntuale perché è ingegnere e quelli che scelgono questo tipo di facoltà sono sempre la ricerca di una perfezione che, per ragioni profetiche, pensano coincida con loro stile di vita.

Leonardo però è ingegnere solo di formazione per­ché non ha mai esercitato dato che, ancor prima di esse­re iscritto all'albo, era già iscritto nel grande libro dei figli di.

Perciò, in qualità di figlio di un ex ministro dell'Economia, è stato sempre amministratore delegato di qualcosa. Quando era piccolo Leonardo contava meno di un sasso di fiume. Era un bambino fabbricato per essere un complemento d'arredo in una famiglia che di famiglia aveva po­co tra le mura domestiche, ma per i giornali e il cerimo­niale riusciva a brillare tra tutte le famiglie più borghesi e timorate di Dio.

Suo padre oltre a essere ministro non era riuscito a essere nient'altro, tranne il tipico uomo che crede di po­ter essere solo il proprio lavoro. La madre di Leonardo assisteva alla triste danza di tradimenti e righe di coca fino all'alba nei ristoranti romani con le serrande abbassate, ed era una di quelle donne sempre intente a guardarsi le unghie pur di non parlare. Era laureata in Geologia, con un cervello funzionan­te e una carriera in conservatorio sfiorata per una fra­zione di secondo.

Leonardo la sentiva suonare il pianoforte da dietro la porta chiusa a chiave e sapeva che quello era il mondo del­la mamma e che nessuno poteva far capolino, neanche lui. La mamma di Leonardo era bella, intelligente e di­screta: non era una donna come le altre, a Caserta era una perla rara. Purtroppo però aveva un problema coi soldi, nel senso che li amava profondamente, più della musica e con avidità.

Le piaceva fare della vita un'esperienza di agio e dedizione completa verso le sue passioni: gli abiti sarto­riali, il pianoforte e il silenzio. E le piaceva fare una vita senza remore quando arriva­no conti e bollette, perciò sposò quel coglione del padre di Leonardo. Perché non basta essere ministro per non essere co­glione. 

Così Leonardo era cresciuto tra il silenzio assente del­la mamma e la superficialità del padre, figlio unico con le iniziali sulle camicie e la riga dei capelli da un lato.

Oggi Leonardo è alla guida del più importante grup­po di trasporto su ferro italiano, però quella tristezza, quel sentimento di insicurezza profonda che fa mancare la terra da sotto i piedi anche se sei il re del mondo, non se l'è mai tolta di mezzo e oggi ci convive, facendo finta di niente, convinto di aver sepolto tutta la sua solitudine sotto a quella stessa terra dove oggi crede di poggiare i mocassini in cuoio toscano con virilità e padronanza.


Ma la sepoltura dei propri traumi è il primo granello di asfalto per costruire la strada che porta alla follia.


Leonardo però ignora la psicologia spicciola mentre sta andando alla sua convention con Audi, autista e completo Brioni; già, perché questa non è la conven­tion del gruppo che dirige da due anni, ma la conven­tion del suo gruppo, così com'è sua Bologna, che lo ha adottato dai tempi dell'università.

Tutto ciò che appare chiaro in politica non sempre si delinea altrettanto bene quando parliamo di aziende, eppure Leonardo, se fosse un capo di stato, sarebbe agli occhi di tutti un dittatore. I dittatori delle aziende invece vengono chiamati in maniera elegante amministratori delegati, eppure nes­suno può contenere il loro potere, esattamente come avviene in certi governi. Nessuno, figuriamoci il presidente, incaricato con, se possibile, ancora più analogie con la politica: prima tra tutte, far credere alla gente normale che ci sia lui a moni­torare gli eventuali abusi di potere del vertice esecutivo.

Per questo il presidente è sempre vecchio, perché i vecchi, se vogliono, sono in grado di rassicurarci tutti.

