Le esperienze psichedeliche: uno studio rigoroso e scientifico
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4 anni fa
Leggi un estratto da "Come Cambiare la tua Mente" di Michael Pollan
Se la comune coscienza in stato di veglia non è che uno dei diversi modi possibili di costruirsi un mondo, allora forse esiste un valore nel coltivare più generosamente quella che sono arrivato a considerare come diversità neurale.
Con quest'idea, Come cambiare la tua mente si accosta al tema da diverse prospettive, impiegando diverse modalità narrative: quella della storia sociale e della storia della scienza; quella della storia naturale, del memoire del giornalismo scientifico; e quella di studi di casi riguardanti volontari e pazienti. Nel mezzo del viaggio offrirò anche una descrizione della mia ricerca di prima mano (o forse dovrei parlare di esplorazione) nella forma d'una sorta di diario di un viaggio mentale.
Nel raccontare la storia della ricerca sugli psichedelici, passata e presente, non cercherò di essere esaustivo: il tema, riconducibile al tempo stesso alla scienza e alla storia sociale, è troppo vasto per essere compresso tra la prima e la quarta di copertina d'un unico libro.
Invece di tentare di presentare ai lettori l'intero cast dei personaggi responsabili del rinascimento degli psichedelici, la mia narrazione segue un pugno di pionieri riconducibili a una particolare linea di ricerca scientifica, con l'inevitabile risultato che i contributi di molti altri sono trattati in modo sbrigativo.
Sempre nell'interesse della coerenza narrativa, mi sono concentrato su certe sostanze ad esclusione di altre. Per esempio, c'è poco sulla MDMA (nota anche come ecstasy), che si sta mostrando molto promettente nel trattamento del disturbo post-traumatico da stress. Alcuni scienziati annoverano la MDMA tra gli psichedelici, ma moltissimi altri non lo fanno, e io seguo loro. A livello cerebrale, la MDMA agisce infatti attraverso un diverso insieme di vie neurali e ha una storia sociale sostanzialmente diversa da quella dei cosiddetti psichedelici classici.
Tra questi, mi concentrerò principalmente su quelli che stanno ricevendo maggiore attenzione dagli scienziati, in particolare la psilocibina e l'LSD; ciò significa che altri psichedelici, ugualmente interessanti e potenti ma più difficili da portare in laboratorio, come l'ayahuasca, avranno meno attenzione.
Un'ultima nota sulla terminologia. La classe di molecole a cui appartengono la psilocibina e l'LSD (ma anche la mescalina, la DMT e diverse altre) è stata nominata in vari modi da quando, sono ormai decenni, si imposero alla nostra attenzione.
Al principio furono chiamate «allucinogeni». D'altra parte, fanno talmente tante altre cose (mentre le vere e proprie allucinazioni complete sono in realtà alquanto insolite) che ben presto gli scienziati si misero alla ricerca di termini più precisi ed esaurienti, una ricerca descritta nel terzo capitolo.
Il termine «psichedelici», che qui userò più degli altri, ha tuttavia i suoi svantaggi. Accolto negli anni Sessanta, è gravato da una gran zavorra contro-culturale. Nella speranza di sfuggire a quelle associazioni, e di sottolineare le dimensioni spirituali di queste sostanze, alcuni ricercatori hanno proposto di chiamarle «enteogeni» - dal greco per «che genera il divino dentro». Questo mi sembra però troppo enfatico.
Nonostante tutta la simbologia anni Sessanta, il termine «psichedelico», coniato nel 1956, è etimologicamente accurato. Derivato dal greco, significa semplicemente «che rende manifesta la mente»: proprio quello che queste straordinarie molecole hanno il potere di fare.
Mentre intervistavo Richard Boothby e gli altri volontari, stavo leggendo, sperando di orientarmi, la descrizione degli stati mistici nel libro di William James, Le varie forme dell'esperienza religiosa.
