La medicina che non vogliamo
Pubblicato
1 anno fa
Iper specializzazioni, protocolli, cause legali, nuovi malati: dov’è la medicina centrata sul paziente?
Come è stato possibile che in solo pochi decenni la fiducia media delle persone verso i medici e la medicina sia calata a livelli bassissimi? Tante situazioni hanno contribuito al danno: i protocolli sempre più vincolanti che hanno tolto libertà decisionale; i valori degli esami sempre più ristretti per poterci definire tutti malati; la medicina difensiva; l’ingerenza sempre più invadente delle aziende farmaceutiche sulla ricerca e sulle prescrizioni; l’iper specializzazione dei laureati e chi più ne ha più ne metta.
Oggi il paziente si trova a essere palleggiato tra un medico di base che spesso - per quanto esperto e preparato - ha da dedicare in media tre minuti a ciascuno, e uno specialista - talvolta indicato dallo stesso medico di base per un approfondimento - che si occuperà di un solo pezzo del corpo del paziente malato, spesso ignorando altre aree e altri sintomi, di evidente competenza di altri specialisti, in totale assenza di un “coordinatore” centrale in grado di orientare il paziente verso le cure complessivamente e individualmente più idonee alla sua situazione. E che dire di un sistema in cui se chiedi una TAC o una risonanza ti fissano l’appuntamento un anno dopo quando, se sussiste il problema oncologico per il quale l’esame è richiesto, probabilmente sarai già morto?
Oggi accade che il cardiologo, come da protocollo, prescriva un antipertensivo, l’urologo un alfa1 inibitore per la prostata (che è anche antipertensivo e rischia di mandare il paziente in ipotensione) ed entrambi si offendano se uno cerca di ridurre o deprescrivere il farmaco prescritto dall’altro.
La medicina difensiva
Il problema nasce, e si aggrava poi in modo rilevante, quando ci rendiamo conto del fatto che una parte dei comportamenti del medico sono rivolti alla cosiddetta “medicina difensiva”, ovvero quell’insieme di comportamenti volti a evitare grane o problemi legali con i pazienti. Uno stuolo di avvocati, infatti, staziona fuori dagli ospedali in attesa di accanirsi su eventuali presunti errori medici, talvolta con modalità contrattuali inaccettabili (scritte o verbali) volte a condividere tra cliente e avvocato l’eventuale utile derivante dal pagamento del medico o della sua assicurazione.
Il medico internista ha trovato invece una soluzione apparentemente semplice al problema delle cause legali. Prescrive con grande precisione tutti i farmaci previsti dalle linee guida ufficiali, così da essere inattaccabile di fronte a eventuali rimostranze del paziente o dei suoi eredi (legge Gelli). Tutto questo naturalmente trova il plauso dell’industria farmaceutica, dei super pagati relatori ai convegni di big pharma e di tutti i media a essa asserviti per via pubblicitaria. Ma il discorso non regge a un’analisi più approfondita. Di chi è infatti la responsabilità nel momento in cui due prescrizioni di due specialisti, pur entrambe corrette secondo linee guida, siano in conflitto tra loro? Il secondo prescrittore può considerarsi indenne da responsabilità se ha seguito le linee guida previste per quella patologia, ma non ha tenuto in considerazione le specificità del paziente che aveva davanti e le eventuali interazioni tra i farmaci che già aveva in uso? No, sicuramente.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito con molta precisione questo punto, osservando che: «È riservata al medico la scelta terapeutica nel singolo caso e l’adeguamento dei protocolli alle condizioni del singolo paziente e questo concetto non può essere compresso a nessun livello, pena la degradazione del medico a semplice burocrate». Il medico ha infine “dovere di dissenso” nei confronti di ordini e direttive provenienti da colleghi gerarchicamente sovraordinati, ove queste vadano in contrasto con le ultime indicazioni scientifiche emerse dall’arte. Il fatto che vi sia un così forte contenzioso legale in ambito medico, porta ogni operatore a proteggersi quanto più possibile. Il medico con la medicina difensiva, l’industria farmaceutica con il cosiddetto “bugiardino” allegato ai farmaci. Uno strumento appositamente costruito per esentare da ogni colpa il produttore.
Ogni caso clinico è dunque a sé stante, e il medico è la figura istituzionalmente preposta a vigilare sul fatto che vi sia coerenza tra le indicazioni che il paziente deve mettere in atto dopo la visita e quelle precedentemente ricevute. Qualora il medico ravveda conflitto è suo preciso dovere intervenire in senso correttivo, ponendosi al di sopra di qualunque “linea guida” nell’interesse del paziente.
Più malati
La creazione di nuove linee guida o di nuovi intervalli di “normalità” per gli esami del sangue non sempre è un atto libero da vincoli e influenze esterne. Quando al tavolo da gioco sono sedute le aziende alimentari e farmaceutiche, che dominano il mercato, i media, la ricerca “scientifica” e talvolta anche governi e ministeri, non sempre il gioco è libero da influenze commerciali. Nel momento in cui un restringimento dell’intervallo di “normalità” dei valori ematici di colesterolo genera un milione di “malati” bisognosi di cure in più, è evidente che chi deve effettuare tale scelta sia sottoposto a pressioni (economiche, di carriera, di prestigio) che talvolta sfuggono al controllo e possono creare imbarazzo a medici onesti, preparati e documentati, che non si riconoscono per nulla nelle nuove regole.
Una medicina centrata sul paziente non può essere basata su rigide linee guida, su eccessi di esami e strumenti diagnostici né su comportamenti di medicina difensiva. Il valore di un medico si misura anche attraverso la sua autonomia decisionale e il futuro della medicina passa anche dallo sviluppo di queste capacità, e dall’insegnamento delle stesse nel curriculum scolastico ufficiale di formazione, oggi - per motivi economici molto evidenti - completamente assente.