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La Quintessenza del Vedanta

Pubblicato 2 anni fa

Quali sono i 4 mezzi necessari per la vera realizzazione e la liberazione del nostro sé?

La vita dell'Ady-Jagadguru Sri Shankaracharya è ancora avvolta nel mistero. Coerente con la sua convinzione che un perfetto saggio che conosce il Sé (jnani) non deve lasciare traccia del suo passaggio nel mondo, nelle sue opere Shankara non ci dà praticamente notizie di sé, preso com'è dall'ardua missione di difendere e riaffermare la verità dell'Advaita Vedanta.

Oggi esploriamo un piccolo pezzo di questo meraviglioso mondo, insieme a lui. 

Ecco a te l'estratto dal suo libro: 

Indice dei contenuti:

La vita di Shankaracharya

Se vogliamo sapere qualcosa della vita di questo affascinante Jagadguru (maestro del mondo) dobbiamo rivolgerci ai differenti Shankara-vijaya (specie di biografie trionfalistiche), che furono composti in epoca più tarda e con in mente i fini più disparati.

Alcune informazioni meno rilevanti si possono anche trarre da due opere decisamente anti-Shankara scritte da un seguace di Madhva, oltre che dallo Skanda-Purana e dal Vayu-Purana.

Da tutte queste pseudo-biografie, tenendo sempre conto dei limiti propri ad ognuna, delle contraddizioni, dei fini guardando i quali ciascuna è stata scritta, e di altre considerazioni ancora, ci è possibile tratteggiare a larghe linee quella che verosimilmente dev'essere stata la vita dell'Acharya, almeno nei suoi tratti essenziali.

In India la vita di Shankaracharya è universalmente vista e considerata come quella di un'incarnazione dello stesso dio Shiva, che preso da infinita compassione per gli uomini discende sulla terra sotto spoglie mortali per difendere e ristabilire l'eterna verità del Sanatana Dharma: l'Advaita Vedanta.

Per questo quasi tutte le biografie dedicate a Shankara hanno il loro prologo sulla vetta del monte Kailash, dove Shiva dimora in perenne unione con la sua Parashakti e circondato da miriadi di Rishi, Siddha, Yogi, divinità, devoti, ecc.

Sul Kailash il dio Brahma facendosi portavoce della richiesta di Devarishi Narada espone a Shiva le condizioni in cui versa la terra, immersa nella più oscura ignoranza e in balia di false dottrine.

Questo è il momento di mantenere fede all'antica promessa, che il Signore discenda dunque tra gli uomini per ristabilire il Dharma. Shiva acconsente alla richiesta degli dei e cosi, dopo aver dato le necessarie disposizioni, può iniziare il lila-sogno-vita-missione di Shankara.

È generalmente accettato che il suo luogo di nascita sia stato Kaladi, un villaggio posto in prossimità del fiume Purna (Periyaru), circa otto miglia a nord-est dall'odierna città di Alwaye, nel Kerala, nell'India del Sud.

Si dice che il nonno di Shankara, Vidyadhiraja, un bramano appartenente alla semplice, colta e industriosa casta dei Nambudiri del Malabar, accudisse all'agrahara di Kaladi, il quale era stato fondato con ogni probabilità dal Maharaja di Cochin in seguito ad un sogno in cui Shiva diveniva manifesto in un Lingam sorto spontaneamente nelle vicinanze della sua capitale.

L'unico figlio di Vidyadhiraja, Shivaguru, dopo aver completato il consueto periodo di studio (brahmacharya) riservato ai giovani bramani presso la dimora di un maestro — secondo la classica divisione vedica della vita nei quattro asrama fu spinto da quest'ultimo a fare ritorno dal padre e intraprendere la vita di capofamiglia (grhastha).

Il giovane però aveva una forte tendenza all'ascetismo e ci volle tutta la forza di persuasione del padre per convincerlo a non rinunciare subito al mondo, ma a passare prima per il secondo stadio della vita (quello di capofamiglia) e continuare la discendenza della famiglia.

Così si sposò con una giovane, di nome Aryamba, che aveva qualche anno meno di lui. Per un lungo periodo la coppia non ebbe figli; infine i due si recarono nel tempio di Shiva a Vrishadri (Trichur) e si sottoposero a severe austerità, pregando il Signore di essere benedetti con dei figli.

