Il sogno che cambiò la mia vita
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3 anni fa
Leggi alcune pagine del libro "La Meditazione Mi Ha Salvato" di Phakyab Rinpoche
Estate 1979. Ho appena compiuto 13 anni. Siamo saliti agli alpeggi. Di solito dormo all'esterno della tenda di famiglia, avvolto in una coltre di lana di yak.
A questa altitudine la terra tocca il cielo e il cielo tocca la terra. Con l'umidità della notte, ogni filo d'erba si irida di gocce di luna. Così la prateria diventa un grande campo stellato, specchio affascinante della volta celeste.
Il profumo della vegetazione è inebriante. Sprofondo nel sonno, sopraffatto della magia degli altipiani.
Il mio spirito si illumina in un giorno fresco e leggero. Sul pendio di una montagna verdeggiante si delinea una figura molto alta.
Immerso in un'aura dorata, cammina un essere luminoso. La sua stazza è colossale. Incuriosito, cerco di avvicinarmi. Ma lui cammina a grandi falcate e ho difficoltà nel seguirlo.
Improvvisamente si volge e mi guarda come se mi conoscesse da sempre. "Yeshi Dorjé, proferisce con una voce potente come il ruggito del tuono, sono il Buddha Maitreya. Vuoi accompagnarmi nella mia terra pura?"
A quelle parole, che l'eco delle montagne amplifica, mi viene la pelle d’oca e il mio cuore inizia a battere velocemente. Annuisco con un movimento del capo.
Il protettore Maitreya mi precede su un cammino scosceso. Continua a camminare di buon passo. Mi sento come un insetto al suo confronto, e nel seguirlo ho il fiatone. Giunti in una prateria, la cui erba è particolarmente soffice sotto i piedi, ci fermiamo. È ricoperta di fiori dalle grandi corolle aperte che hanno lo splendore dell'oro.
Davanti a noi, una montagna maestosa naviga su di un mare di nubi. Scintillante sotto il sole, la sua vetta di ghiaccio depurato si staglia contro il limpido azzurro. Domina sui tetti a palanchini dorati e le larghe terrazze di un'immensa lamasseria. Arcobaleni brillanti formano un pergolato di lunghi stendardi e riempiono lo spazio. Il cielo è trasparente, senza nuvole, senza il minimo alito di vento.
Sento musiche divine. Mi rapiscono il cuore mentre cade una pioggia di fiori dal profumo delizioso, di color bianco latte.
Il Buddha Maitreya si volta verso di me: “Yeshi Dorjé, io abito qui. Seguimi!”. Varchiamo il portale d'entrata e attraversiamo un cortile interno con i muri decorati da affreschi rappresentanti le scene del risveglio del Buddha. Una scala, dalle proporzioni ampie ed armoniose, ci conduce alla porta del tempio. Troneggiano delle maestose statue di essere risvegliati, ricoperti di gioielli.
Un Monaco si affaccenda davanti all'altare, disponendo delle ciotole di cristallo per le offerte di acqua e zafferano.
Lo vedo di schiena, non l’ho mai incontrato prima ma so, nel mio sogno, che questo monaco è un grande santo e uno yogi realizzato. Una voce celeste mi mormora il suo nome, Djè Tsongkhapa.
Si volta e mi chiede sorridendo se voglio restare qui con lui. La dolcezza del suo viso mi fa venire meno. Riprendendo il respiro gli rispondo “Sì” con tutte le mie forze e mi risveglio versando fiumi di lacrime.
Feci allora il voto di offrire la mia vita in dono a tutti gli esseri. Tale sarà il mio destino.
Maitreya e Djé Tsongkhapa
Sotto un manto di stelle, ai piedi dei monti del Poborgang, una nuova vita ha inizio. Sono diventato un altro. Prima del mio sogno, non avevo mai sentito i nomi né del Buddha Maitreya né di Djé Tsongkhapa. Ossessionato dalle visioni che avevo avute, mi feci coraggio per interrogare mia nonna. Mi ricordo del suo sguardo sconcertato.