In effetti gran parte di quello che James aveva da dire in merito mi aiutò a mantenere la rotta in mezzo al torrente di parole e immagini che andavo raccogliendo. Prima di addentrarsi nella discussione degli stati mistici della coscienza, James ammette: «...la mia particolare indole mi taglia fuori quasi interamente dal godimento degli stati mistici». Quasi interamente: quello che James sapeva sugli stati mistici l'aveva scoperto non soltanto dalle letture, ma anche dalle sue esperienze con le droghe, tra cui l'ossido nitroso.
Invece di tentare di definire una cosa difficile da cogliere come l'esperienza mistica, James ci offre quattro «segni » grazie ai quali è possibile riconoscerne una.
Il primo - e, secondo lui, «il più ovvio» — è l'ineffabilità. «Chi è soggetto a una tale esperienza, afferma immediatamente che esso [lo stato mistico] oltrepassa le possibilità d'espressione, e che nessuna descrizione adeguata del suo contenuto può esser resa in parole».
Con la possibile eccezione di Boothby, tutti i volontari con i quali ho parlato a un certo punto disperavano di poter trasmettere la potenza di quello che avevano vissuto nella sua interezza, per quanto ci provassero con grande determinazione. «Avrebbe dovuto esserci» era il consueto ritornello.
Il secondo segno di James è la qualità noetica: «...gli stati mistici sembrano essere, per quelli che ne fanno esperienza, anche stati di conoscenza... Sono illuminazioni, rivelazioni piene di significato e d'importanza... e, come regola, portano con sé un curioso senso di autorità per il tempo successivo».
A ogni volontario da me intervistato, l'esperienza aveva fornito più risposte che domande e - fatto curioso per quello che dopo tutto è l'effetto di una droga - tali risposte avevano una qualità straordinariamente robusta e durevole.
Secondo John Hayes, uno psicoterapeuta sulla cinquantina che fu uno dei primi volontari alla Hopkins, «sembrava che mi si stessero svelando dei misteri, e d'altro canto tutto pareva familiare, come se qualcuno mi stesse ricordando cose che già conoscevo. Ebbi la percezione d'essere iniziato a dimensioni dell'esistenza completamente ignorate dai più, comprendenti la netta percezione tanto del carattere illusorio della morte, intesa come una porta che varchiamo per entrare in un altro piano dell'esistenza, quanto del fatto che scaturiamo da un'eternità alla quale faremo ritorno».
Il che è abbastanza vero, suppongo, ma per chi sta avendo un'esperienza mistica una visione del genere assume la forza di una verità rivelata.
Molte delle singole intuizioni colte nel corso di un viaggio psichedelico si trovano quindi in equilibrio sulla lama di un rasoio, tra profondità e banalità assoluta. Boothby, un intellettuale con un senso dell'ironia molto sviluppato, aveva difficoltà a esprimere in parole le profonde verità sull'essenza della condizione umana che gli si erano rivelate nel corso di uno dei suoi viaggi con la psilocibina: «A volte mi hanno quasi messo in imbarazzo, come se dessero voce a una visione cosmica del trionfo dell'amore che uno associa sarcasticamente alle tipiche ovvietà dei biglietti d'auguri. Ad ogni modo, le fondamentali intuizioni che mi si sono presentate durante la seduta sembrano ancora, in massima parte, convincenti».
E qual era l'intuizione fondamentale del professore di filosofia? «L'amore vince tutto».
James accenna alla banalità di queste intuizioni mistiche parlando di «quel senso fattosi più profondo di una massima o di una formula che occasionalmente ci passa per la mente. "L'ho sentito ripetere per tutta la vita" esclamiamo "ma prima d'ora non mi sono mai reso conto pienamente del suo significato" ».
Il viaggio mistico sembra offrire un'istruzione superiore nel campo dell'ovvio. Nondimeno, l'individuo emerge dall'esperienza con una nuova interpretazione di queste ovvietà; ciò che prima era meramente conosciuto adesso è sentito, e assume l'autorevolezza d'una convinzione profondamente radicata. Inoltre, spessissimo, quella convinzione riguarda la suprema importanza dell'amore.
