Il pianto del neonato
Pubblicato
1 anno fa
Iresha Totaro
Doula e operatrice olistica placentare
La fatica di accogliere un’unica modalità comunicativa che esprime diversi bisogni
Nessuno ci prepara al pianto del nostro bambino, nessuno ci può far intuire la sensazione devastante di impotenza mista a disagio fisico che ci travolgerà come uno tsunami ogni volta che sentiremo quel suono invadere ogni cellula del nostro essere. Ma soprattutto, nessuno ci può insegnare a decifrare il significato che si cela dietro ad ogni singolo pianto: soltanto noi, con l’ascolto, l’empatia, la sensibilità e soprattutto con il nostro sesto senso, riusciremo con il tempo a tradurre ogni vagito e a rispondere in maniera adeguata.
Cosa esprime il pianto?
Il pianto è l’unica forma di comunicazione del neonato e, in quanto tale, viene usato sia per comunicare un bisogno sia per esprimere un disagio: il bebè piange quando ha sonno, quando ha fame, quando ha mal di pancia, ma anche quando si spaventa per il suo stesso movimento nello spazio; piange quando gli prude il naso e non sa come fare, quando ha un’etichetta che gli pizzica il corpo, quando i bottoncini del body gli danno fastidio e per tanti altri motivi ancora.
Spiegare questo ai futuri genitori è fondamentale per farli entrare in un’ottica che abbracci una modalità comunicativa totalmente differente da quella alla quale sono abituati e per far loro comprendere che ci possono essere davvero tante sfumature che accompagnano un unico modo di reagire a differenti stimoli. Questa prospettiva fa altresì capire all’adulto quanto sia impossibile che il proprio bambino/la propria bambina pianga per metterlo in difficoltà o per fargli un dispetto: ci sono casi in cui il piccolo non ha neanche lui/lei ben chiaro il motivo per cui sta lasciando andare tante lacrime e sta proprio al genitore non perdere la centratura e farsi da interprete.
Il pianto rimane la principale e polivalente forma di comunicazione per tanto tempo, infatti se ci pensiamo, fino ai primi anni della scuola primaria ci capita di vedere bambini che scoppiano a piangere di fronte ad eventi che non riescono a gestire.
Le lacrime sono in realtà una meravigliosa modalità di esprimere sensazioni e sentimenti, ci sono culture in cui vengono ritenute acque lunari e magiche, proprio per il loro potere di pulire e di portare fuori qualcosa che tenuto dentro andrebbe a maturare delle tensioni e dei nodi molto complicati da sciogliere: ecco perché sarebbe doveroso non dire mai a qualcuno che sta piangendo, che si tratti di un bambino o di un adulto, di non farlo.
Perché è difficile sostenere il pianto?
Il pianto del neonato prima e del bambino piccolo dopo, ha il potere di smuovere sentimenti profondi nel genitore e nel suo bambino interiore: da una parte c’è il ricordo della modalità con la quale il proprio pianto è stato accolto nell’infanzia (e pensiamo a quanti “smetti di piangere” o “non piangere” potrebbero esserci stati detti), dall’altra si instilla un senso di inadeguatezza dato dal sentirsi impotenti di fronte al pianto del proprio bambino. Di conseguenza, la maggior parte delle volte, il focus si sposta sulla volontà di farlo/farla smettere, piuttosto che sulla possibilità di capire che cosa abbia scatenato una tale sofferenza. Oltretutto molti adulti sono abituati ad associare il pianto ad eventi che portano con sé grande afflizione, quindi fanno fatica a capacitarsi del fatto che quel piccolo essere umano pianga – apparentemente - per ogni cosa, anche per quelle di poca importanza (poca per l’adulto, si intende!). A tutto questo si aggiunge, in particolar modo per la madre, alla quale il pianto del bambino/a risuona quasi nei propri organi interni, una sensazione corporea difficile da sopportare nel tempo. I fattori che entrano in gioco sono davvero tanti e variabili e, se a questi aggiungiamo i commenti non richiesti che arrivano quando ci troviamo in compagnia di altre persone, tutto si fa estremamente complicato e davvero insostenibile.