Il presidente del gruppo TFI è un vecchio che tanti anni fa fece molte volte l'amministratore delegato, quin­di sa come coccolare braccia e menti dei lavoratori e te­nere nascosti gli angoli rancidi del potere industriale. Il presidente, pur essendo lì a coccolare tutti con quel­la tonnellata di anni di carriera sulle spalle, teme Leonar­do perché non ha mai incontrato un tizio come lui. Ha girato tutto il mondo due volte eppure uno come lui crede di non averlo mai visto, ma non è così, perché certa gente matta si somiglia in maniera impressionante, nonostante i meridiani e i paralleli diversi.

E poi Leonardo non ha amici e quelli che non han­no amici sono pericolosi, pensa il presidente.

Le amicizie di Leonardo sono strettamente legate alle necessità aziendali, per il resto il numero uno di TFI è so­litario e ha pazienza solo con le belle donne e coi com­messi personali della sartoria dove si fa confezionare le camicie. Tutti i suoi giorni sono uguali ai precedenti, non im­porta che siano vissuti nel suo ufficio a Bologna o a Dubai, perché per lui poco cambia: ogni mattina Leo­nardo si sveglia è ha già sul tavolo un paio di quotidiani finanziari per ciascun paese che lo meriti, alle 7,30 è sul tapis roulant e alle 9,30 ha fatto una lunga doccia bol­lente, si è concesso un cappuccio e una brioche al miele ed è pronto per dirigere il gruppo ormai quasi solo con lo sguardo, severo, inequivocabile, astuto e impietoso.

Decisamente folle.

Eppure nessuno se ne accorge, a parte il presidente, perché sul lavoro Leonardo non sbaglia un colpo, è un animale progettato per pilotare aziende, un capitano che potrà solo far crescere il fatturato annuo della nave con la quale è salpato.

Essendo di marmo, non trapela nulla della sua vita, che i più sensibili sono riusciti a intuire non debba es­sere felice soprattutto a causa della sua infanzia da li­bro Cuore.

Così la mattina dell'evento il presidente arriva sul po­sto prima dell'AD, ma non certo prima dei dipendenti. Loro hanno avuto la convocazione alle 8,30 e, tenuti buoni col welcome coffe, aspettano che arrivino quelli che contano nella hall del palazzo noleggiato. Il presidente scende dalla sua Audi e saluta come il papa mentre gli si avvicina la signora Sonia, la donna che regge tutti i fili del gruppo ma, come accade sem­pre in quasi tutte le aziende, non ha potere decisionale e deve sempre chiedere il permesso prima di agire.

Eppure in presidenza non c'è penna che si muova di cui lei non senta il rumore. Sonia si avvicina e sussurra in un orecchio al presi­dente che l'AD sta per arrivare, che tutto è pronto e per­fetto, ma sa che non è vero.

Tra le innumerevoli cose che ci sono da fare all'inter­no della grande macchina organizzativa di un congresso della TFI, c'è un sopralluogo irrinunciabile, fondamen­tale e minuzioso di tutti gli spazi che verranno utilizzati, facendolo mettendosi nei costosi panni dello zar. Una specie di volo infallibile con un drone mentale per capire in tempi record se ogni minimo centimetro visto dagli occhi dell'AD potrebbe essere di suo gradi­mento oppure no. Un'ispezione difficile, quella fatta sforzandosi di essere un'altra persona, in questo caso Leonardo, così silenzioso e inflessibile, che spetta sempre alla signora Sonia.

E poi il fatto è questo: Leonardo sembra Dio ma ha dei seri problemi di prostata. A dirla tutta, non si sa bene se il problema sia pro­statico oppure psicologico, uno di quegli scherzetti che fa la psiche quando un dolore, un'insicurezza o una rottura emotiva non vengono presi in considerazione e allora lei decide di mostrarteli attraverso il corpo, senza farti sconti.