Karin Sokel, una life coach e terapeuta energetica sulla cinquantina, descrisse un'esperienza «che ha cambiato tutto e mi ha aperto profondamente». Al climax del suo viaggio ebbe un incontro con una divinità che chiamava se stessa «I am», io sono. In sua presenza, ricorda Sokel, «ogni mio singolo chakra era sul punto di esplodere. E poi c'era questa luce, la luce pura dell'amore e del divino, e quella luce era con me, e non occorrevano parole. Ero in presenza di questo amore divino, puro e assoluto, e mi stavo fondendo con esso, in quest'esplosione di energia... solo a parlarne mi sento scorrere l'elettricità nelle dita. Come se fosse penetrato in me. Il nucleo del nostro essere, ora lo sapevo, è amore. Al picco dell'esperienza stavo letteralmente tenendo tra le mie mani il volto di Osama bin Laden, lo guardavo negli occhi, sentivo amore puro emanare da lui, e gliene offrivo a mia volta. Il nucleo non è malvagio, è amore. Ho avuto la stessa esperienza con Hitler, e poi con qualcuno della Corea del Nord. Quindi credo che noi siamo divini. Questa non è una cosa intellettuale, è una consapevolezza nel profondo».
Chiesi a Sokel che cosa la rendesse così sicura che non si fosse trattato di un sogno o di una fantasia indotta dalla droga - un suggerimento che contrastava con il senso noetico che gli dava lei. «Non era un sogno. Era una cosa reale - come questa conversazione. Non l'avrei nemmeno capita se non avessi avuto l'esperienza diretta. Adesso è cablata nel mio cervello e quindi mi posso connettere ad essa - e lo faccio spesso».
James allude a quest'ultimo punto quando discute il terzo segno della coscienza mistica, che è la «transitorietà». Perché sebbene lo stato mistico non possa essere sostenuto a lungo, le sue tracce persistono «e, da una volta all'altra, sono suscettibili di continui sviluppi in ciò che è sentito come un'esperienza di ricchezza interiore e d'importanza».
Il quarto e ultimo segno, nella classificazione di James, è l'essenziale «passività» dell'esperienza mistica.
«Il mistico si sente come se la sua volontà fosse sospesa e perfino, talvolta, come se fosse afferrato e tenuto in suo potere da una potenza superiore ». Questa sensazione, di essersi temporaneamente arresi a una forza superiore, spesso lascia al soggetto l'impressione di essere stato trasformato in modo permanente.
I viaggi con la psilocibina intrapresi dai volontari della Hopkins che ho intervistato risalivano per la maggior parte a dieci o quindici anni prima, eppure i loro effetti erano ancora intensamente percepiti, in alcuni casi su base quotidiana.
«La psilocibina ha risvegliato la mia compassione amorevole e la mia gratitudine in un modo che non avevo mai sperimentato prima» mi raccontò una psicologa che non vuole essere nominata, quando le domandai degli effetti duraturi. «Fiducia, Abbandono, Apertura, ed Essere sono stati, per me, i punti di riferimento di quell'esperienza. Adesso, invece di limitarmi a credere in queste cose, io le conosco». Aveva fatto delle istruzioni di volo di Bill Richards un manuale di vita.
Richard Boothby fece in larga misura la stessa cosa, trasformando la propria comprensione intuitiva dell'abbandono in una sorta di etica: «Durante la mia seduta, quest'arte del rilassamento divenne essa stessa la base di un'immensa rivelazione, giacché all'improvviso mi apparve chiaro che qualcosa nello spirito di quel rilassamento - nel raggiungimento di un'apertura di spirito perfetta, fiduciosa e amorevole - è l'essenza stessa e lo scopo della vita. Il nostro compito nella vita consiste precisamente in una forma di abbandono della paura e delle aspettative, un tentativo di donarsi esclusivamente all'impatto del presente».
John Hayes, lo psicoterapeuta, emerse dall'esperienza con il suo «senso del concreto destabilizzato» e sostituito dalla convinzione «che esista un'altra realtà dietro a quella della percezione ordinaria. Essa ispirò la mia cosmologia - il fatto che dietro a questo mondo ce n'è un altro».
Hayes la raccomanda in modo particolare alle persone di mezza età per le quali, come suggeriva Carl Jung, l'esperienza del numinoso può essere utile nel far fronte alla seconda parte della vita. Hayes aggiunse «non la raccomanderei ai giovani».