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I misteri di Fort Detrick

Pubblicato 4 anni fa

Leggi un estratto da "I Misteri di Wuhan" di Franco Fracassi e scopri se il Covid è veramente arrivato dalla Cina

Un carcere. Un patibolo. Una maledizione.

«Traditori! Traditori delle colonie!».

Sette uomini fedeli al re Giorgio III d’Inghilterra pendevano con il collo spezzato. La piccola folla assiepata intorno al palco schiumava rabbia. All’ombra del muro di mattoni rossi del carcere Tory e delle montagne Catoctin si stava per consumare l’ennesimo massacro da parte della comunità metodista olandese (nota anche come Gruppo Schley), che si era trasferita in zona trentacinque anni prima seguendo lo speculatore fondiario Daniel Dulany. Questa volta i loro bersagli non erano i nativi Susquehannock, erano coloro che non si erano voluti piegare al nuovo potere: quello di Washington, George Washington.

Dopo essere stati impiccati i corpi dei sette furono squartati, come da tradizione locale. La tradizione di coloro che avrebbero insegnato le buone maniere ai pellerossa e due secoli dopo al resto del mondo. Ma quel che accadde quel giorno restò impresso nella memoria di quel luogo. E non solo nella memoria.

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14 gennaio 2009. La notte era fredda, buia e piovosa nel quartiere storico di Downtown Frederick. Quando le nuvole si aprirono e la luna emerse lentamente dall’oscurità, tutto ciò che si poteva sentire era il fruscio delle foglie degli alberi.

Le cronache del “Frederick News-Post” riportarono che la signora Garkin era intenta alla quotidiana passeggiata col cane quando l’animale iniziò insolitamente a ringhiare. Dall’altra parte della strada c’era un uomo, o meglio l’ombra di un uomo. La signora Garkin la intravedeva tra due stretti edifici di mattoni.

Gli disse qualcosa. Nessuna risposta. Di nuovo. Nulla. La figura emerse dall’oscurità. Il cane era immobile, come congelato. L’uomo era vestito di nero. Aveva un cappello a tesa larga, un lungo cappotto svolazzante, stivali alti fino al ginocchio. Zoppicava mentre attraversava la strada.

Quando l’ombra passò sotto la luce del lampione accanto, la signora Garkin si rese conto che era sul serio nero. Non nero nel senso di non bianco. «Era nero come sono neri i fantasmi», avrebbe spiegato alla cronista del “Frederick News-Post”. «Le orbite dei suoi occhi erano vuote. I suoi vestiti? Laceri, strappati e sporchi».

Dopo essere risalita sul marciapiede invece di girare a sinistra o a destra l’Ombra proseguì dritta, fino a sparire dietro al muro di mattoni rossi. Il cane si mise a piagnucolare.

Frederick era nata sulle ossa degli arti strappati ai nemici del Gruppo Schley. Le loro urla avevano aiutato a edificare il centro della cittadina, che oggi conta sessantacinquemila abitanti.

Un legame strettissimo tra Frederick e gli spettri. Così stretto che la principale attrazione turistica del capoluogo di questa contea situata alla periferia nord di Washington e a quella ovest di Baltimora è costituita dai fantasmi e dalle dimore che ne sono infestate.

Uno dei depliant turistici recita: «Se ti capita di camminare per il quartiere storico di Frederick in una notte fredda, buia e piovosa, presta molta attenzione a chiunque attraversi la strada. Potrebbe essere qualcuno che passa dal mondo dei MORTI e torna nel mondo dei VIVI ed è sicuramente un incontro che non dimenticherai presto».

Quando nel 1942 giunsero notizie secondo le quali il Giappone stava conducendo una guerra batteriologica in Cina, il Pentagono lanciò un programma segreto per sviluppare armi biologiche.

L’esercito assunse un biochimico, un certo Ira Baldwin dell’Università del Wisconsin, e gli chiese di trovare un sito per un nuovo complesso di ricerca biologica. Baldwin scelse una base della Guardia nazionale per lo più abbandonata sotto il monte Catoctin chiamata Detrick Field. Il 9 marzo 1943, l’esercito annunciò di aver ribattezzato il luogo Camp Detrick, lo designò come quartier generale dei laboratori di guerra biologica e acquistò diverse fattorie adiacenti per fornire spazio extra e privacy.

La città degli spettri si era trasformata nel più sofisticato laboratorio segreto militare che il mondo avrebbe mai conosciuto, un luogo dove si creavano nuove armi. Non armi fatte di proiettili, bensì di micro organismi pronti a portare la morte per malattia tra la popolazione nemica.

Lo skyline di Frederick non era più solo quello delle guglie a grappolo ma anche quello delle reti elettrificate sormontate da filo spinato.