Leonardo è uno che le rotture emotive le ha sempre schernite e ora la psiche si vendica e sceglie la via più infantile e più tenera: fargli scoppiare la vescica quan­do lui meno se lo aspetta. Mentre dorme, in riunione o su un volo di soli tren­ta minuti, Leonardo ha la prostata che gli fa il count­down e sceglie lei quanti secondi contare.

Per cui la sua segretaria numero uno, che sarebbe la signora Sonia (nonostante più che segretaria, si tratti del numero tre, in azienda), deve organizzare tutti gli spostamenti dell'AD affinché il dittatore si senta a suo agio, e per sentircisi abbia sempre, per carità di Dio, un cesso a meno di venti passi dal podio o dalla poltrona in velluto dove si trova. E che il cesso sia discreto, privato e di gusto, altrimen­ti nessuno è in grado di prevedere cosa potrebbe succe­dere e, se nessuno può prevederlo, è perché l'altrimenti non è mai successo.

La signora Sonia è una professionista, da sempre sin­gle e con la sola vocazione aziendale dunque perfino que­sto imbarazzante e delicato compito lo ha sempre sbriga­to nel più pregevole dei modi, tanto che nessuno sa di questo piccolo disagio dell'ing. AD Leonardo Cartieri. 

Nessuno ad eccezione dei direttori di produzione dell'agenzia che organizza l'evento, visto che devono avere tutte le necessità dettagliate del loro cliente e va­lutarle in base alla planimetria della location prescelta. Ora, non è che la signora Sonia debba spiegare agli organizzatori che serve un cesso per i problemi urinari dell'AD, ma la mente supersonica di un event planner vuoi che non sospetti niente quando il cliente domanda un gabinetto reale in tutte le location scelte per la gran­de convention, distante non più di quaranta metri da dove si trova il culo dello zar? E allora giù con le risate tra gli addetti ai lavori, ma ben strette tra i denti e fino a quando non entra in sce­na lui, l'AD che anche con l'incontinenza cronica terro­rizza perfino i muri, anche se questa mattina è la signo­ra Sonia ad essere terrorizzata più dei muri, perché sa che c'è un dettaglio più approssimato del solito: il ces­so della sala plenaria.

La location piaceva troppo all'AD per potervi rinun­ciare e la signora Sonia ha la sua buona dose di pudici­zia che non le ha permesso di dire: «Guardi ingegner Cartieri, questo posto non fa per noi, non c'è un gabi­netto vicino al podio, rischia di pisciarsi addosso da­vanti a tutti».

Così il posto è stato confermato. Sonia, quando è arrivata la mail con un solo, lapida­rio «Ok» alla location scelta, ha sentito un brivido lun­go la schiena che si è tenuta per sé, come le donne sono abituate a fare troppo spesso.

A ogni modo non tutto può andar male: per accede­re al leggendario gabinetto, infatti, occorre prendere un ascensore posizionato proprio alla sinistra del po­dio, accanto alla porta di emergenza; si deve salire di soli due piani, e quando le porte si aprono si ha direttamente davanti l'ingresso dell'appartamento reale con salotto e cesso cinque stelle, a uso esclusivo dell'AD per ogni suo bisogno, sempre che ci arrivi in tempo.

Sonia per questa evenienza ha previsto una hostess davanti alla porta dell'ascensore che resterà lì, mummi­ficata ma pronta solo ed esclusivamente per il delicato servizio in questione. Nel frattempo Leonardo sale le scale del palazzo e trova il presidente ad accoglierlo con una stretta di ma­no e l'altro braccio a cingergli la spalla. Le hostess scacciano i dipendenti ritardatari spin­gendoli in sala col loro badge penzolante sul petto, at­taccato al cordino della TFl e il cognome ben stampato accanto al logo della convention.