Volle prima sapere come facevo a conoscere quei nomi proscritti che nessuno più, in Tibet, osava pronunciare, ad alta voce, per timore di rappresaglie. Mi aspettavo che mi avrebbe posto questa domanda e mi ero preparato una risposta evasiva. Momola non mi credette, ma era commossa ed iniziò a versare lacrime di gioia. Eravamo soli. Seduti su di una roccia piatta in un pomeriggio irrorato di sole. Mi bisbigliava i suoi segreti con una voce appena percettibile.
Parlò a lungo e alla fine mi strinse forte tra le sue braccia. Il mio primo insegnamento sulla Via del Buddha, lo ricevetti da lei. Con parole semplici e ferventi, resuscitò in me il Tibet immemorabile.
I Buddha, mi spiegò Momola, apparivano in diverse epoche e in diversi luoghi dell'universo per risvegliare gli esseri.
È così che, nel corso del presente eone cosmico, mille Buddha scenderanno dalla loro terra pura.
Il Buddha Shakyamuni è il quarto.
Quando gli uomini saranno allontanati dalla loro bontà innata e quando non ci sarà altro più in questo mondo che barbarie e desolazione, un quinto Buddha si manifesterà. Porterà il nome di Maitreya, il "Signore dell'Amore", Jampa Gompo in Tibetano.
Divoravo le parole di mia nonna e le domandai se Maitreya era molto grande. “La sua testa supera le cime dei più grandi cedri della foresta”, affermò Momola.
Conservava il ricordo di un pellegrinaggio che fatto, da ragazzina, con sua madre al monastero di Tashilhunpo vicino a Shigatsé, nel sud del Tibet. Momola si era sentita come travolta da una felicità sovrannaturale alla vista del Buddha Maitreya seduto su di un trono. Si meravigliava ancora davanti al ricordo del suo volto dorato a foglia d’oro, che risplendeva di dolcezza e potenza.
Teneva nella sua mano sinistra la ruota dell'insegnamento e nella sua destra, un vaso dai grandi tesori, sormontato da una pianta miracolosa che simboleggiava la purezza del mondo naturale.
Momola aveva girato con devozione attorno all'enorme basamento con l'immagine del Buddha del futuro, sfiorando il metallo con la sua mano destra per riceverne le benedizioni. Le dimensioni della statua erano impressionanti, quasi una trentina di metri d'altezza, ed ogni dito misurava più di un metro.
Sui muri di cinta del tempio, un migliaio di Maitreya color oro si stagliavano dallo sfondo color porpora.
Ciò che stavo ascoltando, sembrava un sogno. Leggevo fervore negli occhi di mia nonna. Per la prima volta dopo trent'anni, poteva esprimere liberamente la devozione che aveva dovuto reprimere in un dolore sordo, dopo l'invasione del nostro paese.
Momola suggerì che partissimo un giorno, tutti e due, in pellegrinaggio per fare delle offerte alla statua di Maitreya. Avrei creato così una connessione Karmica con lui, e durante la sua futura venuta sulla Terra, sarei stato uno dei suoi primi discepoli e avrei quindi avuto delle più grandi possibilità di risvegliarmi. Ipnotizzato da ciò che stavo ascoltando, non osavo dire a mia nonna che Maitreya mi aveva invitato nella sua lamasseria la notte precedente…
Quando evocai il nome di Djé Tsongkhapa, la voce di Momola si spezzò in singhiozzi. Questo grande santo ed erudito del XIV secolo riassumeva per lei il grande Tibet religioso, prima della profanazione dell'Armata popolare di liberazione, poiché fu il fondatore del lignaggio dei Dalai Lama e aveva istituito il festival della Grande Preghiera, il Monlam Chenmo, che celebrava, durante il nuovo anno lunare per due settimane, la vittoria del Buddha sui maestri eretici.
Durante la prima cerimonia che ebbe luogo nel 1409, Djé Tsongkhapa presentò al Jowo, la statua più sacra di Lhassa, un diadema in oro puro con gioielli incastonati, tesoro che si era manifestato spontaneamente durante una delle sue meditazioni.