I segnali che precedono il pianto
Sia nel neonato, sia nel bambino, esistono una serie di segnali molto chiari che vengono espressi molto prima che inizi il pianto: segnali che, se si riesce a cogliere, diventano nel tempo una preziosa risorsa per il genitore e/o per l’educatore. Certo, non si sta parlando di pianto da dolore improvviso, poiché è ovvio che in quel caso la reazione sia repentina, bensì si stanno prendendo in considerazione tutte quelle occasioni in cui il bebè cerca di esprimere un bisogno o un disagio: in caso di fame solitamente egli/ella inizia a fare dei versetti, poi fa schioccare la lingua e infine porta la manina alla bocca e inizia a succhiarla. Se tutti questi segnali non vengono colti, allora si scatena il pianto, quindi si evince come si abbiano a disposizione diversi minuti prima che accada l’inevitabile. Imparare a leggere la comunicazione non verbale del proprio bambino/a diventa fondamentale, perché la maggior parte delle volte, soltanto il genitore o chi vive a stretto contatto con un neonato riesce a farsi da interprete rispetto alle sue necessità.
Come evitare il panico
Portare l’attenzione al proprio respiro rimane una delle risorse più utili e a portata di mano per non destabilizzarsi. Un’altra delle prime cose che possiamo fare è guardare il nostro bambino e cercare di capire che emozione sta esprimendo con il pianto: se si è in allattamento spesso il seno rappresenta la panacea di tutti i mali ed è la prima soluzione da offrire. Inoltre è di fondamentale importanza, anche se a volte estremamente complicato, mantenere la calma e concedere un ascolto empatico ponendo domande con un tono di voce basso e tranquillo. Già questo infonderà nel nostro bambino/nella nostra bambina una profonda rassicurazione, si sentirà accolto/a e soprattutto non avrà dubbi rispetto al fatto che troveremo delle risoluzioni: molto spesso i nostri figli ci fanno da cassa di risonanza e se noi precipitiamo nel panico, loro sentono insicurezza e ci seguono a ruota. Certo le reazioni non è detto che siano immediate, ma nel tempo questa modalità operativa farà sentire i nostri figli sempre più sostenuti nelle loro fragilità. È altresì importante spiegare al proprio piccolo quello che era accaduto, così che crescendo possa interiorizzare ogni emozione ed arrivare un giorno a poterci dire che si sente triste o arrabbiato o felice.
I nostri figli non nascono con un libretto delle istruzioni, ma sono i nostri figli e dovremmo partire dal presupposto che abbiamo in noi tutte le competenze e le capacità per comprendere i loro stati d’animo, anche quando non ci sembra possibile. E quando siamo davvero in forte difficoltà possiamo provare ad osservarli come se fossero uno specchio, per capire a livello profondo cosa ci smuovono dentro e per quali motivi, perché se è vero che noi li accompagniamo nel loro processo di crescita, è altrettanto vero che loro, i nostri bambini, arrivano anche per accompagnare noi nel nostro cammino evolutivo.
Strumenti utili
Il babywearing rappresenta forse uno degli ausilii migliori, in quanto permette di avere il proprio bebè a portata di occhi e di orecchie e di conseguenza, consente non solo di cogliere i primi segnali di allarme, ma anche di intervenire in maniera tempestiva. Questo permette al genitore di sentirsi adeguato e al tempo stesso rassicura il piccolo/la piccola sul fatto che i suoi bisogni vengono sempre accolti e ciò andrà a fare di lui/di lei un bambino e in seguito un adulto, sicuro di sé, competente rispetto alle proprie necessità e fiducioso nei confronti della vita.
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