Nel giro di dieci minuti sono tutti in sala plenaria a sur­riscaldare le batterie degli smartphone, rapiti dalla noia e dall'indolenza fino a quando non comincia l'evento. Parte la musica, sparata a milioni di decibel dall'im­pianto normalmente usato per concerti e grandi show, e a quel punto tutti sussultano sulle poltrone e si risve­gliano dal sonno e dai loro piccoli schermi per tuffare gli occhi in un altro schermo, il gigantesco ledwall che li ipnotizzerà fino alla pausa pranzo.

È iniziata la grande convention nazionale, ma so­prattutto, se la musica è stata lanciata a questo volume infernale, vuol dire che è arrivato l' AD.

Ci sono settemila persone. Settemila vite ossequiose, settemila piccole teste con le orecchie che pendono dalle labbra di Leonardo Cartie­ri, del suo splendido abito Brioni e del suo sguardo di ghiaccio che fucila le donne e crea sudditanza nei maschi. L'ingegner Cartieri sembra sempre incazzato, e infon­dere paura come fosse un diffusore per ambienti è il suo metodo di lavoro. 

Le settemila persone sedute, gli organizzatori, i ca­merieri del catering, i fonici e il reparto di comunica­zione della TFI tacciono muti e affascinati dal carisma che gronda da questo essere umano che non pare mor­tale.

Leonardo apre la convention con un paio di conve­nevoli, tante pause teatrali e due occhi che bucano il buio della platea e cercano sguardi colpevoli; comunica che saranno convocati sul palco i responsabili di quel ritardo del treno o di quell'errore di progettazione per dare delle motivazioni sui loro fallimenti. Sembra che da un momento all'altro debba dire: «Nessuno uscirà vivo da qui», e invece piglia le sue scartoffie e scende dal podio lasciando il campo di bat­taglia al Presidente per un rapido saluto e un buffetto virtuale su tutte le guance dei presenti, spaventati dalla cattiveria di Leonardo.

Per tutta la mattinata i lavori sono affidati al Diret­tore Marketing e al Responsabile Acquisti di TFI, i due cavalieri serventi dell'AD, con la loro dozzina di slide e i piccoli occhi lanciati verso la poltrona dello zar, a cer­care un cenno di approvazione che non arriva mai. I due direttori arringano il gruppo, macinano dati statistici, parlano male dei competitor, parlano bene della TFI e di quanto sia importante appartenerle.

Quando i dipendenti sono visibilmente distrutti dai dati e dagli obiettivi per il nuovo anno, proprio quando sembra essere arrivato il motivo principale per il quale sono venuti tutti, il pranzo offerto dall'azienda, proprio quando tutti aggiustano le natiche sulle poltrone per cercare il punto che ancora non soffre di quella posizio­ne statica imposta da cinque ore, ecco che risale lui, lo zar.

Si crea un silenzio stanco, un'attenzione forzata e ossequiosa che farebbe schifo al leccaculo più spregiu­dicato che conoscete. Leonardo sale sul palco e anziché fare le giuste con­clusioni, proclama un cambio di programma.

Alle parole «cambio di programma», la signora So­nia imbraccia cellulare e radio ricetrasmittente, si fa se­ria come Indiana Jones quando arriva il momento di lottare con gli spiriti del tempio e attende il nuovo pro­gramma, pronta a dare ordini alle cento persone che oggi organizzano la convention nazionale della TFI.

Cartieri comincia a fare l'appello. La platea bisbiglia, non capisce e, quando finalmen­te lo fa, trasalisce dal terrore: lo zar chiama sul palco tutte le persone coinvolte in due episodi di disservizio scandalosi apparsi sui giornali e divenuti materia d'in­dagine. L'appello sembra interminabile esattamente come quelli che si subiscono a scuola durante le interrogazio­ni, mentre la signora Sonia grida bisbigliando alla ra­dio: «Ritardo servizio pranzo, ritardo servizio pranzo, quaranta minuti circa, passo». I dipendenti nominati salgono sul gigantesco podio con delle catene al collo e delle palle di ferro immagi­narie al piede: sono stati chiamati quasi tutti i dirigenti più anziani, quelli che hanno avuto i cesti a Natale per quarant'anni e sono diventati nonni da poco, i dirigenti in età vicinissima alla pensione tanto sudata, quelli che dovrebbero essere i grandi vecchi saggi della TFI. I cosiddetti "quadri" per intenderci, quei dirigenti che forse erano presenti quando nacque la TFI, che l'hanno vista crescere e sbaragliare la concorrenza, ma la cosa a Cartieri non basta, a quanto pare.

