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La simbologia nel testo "L'Era del Cinghiale Bianco" di Franco Battiato

Pubblicato 4 anni fa

Con L'era del cinghiale bianco del 1979 Battiato imprime la prima vera svolta pop al suo modo di immaginare musica e contenuti, tradotti adesso in irresistibile impatto nei confronti di un vasto pubblico che ne resta subito affascinato.

I ritmi musicali, sottolineati dagli arrangiamenti del violinista e compositore Giusto Pio, puntano sulla immediatezza delle suggestioni vocali piuttosto che sulla comprensione dei testi, il cui significato resterà per molti spesso un enigma.

Tanto per cominciare, cosa rappresenta questo fatidico "cinghiale bianco"? Battiato fa ancora ricorso a uno dei suoi calambour, simpatici giochi di parole, oppure stavolta lancia un messaggio diverso e dal significato preciso?

Tutto a prima vista potrebbe apparire ancora una volta come un estroso vezzo estetizzante basato sul nonsense e il paralogismo intellettuale, quasi un sistema innovativo di elaborare una nuova immagine di cantautore. Le atmosfere vagamente esotiche eccitano guizzanti e la fantasia dell'ascoltatore viene colpita a raffica da una miriade di impressioni sbalorditive e inaudite. Come quando si sente sparare così forte e in alto da pensare più all'esplosione dei fuochi d'artificio che a un fatto serio e, perciò, divertiti, si ride.

Le note che sono un tourbillon di sonorità accattivanti rapiscono immediatamente e spingono a danzare e a saltare in un anelito di liberazione di corpo e spirito. Le parole evocano vacanze esotiche, alberghi tunisini pieni di gente allegra e chiassosa, contrapposta agli studenti di Damasco descritti un po' omologati, tristi e «tutti uguali». Eppure al centro di queste opposte atmosfere possiamo immaginare un Franco riservato, silenzioso e osservatore implacabile di se stesso e del mondo che gli gira intorno.

Ed è proprio allora che si fa impellente cercare e scoprire l'autentica personalità grazie al processo di disidentificazione rispetto alla massa degli uomini, mentre «l'ombra della propria identità» si delinea aderendo a un irresistibile richiamo spirituale e a una spinta che eleva.

Mentre le descrive e le canta, l'autore sembra chiedere e chiedersi a cosa servano davvero quelle vacanze estive, quel circondarsi della compagnia di estranei, perfino il disinvolto gesto dell'accettare sigarette turche per passare il tempo.

Suggestioni che sorprendentemente si rivelano indispensabili per meglio comprendere cause e radici del proprio "io", per sviluppare un certo grado di consapevolezza pur nella dissonanza del caos, trasformandosi così in utile pretesto di profonda riflessione. Tutto è strumentale, quindi, e ogni spunto serve come mezzo per immaginare un sé migliore in un mondo migliore.

Battiato ci introduce in quello che da quel momento sarà il suo mezzo preferito per esprimersi: il simbolo. E quello del cinghiale bianco è antichissimo, frutto di una tradizione iperborea che ha finito per propagarsi in tutto il mondo indoeuropeo. Con questa mitica raffigurazione appartenente all'immaginario degli animali fantastici si vuole alludere al massimo grado di elevazione spirituale e ascetismo assolutamente superiore rispetto a qualsiasi potere e sovranità temporale.

Per i druidi, la casta sacerdotale celtica, questo emblema consacrato a Lug, la divinità della Luce, è l'espressione metaforica di uno stile di vita improntato al ritiro silvano e vessillo della lotta tra regalità e religiosità, più cruenta nei periodi di smarrimento e decadenza dei valori dello spirito.

Anche la mitologia induista conosce questa raffigurazione esoterica e attribuisce ad essa un significato molto vicino a quello del superamento del karma, dopo il completamento di tutti i cicli della reincarnazione. In entrambi i casi il «cinghiale bianco» allude all'inizio di una fase di rinnovamento e di rifondazione individuale ed epocale, un evento non dissimile dalla tanto attesa Era dell'Acquario.

