Il diabete di tipo 2 è reversibile con i consigli del dott. Fung
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4 anni fa
Leggi la prefazione del libro " Il Codice del Diabete" scritta da Nina Teicholz e scopri perché il Diabete è una delle malattie più diffuse negli ultimi anni
Nell'arco di una sola generazione, il diabete è passato dall'essere una malattia rara al costituire una vera e propria epidemia.
Questa svolta catastrofica ci costringe a porci con urgenza alcune domande: perché ne soprano così tante persone e così all'improvviso? E perché le autorità sanitarie non sono riuscite a fornire una spiegazione o a trovare una cura per un flagello tanto devastante, nonostante i miliardi investiti?
Anzi, di fatto hanno rinunciato a cercare una cura, dichiarando che il diabete di tipo 2 è una patologia cronica e progressiva che conduce inevitabilmente a un declino lento e doloroso e a una morte precoce.
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Tragicamente, le massime autorità sul diabete di tutto il mondo sono giunte alla comune conclusione che l'unica speranza per i malati è controllare o ritardare la progressione della malattia per mezzo di farmaci, da cui diventeranno dipendenti a vita, in associazione all'uso di dispositivi medici e al ricorso a interventi chirurgici. Non sottolineano l'importanza che potrebbe avere seguire una dieta migliore.
Al contrario, circa 45 istituzioni e associazioni mediche e scientifiche internazionali nel 2016 dichiararono che la chirurgia bariatrica, una soluzione tanto costosa quanto rischiosa, dovrebbe essere la prima scelta per il trattamento del diabete.
Un'altra idea di recente approvazione è una nuova procedura dimagrante che prevede di impiantare nello stomaco un tubo sottile che espelle il cibo prima che l'organismo possa assorbirne tutte le calorie: una tecnica definita da alcuni bulimia medicalmente assistita. Il tutto in aggiunta alla terapia di base per chi è affetto da diabete: vari farmaci, che costano centinaia di dollari al mese, fra cui l'insulina, un farmaco che, paradossalmente, spesso induce un aumento di peso.
Queste tecniche di gestione del diabete sono costose, invasive e non contribuiscono in alcun modo alla sua remissione, perché, come spiega il dr. Jason Fung ne II codice del diabete: "Non si può ricorrere ai farmaci [o ai dispositivi] per curare una malattia di origine alimentare".
L'idea rivoluzionaria esposta dal dr. Fung in queste pagine è che il diabete dipende dalla risposta insulinica dell'organismo a un cronico consumo eccessivo di carboidrati e che il modo migliore e più naturale per far regredire la malattia è ridurne il consumo.
Attualmente, centinaia di medici in tutto il mondo prescrivono una dieta povera di carboidrati per il trattamento dell'obesità. E questo approccio è supportato da più di 75 sperimentazioni cliniche, condotte su migliaia di persone, fra cui vari studi di durata biennale, che ne hanno sancito la sicurezza e l'efficacia.
Incredibilmente, la pratica di limitare il consumo di carboidrati per curare il diabete risale a più di un secolo fa, quando intervenire sulla dieta era considerata la terapia standard. Secondo un testo medico del 1923, scritto dal "padre della medicina moderna", Sir Wilham Osler, il diabete poteva definirsi come una patologia in cui "il normale utilizzo dei carboidrati è compromesso". Ma poco tempo dopo, quando diventò disponibile l'insulina farmaceutica, quella prescrizione cambiò e un maggiore apporto di carboidrati riprese a essere la norma.
L'idea di Osler tornò in auge solo quando il giornalista scientifico Gary Taubes la riscoprì e la integrò nel quadro concettuale complessivo dell'ipotesi carboidrati-insulina, nella sua opera seminale del 2007: Good Calories, Bad Calories (Calorie buone e calorie cattive). L'attuale modello clinico per i diabetici fu sancito dagli scienziati Stephen D. Phinney e Jeff S. Volek, nonché dal dr. Richard K. Bernstein.
Di recente si sono avviate diverse sperimentazioni dedicate al diabete di tipo 2, da cui stanno emergendo nuovi ed entusiasmanti sviluppi. Al momento della stesura di queste righe ne è in corso almeno una, che coinvolge circa 330 persone, sul trattamento della malattia mediante una dieta a ridottissimo tenore di carboidrati.
Dopo un anno di sperimentazione, i ricercatori hanno scoperto che circa il 97 per cento dei pazienti è riuscito a ridurre o sospendere l'assunzione di insulina e il 58 per cento di essi non possiede più i requisiti necessari per definire un soggetto "diabetico". In altre parole, quei pazienti sono riusciti a curare la malattia semplicemente riducendo l'apporto di carboidrati. Bisognerebbe confrontare questi risultati con il protocollo ufficiale di cura per il diabete, che sostiene con assoluta certezza che si tratta di una patologia "irreversibile".
