L’unicità degli ecosistemi negli alimenti fermentati
Pubblicato
2 anni fa
Flavio Sacco
Biologo, fermentatore, autore e divulgatore
Grazie alla fermentazione naturale degli alimenti possiamo ottenere un microbioma impossibile da replicare con ceppi selezionati in laboratorio
Gli alimenti fermentati sono dei microscopici ecosistemi in miniatura. La complessità di questi ecosistemi è pari a quella di una foresta o di una barriera corallina.
Ultimamente si sente molto parlare di approcci integrati e rigenerativi nel mondo dell’agricoltura, ovvero approcci che cercano di recuperare la biodiversità anche nei sistemi agricoli, portandoli ad essere più degli ecosistemi naturali da gestire insieme alla Natura piuttosto che controllarla e manipolarla come succede in un approccio di monocoltura.
Questo è successo nel tempo perché come esseri umani pensiamo di poter comprendere sistemi naturali complessi, come una foresta, e replicarli semplificandoli. Questo atteggiamento si ritrova anche per la fermentazione degli alimenti.
Tuttavia, il volano di questa rivoluzione alimentare, legata alla salute del nostro microbioma che si riflette sulla nostra, è aver capito che passa dalla biodiversità della nostra “flora intestinale”.
L’unico modo per ottenerla è mangiare cibi che contengono più ceppi possibile.
In questo articolo parliamo di:
Fermentazione spontanea e starter
Le fermentazioni spontanee, dette anche naturali, sono fermentazioni iniziate o indotte in assenza di microrganismi esogeni (e.g. starter) e che si affidano invece al microbiota autoctono o naturalmente presente sugli alimenti.
Affinché queste fermentazioni naturali abbiano successo, tuttavia, non è necessario solo che siano presenti i “corretti” microrganismi, ma anche che siano stabilite condizioni adatte alla loro crescita.
Le fermentazioni con starter invece sono delle fermentazioni dove si inocula un ceppo selezionato in laboratorio, e spesso brevettato, che sarà poi l’unico presente nell’alimento fermentato.
Si ricorre ai ceppi selezionati quando ad esempio si vuole inserire un grandissimo numero di batteri probiotici all’interno delle preparazioni e poter riportare in etichetta la dicitura “alimento probiotico”.
Il caso del kefir di latte
Un nuovo studio sul kefir [1] ha scoperto che le singole specie dominanti di batteri Lactobacillus nei grani di kefir non possono sopravvivere da sole nel latte. I batteri hanno bisogno l'uno dell'altro per creare la bevanda fermentata a base di latte, "nutrendosi dei reciproci metaboliti nella coltura di kefir".
La ricerca, condotta dall'EMBL (Laboratorio europeo per la vita e le scienze) e dall'Università di Cambridge, pubblicata su Nature Microbiology, illustra una dinamica di microbi che era sfuggita ai ricercatori. Sebbene gli scienziati sapessero che i microrganismi vivono in comunità e dipendono l'uno dall'altro per sopravvivere, "la conoscenza dei meccanismi di questo fenomeno rimane limitata", secondo un comunicato stampa sulla ricerca.
La cooperazione consente loro di fare qualcosa che non potrebbero fare da soli ed è particolarmente affascinante come L. kefiranofaciens, che domina la comunità di kefir, usi i grani di kefir per legare insieme tutti gli altri microbi di cui ha bisogno per sopravvivere.
La ricerca ha evidenziato che inculando artificialmente ceppi selezionati nel latte, non è possibile ottenere un kefir pari a quello ottenuto con i grani. Pur usando gli stessi ceppi.
Queste delicate interazioni si sono sviluppate in millenni di evoluzione e l’uomo non è e non sarà mai in grado di replicarle in laboratorio.
Gli alimenti fermentati sono degli ecosistemi naturali in miniatura, al pari di una foresta.
Gli starter servono alle aziende o ai consumatori?
Quando decidiamo di acquistare un alimento fermentato, leggendo l’etichetta possiamo capire se quel particolare prodotto è stato ottenuto da una fermentazione spontanea o con l’utilizzo di uno starter.
Un esempio classico sono gli yogurt, sia quelli base che quelli addizionati di ceppi probiotici (brevettati e non), dove vengono chiaramente riportati i batteri usati fra gli ingredienti.
Nel caso in cui invece si segua la via della fermentazione spontanea, questo può essere scritto in etichetta ma non verranno denominati i ceppi presenti, perché impossibile da fare se non con costose analisi di laboratorio. Ciononostante, il valore aggiunto comunicato dai produttori è che uno starter permette delle fermentazioni più “sicure” e garantisce un sapore standardizzato nel tempo. In realtà, questi sono valori aggiunti spesso solo per le aziende.
La standardizzazione di un processo produttivo non va a vantaggio del consumatore poiché impoverisce il suo panorama di possibilità gastronomiche, insieme all’estinzione di molti alimenti che vengono prodotti in piccolissimi lotti localmente.
Anche la sicurezza alimentare degli starter è un falso mito, poiché la stessa sicurezza è garantita dalle competenze di chi porta avanti i processi fermentativi spontanei.
Quando queste conoscenze vengono a mancare possono essere compensate dall’uso di starter, che rende tutto “facile e replicabile da chiunque”, ma che in realtà facilita la perdita di competenze professionali.
Un microbiota vario è un microbiota sano
Il nostro microbiota per rimanere in salute deve essere vario e bio-diverso.
Lo dimostra un recente studio [2] che ha analizzato campioni di popolazione coreana, confrontando la salute del microbiota intestinale di persone che mangiano abitualmente verdure fermentate per fermentazione spontanea, su tutte il kimchi, e chi no. L’analisi rivela che chi segue una dieta a base vegetale e alimenti fermentati ha una composizione della flora intestinale positivamente associata a generi di batteri che riflettono una migliore salute.
Mangiare alimenti fermentati per fermentazione spontanea è il miglior modo per mantenere un microbiota intestinale sano, che si riflette positivamente sulla salute in generale.
Per iniziare a fermentare anche tu puoi leggere:
Fonti
- Blasche, S., Kim, Y., Mars, R. A., Machado, D., Maansson, M., Kafkia, E., ... & Patil, K. R. (2021). Metabolic cooperation and spatiotemporal niche partitioning in a kefir microbial community. Nature Microbiology, 6(2), 196-208.
- Noh, H., Jang, H. H., Kim, G., Zouiouich, S., Cho, S. Y., Kim, H. J., ... & Freisling, H. (2021). Taxonomic composition and diversity of the gut microbiota in relation to habitual dietary intake in Korean adults. Nutrients, 13(2), 366.