I nominati salgono e si mettono in fila, alle spalle di Cartieri, con lo sguardo di chi non capisce ma esegue perché sa che l'azienda rispetta i suoi direttori, invece l'AD non rispetta nessuno dentro a quella sala plenaria, perché tutti sono di sua proprietà, ma soprattutto è l'a­zienda a essere sua. Anche se è una società per azioni, le uniche azioni davvero determinanti sono le sue. Così lo zar chiede un microfono e una hostess si lan­cia nel raggio di pochissimi secondi e lo pianta sul po­dio con tutta l'asta come un fallo in bronzo di Louise Bourgeois, prima di sparire nel buio col suo tailleur grigio Londra.

Leonardo, senza troppi preamboli, inizia a interro­gare i vecchi dirigenti, a chiedere loro motivazioni, spiegazioni e nomi di eventuali responsabili non pre­senti ma colpevoli di questo o quel disservizio. I signori sudano, indietreggiano, qualcuno risponde con la voce tremante e una matassa di muco nervoso che gli occlude la gola; sono visibilmente stanchi men­tre vengono tormentati dallo zar e qualcuno di loro starà pensando che, senza dubbio, in quarant'anni di servizio, quella di stamattina è la più grande umiliazio­ne professionale mai subita. Una mortificazione di massa, come bisbiglia il regi­sta seduto sul trespolo dalla sua piccola roccaforte ne­ra, nel bel mezzo della platea al buio.

Era già pronto col cursore su PLAY per far partire il video emozionale conclusivo e si ritrova a dar luce a quel patibolo di anziani con la cravatta che sa di nafta­lina e la faccia livida che chiede solo di tornare a casa dalla propria moglie e lasciarsi morire.

Invece Leonardo Cartieri, inflessibile ma con le ve­ne della fronte gonfie di sangue, colpisce e affonda fino a quando non spezza una parola e resta immobile, ritto su se stesso e in silenzio a fissare il nulla. Chiede scusa e inizia a camminare verso l'uscita de­stra del palco.

La platea è ammutolita, i vecchi impietriti che non sanno se convenga scendere o no, se debbano conside­rarsi licenziati oppure no. Nessuno sa cosa fare né capisce cosa stia per fare l'AD, al quale, però, di ciò che pensa la platea non frega un caz­zo poiché deve pisciare. E lo sanno soltanto lui e la signora Sonia, che lo guar­da col piano d'emergenza inserito nelle meningi mentre si sbraccia indicando l'uscita dalla parte opposta, spe­rando che Leonardo la veda, nel semibuio della sala.

Leonardo in pochi minuti è verde in volto e gronda sudore dentro all'abito da quindicimila euro; ascolta se stesso e capisce chiaramente il bisogno che ha di Sonia e quanto sia dipendente da lei. La cerca con lo sguardo, non riesce a vederla acce­cato dai fari che sparano fasci di luce bianca dalle ame­ricane che ha pagato lui, coi soldi della sua azienda. Inizia a gridare sperduto: «Sonia! Signora Sonia, do­ve si è cacciata, cazzo?», e Sonia si rende conto che l'in­gegner Cartieri è vicino al pisciarsi addosso e vuole che lei si tolga all'istante i panni dell'elegante dama di com­pagnia e direttrice di presidenza e corra sottopalco fre­gandosene della cucitura della gonna a tubino, per gri­dargli dove si trova il suo cesso.