Fece delle offerte con lampade a burro in così gran numero che durante la notte non si videro più le stelle in cielo. La folla stupefatta raccontava che avendo visto spuntare dalla città santa dei soli a centinaia, le stelle si erano spaventate e precipitarono verso l'oceano, là dove esse hanno usanza di tuffarsi tutte le mattine. Per quanto riguarda le offerte di incenso, le loro volute di fumo intrecciarono in alto, nell'azzurro, delle corone e appesero degli immensi vessilli alle nuvole.
Ogni mattina del festival della grande Preghiera, Djé Tsongkhapa consacrava questa infinità di offerte nei rituali che celebrava con la più grande fedeltà ai sutra e ai tantra. Le benediceva, facendo voto che si propagasse l'insegnamento che liberava gli esseri dalla sofferenza. Con l'avvento della rivoluzione culturale le festività del Monlam Chenmo furono proibite.
Momola era inesauribile. La cappa di silenzio durata vent’anni si spezzava. lo l'ascoltavo riesumare questi ricordi di un mondo che mi sembrava familiare, anche se non l’avevo conosciuto. Affascinato, appresi anche che Djé Tsongkhapa aveva dedicato il più grande monastero del Tibet al Buddha Maitreya, e l'aveva chiamato Ganden o "Terra della gioia", dal nome del paradiso di Maitreya. In sogno, avevo dunque visto la terra della gioia?
Non credevo alle mie orecchie! Senza afferrarne ancora il senso, capivo che gli esseri risvegliati manifestatisi nel mio sogno avevano trasmesso il prezioso insegnamento del Buddha in Tibet.
E quando mia nonna mi parlò dell’infanzia di Djé Tsongkhapa, desideravo fortemente seguire il suo esempio.
Provavo vergogna ad essere così dissipato e a non pensare ad altro che a divertirmi e a raggirare gli altri senza scrupolo, mentre lui era stato saggio e studioso fin dalla tenera età!
Ora, ai primi giorni del mio esilio americano, non ho ancora le chiavi per interpretare il mio sogno. Oggigiorno penso che, per capirlo appieno, occorreva che passassi prima attraverso terribili sofferenze. Avrei dovuto prima sradicarmi fisicamente dal Tibet e dal mio monastero. Poi entrare nella realtà della malattia grave. Tuffarmi, a rischio di annegaci, nell'oceano del dolore fisico e morale.
In realtà, non mi sono mai veramente ripreso dal sogno che feci a 13 anni sugli altipiani.
Se potessi, un giorno, vedere totalmente avverato il mio voto di servire tutti gli esseri, corpo e anima, sarebbe perché a un livello sottile di realtà io sono rimasto vicino al Buddha Maitreya e a Djé Tsongkhapa.
Il sentiero scosceso, che ho scalato non senza fatica, presagisce la mia riuscita futura ad innalzarmi al di sopra del precipizio del samsara.
Il suolo soffice sotto l'erba delle praterie rappresenta la dolcezza del flusso della coscienza quando i pensieri, diretti esclusivamente verso la soddisfazione dei desideri personali, cessano di agitarla. Indica che arriverò a liberarmi dalle asperità che creano le emozioni negative.
I fiori, dai petali aperti, presagiscono che sboccerà nel mio spinto la saggezza compassionevole, libera da tutti gli estremi, che realizza il modo di esistenza delle persone e dei fenomeni sul piano ultimo, nella vacuità.
Il loro sfavillio dorato significa che avrei trasmesso l'oro puro del Dharma. L’immensa lamasseria è il segno che avrei aperto la trasmissione delle istruzioni che liberano gli esseri dalla sofferenza e dalle cause della sofferenza.
Infine, la musica e i fiori celesti sono la forma che assumono le benedizioni delle Dakini che mi hanno posto la loro protezione. L’ordinazione effettiva, ricevuta in seguito, non farà che confermare questa doppia consacrazione.