Da notare con attenzione i simboli presenti sulla copertina dell'album, che appartengono tutti a millenarie dottrine ermetiche, a cominciare dall'uomo cabalistico inserito nell'albero sefirotico della vita segno di integrazione del microcosmo con il macrocosmo, cioè dell'individuo con il Tutto. E presente anche il disegno dell'ouroboros, il serpente di origine gnostica, che si morde la coda, di origine gnostica, glifo dell'eterno ritorno e di conciliazione degli opposti. Infine campeggiano le piramidi attraversate da un raggio di luce, simbolo per eccellenza del divino e della realizzazione attraverso i molteplici gradi di conoscenza quale espressione di concetti esoterici integrati nell'insegnamento massonico.

Nel retro si riconoscono figure alchemiche assieme ai classici emblemi dei quattro elementi empedoclei: aria, acqua, terra e fuoco. Con queste premesse, il lavoro di Battiato presenta chiaramente le sue nuove credenziali e introduce il lungo racconto di un uomo in viaggio alla ricerca di se stesso.

Sono ormai passati cinque anni dall'uscita di Clic nel '74, un lustro in cui nel modo di immaginare e comunicare musica dell'artista si verifica una metamorfosi radicale. Non si improvvisa più, non si avverte più l'esigenza di impressionare il pubblico con estremizzazioni iconoclaste e soprattutto diventa essenziale smetterla di giocare con se stessi, correndo il rischio reale di auto-annientarsi.

La disidentificazione dell'ego con tutto il suo immenso peso di difficoltà inizia già attorno al 1970 producendo crisi devastanti che lo portano sull'orlo del suicidio, e a New York solo per un soffio non si getta sotto la metropolitana per farla finita una buona volta.

La condizione indispensabile del ri-costruirsi intero implica che ogni parte del suo essere venga distrutta per poi rinascere totalmente nuova, celebrando così l'eterno ripetersi del mito che racconta l'atto di amore di Iside, simbolo dell'aspetto animico, nel gesto di ricomporre le membra spezzate dello sposo Osiride.

Franco passa un anno intero tra le più atroci pene dell'inferno su questa terra, un tormento senza tregua che racconta proprio nella sua "No U Turn":

Per conoscere
me e le mie verità
io ho combattuto
fantasmi di angosce
con perdite di io.

Per distruggere
vecchie realtà
ho galleggiato
su mari di irrazionalità.

Ho dormito per non morire
buttando i miei miti di carta
su cieli di schizofrenia.

Battiato riesce a cambiare pelle a costo di una sofferenza immensa. Ma è proprio al culmine di una crisi senza apparente soluzione che gli si schiudono improvvise le porte della conoscenza, quella dei filosofi e dei mistici esoterici, la folgorante bellezza del cammino iniziatico, i benefici taumaturgici della pace e del silenzio goduti all'interno dei monasteri.

È il momento del suo incontro con Roberto Camisasca, che Franco chiamerà presto Yuri in segno di gratitudine profonda perché l'ex monaco del Monte Athos aveva svolto su di lui la stessa positiva influenza che il principe Yuri Lubovedsky aveva esercitato su Georges Ivanovic Gurdjieff.

«Per distruggere vecchie realtà» abbandona le abitudini parassite tipiche del mondo Occidentale e trascorre lunghi periodi nelle celle dei monasteri greco-ortodossi dell'Athos, accolto grazie ad indispensabili permessi speciali. Si sottopone alle rigide regole delle preghiere diurne e notturne e recita gli interminabili esicasmi ritto per ore sulle stassidie bizantine. Legge le storie dei Padri della Chiesa, studia il mondo del sufismo, inizia il difficile cammino dell'ermetismo e del simbolismo cercando nelle culture mistiche dei popoli più diversi il significato nascosto.

Adesso non è più solo, ha superato la fase della disintegrazione e si è ritrovato integro e fortificato da nuove preziose e alleate presenze, forse chiaro presagio di un futuro consacrato a Dio.

Ora può finalmente contemplare con distacco indifferente quel che resta della propria identità, come una parte di sé divenuta estranea, trascorsa, dimenticata e ormai ridotta a riflesso umbratile. Da questo momento sente ardere la promessa di un tempo nuovo, di un grado di consapevolezza superiore capace di riconoscere e forse anticipare l'avvento di giorni inaspettati.

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