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Il brand storificato

Pubblicato 4 anni fa

Leggi un estratto da "Storytelling Aziendale" e scopri come fare marketing nel mondo post-pubblicitario

Ogni CMO inizia la propria giornata con questa dura verità: a nessuno interessa sentir parlare della tua azienda o del tuo prodotto.

Per oltre due secoli i marketer si sono opposti a tale resistenza, interrompendo con la pubblicità i momenti di intrattenimento di un pubblico passivo.

Oggi alcuni fiorenti brand ne fanno addirittura a meno, raggiungendo il punto di saturazione della consapevolezza pubblica: quando Apple o Samsung fanno uscire un nuovo congegno, la stampa lo pubblica in prima pagina e i fan più accaniti si mettono in coda senza aver visto neanche una pubblicità.

A parte questi casi eccezionali, la gente non trascorre la giornata ad aspettare notizie su un nuovo modello di jeans, su una nuova moda o su uno yogurt. Tipicamente i consumatori discutono di un brand solo nell’attimo prima di fare un acquisto; la narrazione di un brand è un imperativo nel marketing moderno proprio per quel prezioso attimo.

I prossimi capitoli spiegano come la storia narrata per uno scopo specifico spinga il cliente all’azione; il presente capitolo esamina, innanzitutto, il modo in cui le storie di un brand gettano le fondamenta per tale azione, consolidando il brand nella mente del consumatore e circondandolo di associazioni positive.

I brand che suggellano questo legame emotivo (GE, IBM, Always) hanno successo; gli altri incontrano difficoltà.

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Indice dei contenuti:

Brand: una definizione

Patrick Davis, CEO di Davis Brand Capital (DBC), ha sviluppato un metodo per analizzare i mercati e creare brand differenziati.

Aziende leader del marketing come Anheuser-Busch, InBev, Autotrader, Chipotle, Progressive, Target e Verizon testimoniano l’eccellenza del sistema di Davis; tutte si affidano a DBC per comprendere, progettare e sviluppare brand aziendali e di prodotti/servizi.

In una recente intervista Davis descrive la propria visione del brand moderno:

Il brand è una singola idea organizzativa, un costrutto di ordine superiore da cui tutto il resto proviene e a cui si allinea. A volte mi piace paragonarlo all’acqua fresca che rende possibile tutto, dalle coltivazioni, alla pulizia degli indumenti, alla preparazione dei pasti: è l’ingrediente presente in tutto.

Trovare una sorgente di acqua fresca che non si esaurirà e che possa essere usata centinaia e centinaia di volte è una sfida. Questo vale a dire che [il brand] è intangibile, è astratto, ed è vero; deve essere tutte queste cose contemporaneamente.

Il compito del marketer è renderlo tangibile e reale, e lavorare sulla sua verità per raccontare una storia che risulti avvincente, sia essa narrata in un’immagine o in tre righe o in un formato esteso. Tutto questo significa che il brand deve essere un collegamento tra una serie di associazioni positive per il consumatore, e più ampiamente per le comunità e i gruppi oltre al consumatore, perché tutti possano riunirsi attorno a questa grande idea di ordine superiore.

È un credo, e come ogni credo ha il proprio linguaggio, dei simboli, dei rituali e dei comportamenti che lo contraddistinguono.

Un chiaro esempio di rituale di brand che fa parte della nostra cultura è il fenomeno del marchio.

Davis spiega: «Il significato di tenere in mano una Bud Light è molto diverso dal significato di tenere in mano una Budweiser, che è molto diverso dal significato di tenere in mano una Stella Artois. Quei brand appartengono tutti alla stessa azienda, e i consumatori possono sceglierli in momenti diversi del loro weekend perché comunicano diversi aspetti della loro personalità con il marchio della bottiglia di birra che hanno in mano».

I brand che scegliamo riflettono il modo in cui vediamo noi stessi, o forse il modo in cui vogliamo che gli altri ci vedano.

Inizialmente, fa notare Davis, i brand erano semplicemente un mezzo per identificare il produttore; lo scopo del brand era quello di mostrare che qualcuno aveva fatto quello specifico prodotto.

Che si trattasse di oggetti d’argento, porcellana o pelle, i beni venivano marchiati dal produttore (proprio come il bestiame). Tramite quel brand il produttore si assumeva la responsabilità della qualità dei prodotti; se l’acquirente avesse avuto un problema, avrebbe potuto rivolgersi a lui per risolverlo.

Oggi invece, spiega Davis, «Il segno grafico è solo una scorciatoia, un segnale [del brand], il quale esiste e sopravvive oltre il prodotto e oltre il marchio, ed è qui che le cose si fanno particolarmente interessanti».

Come si crea un brand che interessi così tanto alle persone da renderlo parte della propria espressione di sé?

La pubblicità televisiva ha funzionato per generazioni; ora non più. Oggi per stabilire un contatto con il pubblico è necessario un approccio diverso, e occorre che sia valido perché la strada è decisamente in salita.

La moderna antipatia per le grandi aziende

Il 18 settembre 2015 l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente statunitense (EPA) accusò Volkswagen di aver violato consapevolmente e volutamente la legge federale vendendo 428.000 auto diesel dotate di “defeat device”, cioè di speciali software appositamente programmati per aggirare i test ambientali. Testati in laboratorio, quei motori diesel operavano in modo più efficiente (ma molto meno potente) rispettando gli standard ambientali richiesti, ma una volta in strada funzionavano diversamente, emettendo protossido di azoto in quantità quaranta volte superiore ai limiti consentiti.