E Sonia lo fa, inizia a correre disperatamente, facen­do saltare uno dopo l'altro i punti dello spacco del tu­bino e gridando a squarciagola: «Dall'altra parte, inge­gnere!». Leonardo percepisce il grido disperato di Sonia e si lancia come Batman dal lato opposto del palco, scaraventando, contro la platea sgomenta, tutto ciò che in­contra nel suo tragitto, dai vecchi pensionati che non riescono a spostarsi in tempo, ai piccoli tavolini in plexiglas con le bottiglie d'acqua per i relatori.

Leonardo si getta come una slavina contro tutto, guardando la hostess piazzata a presidio davanti all'a­scensore, con gli occhi iniettati di sangue come un bi­sonte ferito. La ragazza, pagata per fare esclusivamente il gesto di pigiare il pulsante dell'ascensore e girare la maniglia della porta del loft quando e se necessario, ci mette un po' a mettere in moto il cervello e a capire che il VIP vuole sfondarla quella porta di ferro lì, ma appena si connette con l'urgenza, pigia subito il pulsante di chia­mata dell'ascensore mentre Leonardo perde completa­mente il senno e grida come Mel Gibson in Braveheart con la folla in platea che rabbrividisce.

Sonia nel frattempo continua a correre come una lippa verso il suo Dio e non fa minimamente caso a un cappotto appoggiato per terra proprio sotto a una delle poltrone in prima fila, da qualche stronzo che non vo­leva fare la fila al guardaroba e allora se l'è portato in sala, il soprabito. La punta della sua décolleté incalza una manica del cappotto che le si attorciglia stretta al collo del piede come un serpente facendola fracassare col mento a ter­ra e i capelli stropicciati in faccia. A quel punto è guerriglia: le prime file si alzano per accorrere ad aiutare la povera Sonia, i dirigenti sul pal­co liberano le file con l'antica tecnica del "si salvi chi può" e la telecamera della regia proietta sul maxischer­mo 6x6, non si capisce per quale motivo, la diretta con l'AD che si lancia contro le porte chiuse dell'ascensore travolgendo la hostess con tutto il suo peso.

Leonardo grida come un pazzo, grida di aprire, che farà un casino, «Io vi ammazzo tutti, maledetti!», mentre la hostess tutta dolorante da terra prova a dirgli che lei lo ha chiamato l'ascensore, di star calmo che arriva. Leonardo però è fuori di sé e inizia a prendere a schiaffi la ragazza e a calci la porta dura di acciaio che non si apre e che osa sfidare lo zar, col suo pulsante rosso che segna occupato. «Vi ammazzo tutti, bastardi!», grida come un demo­nio ancora una volta, e inizia a dare una scarica di pu­gni alla porta fino ad ammaccarla e fino a quando le nocche delle mani non diventano fucsia e i pantaloni del suo completo grigio non iniziano a macchiarsi al­l'altezza del cavallo, in maniera inesorabile, impietosa.

Lo zar è morto.

Anzi, peggio.

Lo zar resta in vita, a braccetto con la sua essenza più vulnerabile, la vescica che gli scoppia nelle braghe e che gli fa pisciare tutto il pisciabile davanti ai suoi set­temila dipendenti.

Leonardo ha i pantaloni zuppi davanti alla porta dell'ascensore aperta, una ragazza a terra ferita su uno zigomo che però sorride e a una platea di settemila per­sone che erano sul punto di uscire dalla sala e invece si sono fermate davanti alle porte della plenaria e lo stan­no guardando.

L'ingegner Leonardo Cartieri, amministratore dele­gato della TFl piange tutte le sue lacrime continuando a gridare che ammazzerà i bastardi responsabili di tutto ciò e forse qualcos'altro, ma il pianto si fa serio, folle e le parole ci inciampano dentro.

Tra la folla ha il coraggio di accorrere verso Leonar­do, solo lui: il presidente.

Il presidente infatti sa coccolare e poi è vecchio e i vecchi, se vogliono, sono in grado di rassicurarci tutti. 

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