Si dice che un giorno Shiva si mostrò loro in visione nel sonno, nelle sembianze di un anziano bramano, e chiese a Shivaguru se preferisse avere un gran numero di figli normali dalla lunga vita oppure un solo figlio eccezionale, dotato di grande saggezza, ma dalla vita breve.

Shivaguru scelse il figlio straordinario e, insieme alla moglie, si recò al tempio per esplicitare la richiesta. Si dice che la coppia udì una voce divina, proveniente dall'alto, che disse: "Io stesso m'incarnerò come vostro figlio". Fu così che, in mezzo a meravigliosi e straordinari eventi, Aryamba concepì quello che Swami Vivekananda, e con lui tutta l'India, considerava come il più grande intelletto mai venuto al mondo: Ady Shankaracharya.

Non ci è dato ancora sapere l'anno esatto della sua nascita, che è tutt'ora aperto a dispute.

Il nome Shankara vuol dire 'benefattore' ed è uno dei termini con cui ci si rivolge maggiormente a Shiva. Molti sono i miracoli associati alla nascita del bambino divino. Si dice che gli astrologi predissero nei loro oroscopi che il bambino sarebbe diventato un Sarvajna, e che avrebbe scritto libri sul Vedanta, ottenendone fama eterna.

Durante il suo viaggio, sfidando, vincendo e convertendo esponenti delle varie sette alla sua fede, Shankara giunse fino all'attuale Assam; qui affrontò e vinse in un torneo dialettico il famoso commentatore shakta Abhinavagupta, capo di un monastero in cui si praticava il tantrismo della mano sinistra.

Vinto ma non convertito, il tantrika fece finta di seguire il Maestro, ma in segreto mise in atto le sue subdole arti magiche e il Guru fu colpito da una terribile malattia incurabile. Ma grazie all'intervento di Padmapada, che in fatto di magia nera era superiore ad Abhinavagupta, il male venne rimosso e fu fatto ricadere sul mandante. Il maestro tantrico morì fra atroci tormenti.

Dalla valle del Brahmaputra l'Acharya si spostò nel Kashmir, e dopo aver vinto i Buddisti e gli Shakta del posto poté assidersi sul seggio dell'onniscienza, sito in un tempio dedicato a Saraswati, sul quale avevano potuto sedere solo tre persone prima di Lui.

Dal Kashmir, Acharya Shankara si recò a Badrinath, nel Himalaya. Qui, qualche chilometro più a sud, stabilì il monastero settentrionale di Joshimath, a cui fanno capo gli Swami del ramo Giri.

Il mantra iniziatico di questo math è "Ayamatmabrahma" (Questo Atman è Brahman). Shankara ristrutturò l'antico ordine monastico degli Swami, suddividendolo in dieci rami minori. Ai già menzionati Bharati, Aranya, Asramin, Saraswati e Giri vanno aggiunti i Parvata, Sagara, Vana, Tírtha e Puri.

All'età di trentadue anni, avendo la chiara percezione che la sua missione era stata compiuta, il Maestro del mondo decise di lasciare il corpo fisico. Lasciate le ultime disposizioni ai discepoli, intonò il bellissimo inno Nirvanasatka; quindi entrò in meditazione e fu il maha-samadhi.

In effetti, oltre al dato dell'età, nulla sappiamo di certo né sulle modalità né sul luogo della sua morte. La versione bengalese afferma ma che Shankara andò da Badrinath a Kedarnth e da qui si recò sul monte Kailash, dove abbandonò la coscienza corporea ricongiungendosi a Shiva-Brahman-Nirguna.

Secondo altre biografie, la morte dell'Acharya avvenne a Kanci, dove ancor oggi si mostra la 'sua' tomba. Altre ancora vogliono il `samadhi' del Guru nel tempio di Trichur, nel Kerala.

Saluto a Brahman

Offro il mio saluto a colui salutando il quale si ottiene la coscienza dell'indivisa beatitudine, a Govinda, il Guru, incarnazione di pura Coscienza e Beatitudine. 

Mi rifugio nell'infinito Atman, che è Esistenza, Conoscenza e Beatitudine assoluta, che è oltre ogni pensiero ed espressione e che è il supporto dell'universo, per il conseguimento dell'oggetto desiderato.

Mi rifugio ai piedi di loto di Ganesh, dimora dell'amabilità. Se una persona virtuosa vi cerca rifugio la paura che deriva dagli ostacoli viene rimossa.