Prima di tale annuncio, l’azienda peggiorò il problema fornendo all’EPA una serie di giustificazioni false, nel tentativo di spiegare perché i test ambientali su strada dei veicoli diesel venduti tra il 2008 e il 2015 non combaciassero con i risultati di laboratorio. Il CEO di Volkswagen rassegnò le dimissioni cinque giorni dopo l’annuncio dell’EPA, affermando di essere stato all’oscuro della decisione del suo team di aggirare intenzionalmente gli standard ambientali.

Quando finalmente si concluse la causa relativa allo scandalo, il numero di auto coinvolte era salito a 580.000. Volkswagen pagò 20 miliardi di dollari per i suoi reati.

Oltre al danno ambientale ci fu quello subìto in prima persona dai clienti di Volkswagen: nessuno voleva le loro auto usate. La sentenza del tribunale stabilì che i clienti avevano diritto a un risarcimento di migliaia di dollari sull’auto acquistata per compensare il mancato incasso della rivendita; ma per molti, che avevano comprato la loro Volkswagen a emissioni ridotte per un impegno ambientale personale, nessun risarcimento poté compensare la fiducia tradita dall’azienda.

Cinque anni prima, il mattino del 20 aprile 2010, un’esplosione scosse la Deepwater Horizon, un’unità mobile di trivellazione della compagnia petrolifera BP al largo del Golfo del Messico: 11 dei 126 membri del personale che si trovavano sul luogo rimasero uccisi. L’incendio fu domato solo quando la Deepwater Horizon era già affondata nell’oceano, a 1.500 metri di profondità, 36 ore più tardi.

L’esplosione e il conseguente sversamento provocarono il più grande disastro ambientale della storia americana. È stato stimato che durante il disastro si siano riversati nell’oceano 4,9 milioni di barili di petrolio.

Il giudice distrettuale statunitense Carl Barbier scoprì che “le negligenze di BP che causarono lo scoppio, l’esplosione e il riversamento di petrolio […] furono decisioni prese per profitto”, e concluse che “Questi casi di negligenza, messi insieme, evidenziano una deviazione estrema dalle normali precauzioni e un conscio disprezzo dei rischi noti”.

BP e tre suoi impiegati furono anche accusati di reato penale.

La compagnia petrolifera si dichiarò colpevole di undici capi di accusa di cattiva condotta, o negligenza, per le morti causate dall’esplosione iniziale. Dopo aver affrontato più di centomila cause intentate da imprese e individui colpiti dallo sversamento, nel luglio 2016 BP stimò che il disastro le era costato 62 miliardi di dollari.

Queste non sono aziende qualunque: Volkswagen è la più grande casa automobilistica del mondo. BP è la sesta compagnia produttrice di petrolio e gas più grande del mondo.

Solo due anni prima le banche di tutto il pianeta erano state accusate di pratiche di prestito rischiose che quasi schiacciarono l’economia globale. La volontà di tali aziende di anteporre i profitti al benessere dei propri clienti, dei paesi vicini e dell’ambiente, non ha danneggiato solo la loro reputazione individuale, bensì la percezione delle aziende in generale.

L’Elderman Trust Barometer rivelò che solo il 52% delle persone che vivono nelle democrazie di tutto il mondo ha fiducia nelle grandi aziende, e il dato è in ribasso. Inoltre, queste persone credono che il problema inizi dal vertice: solo il 37% degli intervistati ritiene i CEO credibili.

Anni di abuso hanno disilluso la gente nei confronti delle grandi aziende e hanno causato scetticismo verso le loro affermazioni.

Su scala molto più ampia, i vanti e le promesse tipici della pubblicità moderna hanno ulteriormente eroso la fiducia. Ormai tutti sanno che i prodotti in offerta non daranno una pelle con meno rughe, denti più bianchi, una linea più snella o un matrimonio più felice come continuano a promettere.

Stanca di essere presa in giro, la gente dà per scontato che l’espressione a scopo di lucro significhi “a qualunque costo”, compreso quello di danneggiare il consumatore.

Superare lo scetticismo è come aggirare la gravità: è una forza naturale, aumentata dalle continue vanterie e dalle promesse eccessive dei brand.

La storia e la psicologia del condizionamento

La storia ben raccontata cancella lo scetticismo avvolgendo il significato della storia stessa in un’emozione.

La fonte di questo potere psicologico è l’identificazione empatica: quando il pubblico collega istintivamente la propria percezione di sé a un protagonista il dubbio svanisce, e le scelte e azioni del protagonista diventano, di riflesso, le scelte e azioni del pubblico.

Ciascun cambiamento della carica di valori nella vita del protagonista fa vivere al pubblico le stesse peripezie emotive. Quando l’azione finale del personaggio principale gli fa ottenere l’oggetto del desiderio, emozione e significato si fondono e lo fanno senza una sola parola di spiegazione.

Come un’epifania, il climax crescente di una storia pervade la mente di un senso di verità. Poiché i vostri pensieri formano spontaneamente quell’idea, voi ci credete senza spiegazioni razionali e senza ombra di dubbio: dopotutto è un’idea vostra.

Inoltre, l’emozione piacevole suscitata da quell’improvvisa rivelazione scolpisce l’esperienza nella vostra memoria: da quel giorno in poi quel ricordo positivo circonda il brand di un alone subliminale che influenza i vostri acquisti.

È così che le storie, narrate costantemente nel modo giusto, fissano un brand significativo nella mente dei consumatori.

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