Il dr. Fung, nefrologo che ha guadagnato notorietà integrando il digiuno intermittente nel controllo dell'obesità, è un fervido ed eloquente sostenitore del valore terapeutico delle diete povere di carboidrati. Oltre alle sue affascinanti intuizioni, ha il dono di spiegare con chiarezza la complessità della scienza e di arricchire la sua esposizione con analogie calzanti ed efficaci.
Per esempio, è impossibile dimenticare l'immagine dei pendolari giapponesi spinti a forza nei vagoni della metropolitana traboccanti di passeggeri all'ora di punta, come metafora dell'eccesso di glucosio in circolo nel sangue spinto a forza all'interno di ogni cellula dell'organismo. Il messaggio arriva forte e chiaro: il corpo non può più tollerare una tale quantità di glucosio!
Il dr. Fung spiega la relazione esistente tra glucosio e insulina e come queste due sostanze, insieme, causano non solo l'obesità e il diabete, ma, con ogni probabilità, anche tutta una serie di malattie croniche correlate.
L'ovvia domanda è: per quale motivo l'approccio terapeutico della dieta povera di carboidrati non è più conosciuto?
A dire il vero, nei sei mesi antecedenti alla stesura di questa prefazione, su pubblicazioni prestigiose come il New York Times e riviste del calibro di Scientific American e Time sono apparsi importanti articoli di revisione sull'obesità, ma tra le migliaia di parole scritte in proposito, a stento se ne menziona una che, da sola, basterebbe a spiegare così tante cose: insulina. Questa dimenticanza lascia perplessi, ma, purtroppo, non è che il riflesso di un vero e proprio pregiudizio che affligge una comunità di esperti che, da mezzo secolo, promuove un approccio ben diverso.
Mi riferisco, naturalmente, alla strategia di contare le calorie ed evitare i grassi. Di recente, le istituzioni, fra cui il Dipartimento dell'Agricoltura, il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti (che pubblicano congiuntamente le Dietary Guidelines for Americans) e l'American Heart Association (Associazione cardiologica americana), hanno preso le distanze dalla dieta povera di grassi, ma credono ancora che il controllo del peso possa spiegarsi principalmente con la teoria dell'equilibrio calorico.
Gran parte della scienza seria smentisce questo paradigma, che finora non si è dimostrato in grado di frenare l'epidemia di patologie croniche. Tuttavia, l'accattivante semplicità di questa teoria e il vasto sostegno degli esperti di cui gode le permettono di sopravvivere.
Bisogna considerare anche la cruda realtà: al giorno d'oggi la maggior parte delle associazioni mediche è finanziata in misura significativa da aziende farmaceutiche e società specializzate nella produzione di dispositivi medici, che non hanno alcun interesse a trovare una cura alimentare alle patologie, in effetti, una soluzione nutrizionale che faccia regredire la malattia e ponga fine alla necessità di farmaci li taglierebbe decisamente fuori dal mercato.
Ciò spiega perché i partecipanti ai recenti incontri annuali dell'American Diabetes Association (ADA), fra la marea di presentazioni riguardanti dispositivi medici e interventi chirurgici, riferiscono una pressoché totale assenza di informazioni sulle diete povere di carboidrati. E ciò spiega anche perché, quando i direttori sanitari di due cliniche per l'obesità (una delle quali presso l'Università di Harvard) scrissero un articolo sul New York Times lamentando la mancanza di un dibattito nutrizionale alla conferenza dell'ADA del 2016, l'ADA stessa li stroncò duramente.
Oltre a conflitti di interesse di natura finanziaria, si può ipotizzare che gli esperti soffrano di dissonanza cognitiva di fronte a informazioni che mettono in crisi le loro conoscenze e presuppongono che i consigli da loro dispensati negli ultimi 50 anni, di fatto, siano sbagliati. O peggio ancora: dannosi!
Perché la verità, nuda e cruda, è proprio questa: il successo della strategia che limita il consumo di carboidrati implica che le direttive nutrizionali degli ultimi decenni, che promuovevano una dieta povera di grassi e ricca di carboidrati, quasi di certo abbiano contribuito a esacerbare proprio l'obesità e l'epidemia di diabete che si proponevano di prevenire.
È una conclusione sconvolgente, dopo mezzo secolo di sforzi per migliorare la salute pubblica. Ma se vogliamo avere qualche speranza di far regredire queste epidemie, dobbiamo accettare questa possibilità, iniziare a esplorare la scienza alternativa descritta in questo libro e intraprendere un percorso nuovo, in nome della verità, della scienza e di una salute migliore.
Nina Teicholz
Autrice del best-seller internazionale The Big Fat Surprise (La grande sorpresa dei grassi)
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