[In alcune versioni troviamo quest'altro verso:

Il mio saluto (va) al guru Advayananda, che è davvero ciò che il suo nome indica, che è al di là di ogni dualità, che è devoto all'Atman e che è l'incarnazione di Shiva].

Quest'opera, intitolata La Quintessenza del Vedanta, è stata scritta in particolare perché possa essere facilmente compresa dai saggi che cercano la liberazione.

Le quattro qualificazioni indispensabili

Ogni testo sacro (shastra) deve trattare i quattro punti che seguono.

Quest'opera, che è stata scritta in conformità con gli shastra ed è basata su di essi, segue lo stesso principio.

I requisiti preliminari per lo studio degli shastra sono:

  • L'idoneità dell'individuo
  • La natura dell'argomento
  • La rilevanza di un particolare testo
  • Il beneficio che ne può derivare

È degno di studiare questo shastra chiunque sia davvero dotato delle quattro nobili qualità, sia abile nel ragionamento, sia dotato di potere mentale ed erudito.

Il suo tema è la pura Coscienza, che è contrassegnata dall'unità basilare di Atman e Brahman. A questo punto ed a questo punto soltanto vi è la sintesi di tutti i testi vedantici.

Secondo i saggi, la validità della conoscenza consiste nella realizzazione di questa unità: l'unità di Atman e Brahman. Mediante questa realizzazione si viene liberati subito e una volta per tutte dalle catene del samsara, il ciclo di nascite e morti.


La causa dell'azione è sempre un qualche scopo connesso al frutto. Nessuno, neppure un pupazzo, intraprende qualcosa senza pensare al beneficio che ne può derivare.


Questo beneficio è ottenuto soltanto dal saggio dotato in pieno delle quattro nobili verità; non può essere guadagnato da chi è sprovvisto di qualcuna di esse, per quanto minima possa essere la mancanza.

I grandi saggi sostengono che i mezzi necessari alla realizzazione sono quattro. Quando essi si possono trovare pienamente, la liberazione è raggiunta. Di certo la liberazione non può essere ottenuta altrimenti.

  1. Il primo di essi è la discriminazione tra ciò che è eterno e ciò che non lo è.
  2. Il secondo è la mancanza di attaccamento verso gli oggetti di piacere che si possono avere sia qui che nell'aldilà.
  3. Il terzo costituente è dato dalle sei nobili qualità, come tranquilità di mente, ecc., prese insieme.
  4. Secondo gli shastra, il quarto ed ultimo costituente è il desiderio della liberazione. 

Discriminazione

Solo Brahman, l'Assoluto, è eterno: null'altro è eterno. Essere consapevoli della distinzione tra l'eterno e il non-eterno è chiamato discriminazine (viveka).

Ad esempio, nessun oggetto d'argilla - come vasi e giare - è eterno, perché è deperibile e cessa di esistere. Ma l'argilla di cui sono fatti rimane sempre e quindi viene considerata (come) eterna.


Ciò che l'argilla è in relazione al vaso, quello è Brahman in relazione al mondo.


Per questo si dice che solo Brahman è eterno. Come immediata conseguenza tra ciò che è eterno e ciò che non lo è l'assenza di desiderio.

Non-attaccamento

Solo quelli che hanno acquietato le passioni e che non bramano né moglie né figli né ricchezze progrediscono nella via della liberazione. Nessun'altro può andare avanti.

Tre grandi porte conducono alla sconfinata città del samsara: la lussuria, l'avidità e la gola, e portano alla morte. Vi è però un'altra città, quella sacra della libertà assoluta. L'accesso a quella città è sbarrato da un robusto portone; donne e ricchezze rappresentano le sue due metà, mentre la lussuria è come una robusta traversa che lo spranga dall'interno.

L'eroe combatte la sua battaglia per entrare, solo lui è degno di godere la beatitudine della liberazione finale. Per un tale eroe - il saggio - la discriminazione è il cavallo, il non-attaccamento la spada, la forza d'animo una corazza impenetrabile; ed egli non teme alcun nemico.

Sei nobili qualità

Le sei virtù cardinali sono la tranquillità, il controllo dei sensi, la forza d'animo, la rinuncia, la fede, e la concentrazione della mente.

Desiderio di liberazione

Quando si ha il forte desiderio di spezzare le catene della vita, attraverso a realizzazione dell'identità di Brahman e Atman, questo si chiama desiderio di liberazione.

 

Per continuare ad approfondire, continua la lettura del libro:


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