L’Orto Elementare di Angera, ad esempio
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6 anni fa
Leggi la Premessa del libro "La Civiltà dell'Orto. La Coltivazione Elementare".di Gian Carlo Cappello
Ho varcato la soglia della scuola agraria nel 1972 e da allora sono stati pochi i giorni passati senza progettare, coltivare, occuparmi direttamente di piante e agricoltura. Ho camminato poco sull’asfalto.
Forse per questo, come il disegnatore di gamberi alla corte dell’Imperatore della Cina, ho scritto queste pagine quasi di getto.
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Accogliendo il suggerimento di una partecipante (cultrice di Rudolf Steiner) a un incontro sull’orticoltura naturale, ho iniziato a proporre come «elementare» la coltivazione di cui parleremo. La proposta mi ha colpito perché, al di là della definizione specifica riferita da Steiner agli esseri elementari, «elementare» è un termine che richiama la semplicità, la dipendenza solo ed esclusivamente dagli elementi naturali: acqua, vento, luce, terra, vegetazione e noi stessi con tutte le altre forme di vita come parte di un unico organismo.
E dato che l’orto «elementare» offre tantissimo mi domando: perché aggiungere tante pratiche faticose al nostro rapporto con la terra dispensatrice di cibo e salute? Il primo passo per la costruzione di un nuovo Mondo dovrebbe essere proprio così, semplice e vero, insomma: elementare.
Il mio approccio naturale all’orto viene anche definito «non-metodo Cappello». Ciò dipende dal fatto che ognuno può liberamente sviluppare una propria modalità applicativa senza stravolgerne i fondamenti, con ottimi risultati ma senza prescrizioni da parte mia. Unire secondo i parametri umani «naturale» e «metodo» sarebbe un ossimoro.
Dopo aver ascoltato i consigli degli amici e degli esperti, univocamente propensi a confezionare in maniera più classica i capitoli e i contenuti, ho deciso di mantenere l’impostazione iniziale, intuitiva; per me la forma rettangolare dei fogli e la regolarità dei caratteri sono già un’inquadratura sufficiente a soddisfare i formalisti, ma soprattutto ritengo questa stesura confacente all’ortogonalità dell’orto, affinché le idee nelle pagine del libro crescano come le piante nelle aiuole, delimitate da vialetti ma libere e forti.
Ho scelto nello scrivere di esercitare l’inalienabile diritto all’ingenuità, quell’incoscienza rispettosa nel cui nome in questi lunghi decenni ho sempre agito anche con grandi apprezzamenti, ma accettando sempre di buon grado le controindicazioni che nella vita pubblica e privata l’innocenza comporta.
Chi varca le Colonne d’Ercole del conformismo può essere anticipatore di un conformismo migliore, è solo una questione di massa critica, forse per la posterità. È anche vero che non c’è posto peggiore delle mani dei posteri per custodire la propria eredità di idee. Vedremo.
Da anarchico costituzionale ho scritto senza tener troppo conto delle regole, fatta salva la chiarezza che per me è rispetto verso il lettore; in osservanza al manzoniano «sciacquar i panni in Arno» ho anche evitato le parole scurrili per non creare imbarazzi, anche se il parlar forbito contrasta col retaggio vernacolare della Toscana, terra alla quale seppur da girovago impenitente mi sento più legato.
Ho tenuto molto da conto la Morale Naturale che, mutuata dalla «Morale Anarchica» di Pëtr Alekseevič Kropotkin, io traduco nel buon senso affrancato dal perbenismo.
Mi auguro che il raccolto di idee alla fine del libro abbia per il lettore lo stesso gusto e lo stesso nutrimento dei raccolti di un orto elementare.
Avrei potuto scegliere di descrivere (anche se poi quello di Angera è poco più di un pretesto) un orto più grande tra tutti quelli che ho realizzato e sto tuttora realizzando, ma quello di Angera mi è sembrato esemplare, perché qui ho incontrato difficoltà da tutti considerate insuperabili: ho coltivato su pochi centimetri di terra stesi su vecchi riempimenti di calcinacci, senza impianto di irrigazione malgrado la siccità eccezionalmente prolungata dell’estate del 2015.
Il risultato è stata l’autosufficienza alimentare senza depauperare la terra, per la prima volta nella storia dell’agricoltura senza lunghe attese per approntare il contesto di coltivazione, senza fatica e in assenza di concimazione o altri apporti esterni di qualsiasi genere.
Vorrei aggiungere qualche considerazione più generale e mi rivolgo soprattutto ai titubanti borderline del capitalismo urbano e consumista: se sei pronto/a a coltivare non ci sono mai buone scuse per rinviare l’inizio di una nuova vita: la terra trovi sempre chi te la dà anche se non hai i soldi per comprarla o affittarla; i semi o le piantine vanno tutti bene e quando cominci a coltivare davvero la partecipazione dei vicinati arriverà col tempo.
L’attenzione, secondo me, dopo il Grande Passo deve restare focalizzata sul lasciare che la Natura crei le condizioni per la formazione dell’humus, poi tutti gli altri aspetti prenderanno la giusta piega.
Buona lettura quindi, ma soprattutto... buona coltivazione elementare!