Il gusto ancestrale dei fermentati
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4 anni fa
Ecco perché il nostro organismo riconosce i cibi fermentati come preziosi per salute e palato
Formazione, attenzione alle materie prime, alla biodiversità, al chilometro zero, ricerca di gusto e salute: tutto si unisce nella filosofia della fermentazione, soprattutto se a portarla avanti è uno come Carlo Nesler, che ha saputo trasformare la sua passione in un lavoro. Scegliendo di ritornare alla terra – in una migrazione a ritroso dal Trentino alla Tuscia – con la sua azienda agricola ha anche dato vita a una rete temporanea di imprese per la valorizzazione del territorio. Perché non si fermentano solo alimenti, ma anche idee, cultura e comunità: ecco il racconto della sua storia.
Carlo, quando e com’è nata la tua passione per i cibi fermentati: ci racconti brevemente da dove sei partito e dove sei arrivato?
Tutto è iniziato da bambino con yogurt e pasta madre, poi ho continuato con crauti, birra, vino. Il cibo e la sua trasformazione ad opera dei microbi mi hanno sempre affascinato. Ho fatto molte cose nella mia vita, dal teatro a lavori artigianali, ma avevo anche il desiderio di tornare alla terra.
A un certo punto ho incontrato Saviana Parodi, maestra di permacultura, e lei mi ha fatto capire che la mia passione per le fermentazioni andava condivisa con gli altri. Allora ho iniziato a tenere dei corsi, a studiare ancora di più, a sperimentare cose nuove e ad approfondire quello che facevo da tempo. Poi mi sono trasferito in campagna e infine, nel 2016, ho avviato una piccola azienda dedicata ai cibi fermentati, la CibOfficina, dove produciamo miso e salse, e dove facciamo soprattutto formazione e sperimentazione.
Sappiamo che gli alimenti fermentati ci fanno bene, ma cosa possiamo dire a livello di gusto?
A volte ci dimentichiamo dell’importanza dei nostri sensi: se li usiamo bene, ci guidano. Come la vista ci porta a non andare a sbattere, l’olfatto e il gusto ci guidano nella scelta del cibo. Questo almeno se i nostri sensi non vengono ingannati con alimenti altamente artefatti. Ecco perché ciò che ci fa bene è buono: non sarebbe possibile il contrario, è la nostra natura.
Gli esseri umani fanno fermentare moltissimi cibi da tempo immemore, per questo il sapore di molti fermentati ha un’attrattiva speciale per noi. Si tratta di aromi ancestrali che il nostro organismo riconosce come segnali della presenza di preziosi nutrienti e micronutrienti. Qualcuno dice addirittura che il cibo diventa veramente interessante solo con la fermentazione.
Oggi anche grandi chef stellati si avvicinano al mondo dei cibi fermentati: qual è la tua esperienza in questo campo?
Da diversi anni ho il piacere di collaborare con molti bravissimi chef. Inizialmente c’era un po’ di timore e alcuni chef che mi chiamavano per una consulenza mi guardavano poi con un po’ di diffidenza. Ma la magia della fermentazione riusciva sempre a farli appassionare: le delicate asprezze, gli aromi, l’umami, le consistenze sono entusiasmanti per chi è abile in cucina.
Ora sono sempre di più gli chef che mi avvicinano per conoscere il mondo della fermentazione. Fortunatamente diffidenze e incertezze stanno lasciando il posto alla creatività e alla ricerca.
È importante che si capisca che ci vogliono attenzione, rigore, competenza per fare dei buoni fermentati, come in ogni campo. Ora molti cuochi lo hanno compreso, ma non è sempre stato così. Mi è capitato molte volte di incontrare persone che confondevano la fermentazione con la decomposizione, come se si potesse paragonare un vino di pregio con dell’uva marcia.
Nella realizzazione dei tuoi prodotti prediligi ingredienti a chilometro zero: qual è la differenza tra un miso a base di soia e uno a base di una varietà locale di ceci o lenticchie?
Il bello è valorizzare ciò che si ha. In Italia abbiamo legumi e cereali buonissimi, diversi da zona a zona, ciascuno con le sue peculiarità. I legumi tipici del Mediterraneo sono molto più buoni della soia: il miso e lo shoyu fatti con questi legumi sono straordinari.
Quando ho iniziato a sperimentare con legumi locali, mi chiedevo se avrei potuto ottenere risultati sufficientemente buoni, senza usare la soia. Alla fine ho capito che le cose stavano all’opposto: se si sa come usarli, questi legumi e i cereali di varietà locali, danno risultati molto migliori della soia.
A posteriori, mi viene da dire che è ovvio, allora non mi era chiaro. E poi non possiamo ignorare il mondo che ci circonda, l’ambiente in cui siamo immersi, per questo seleziono i miei fornitori e la prima qualità è il rispetto per la terra. Queste sono cose irrinunciabili per me, per questo non uso soia. Poi, anche i risultati ripagano questa scelta.