Centosettant’anni dopo essere stata dilaniata l’Ombra aveva avuto la sua vendetta. I discendenti del Gruppo Schley avrebbero vissuto sotto la costante spada di Damocle dell’essere infettati dal segreto di Stato.

Seicento edifici sparsi in un’area vasta 52.601 ettari, popolata da settemilaottocento persone. Sede del Niaid (l’Agenzia federale delle allergie e delle malattie infettive), da trentacinque anni diretto da Anthony Fauci (immunologo tra i più influenti al mondo e consigliere scientifico dei Presidenti Usa dal 1981), e dell’UsAmriid (Istituto di ricerca medica dell’esercito degli Stati Uniti sulle malattie infettive), il principale centro militare Usa sulla ricerca delle contromisure da adottare in caso di guerra biologica, diretto dal dottor Sina Bavari, virologo e massimo esperto sulla ricerca dell’Ebola.

Negli ultimi settantotto anni Fort Detrick, oltre a essere il più avanzato laboratorio di studi su batteri e virus al mondo, oltre a essere sede del più ricco deposito di armi batteriologiche del pianeta, è anche stato il centro nevralgico dell’impero nascosto della chimica e del controllo mentale della Cia.

Fu a Fort Detrick che nel 1954 un medico carcerario del Kentucky isolò sette detenuti neri e li nutrì con dosi «doppie, triple e quadruple» di Lsd per settantasette giorni di fila. Fino alla loro morte.

Fu a Fort Detrick che i direttori del programma di controllo mentale della Cia, tristemente noto col nome di Mk-Ultra, distrussero la maggior parte dei loro archivi nel 1973 dopo l’esplosione di un gigantesco scandalo provocato dalla pubblicazione imposta dal Congresso di centinaia di migliaia di pagine di documenti segreti del Pentagono.

Fu a Fort Detrick che vennero prodotti speciali veleni «destinati a uccidere leader stranieri», come emerso dalla declassificazione di documenti della Cia.

Fu a Fort Detrick che operò per alcuni decenni uno scienziato che si stenta a non definirlo pazzo, visto che il suo lavoro consisteva nel cercare senza sosta un modo per spazzare via le menti umane in modo che ne potessero essere impiantate di nuove al loro posto. Come è emerso da documenti desecretati e dai testimoni ascoltati dal Congresso Usa, Sidney Gottlieb testò una sorprendente varietà di combinazioni di farmaci, spesso in sinergia con altri tormenti come l’elettroshock o la privazione sensoriale. Negli Stati Uniti, le sue vittime furono soggetti inconsapevoli nelle carceri e negli ospedali, tra cui una prigione federale ad Atlanta e un centro di ricerca sulle dipendenze a Lexington, nel Kentucky. Poi c’erano i canadesi di una casa di cura mentale di Toronto; i tedeschi tenuti segregati nel seminterrato di una villa della città di Kronberg; i prigionieri dei centri di detenzione segreta della Cia in Asia e in America Latina. Ma, come dichiarò lo stesso Gottlieb: «Essendo stranieri non era reato usarli come cavie».

E chi cercò di porre fine a questa follia (come il funzionario della Cia Frank Olson) si trovò a decidere di gettarsi da una finestra di un hotel newyorchese con enormi quantità di Lsd nel sangue.

E quando subito dopo l’11 settembre il popolo statunitense fu nuovamente terrorizzato da lettere contenenti antrace che venivano recapitate a politici, investigatori e giornalisti, l’Fbi disse che si trattava dell’ennesima minaccia di Al Qaida, scoprendo cinque anni dopo (nel silenzio generale dei media) che quelle spore di antrace provenivano da Fort Detrick (più precisamente dall’edificio 470, soprannominato «Torre dell’antrace») ed erano state messe in circolazione da uno scienziato «fieramente americano» del laboratorio. Bruce E. Ivins (così si chiamava) morì nel 2008 «apparentemente per suicidio», scrisse il “New York Times”.

E ancora. Nel giugno 2008 l’Agenzia federale della protezione ecologica aggiunse la base militare nella lista dei luoghi più inquinati del Paese, «a causa della cattiva sicurezza degli impianti dei laboratori biochimici e batteriologici». Sempre secondo l’Epa, «le sue acque sotterranee sono inquinate da composti organici volatili. Anche da virus e batteri».

Infine, nel 2012, il Consiglio nazionale delle ricerche degli Stati Uniti pubblicò un rapporto dopo aver esaminato due indagini sui potenziali rischi per la salute a Fort Detrick. Documento che si concludeva: «Le autorità di Fort Detrick non ci hanno consentito di avere accesso ai siti potenzialmente più inquinati e inquinanti».

Secondo l’ufficio statistico della contea, solo negli ultimi vent’anni «si sono verificate oltre duemilacinquecento morti anomale, probabilmente dovute all’attività all’interno della base».

Estrema segretezza. Morti sospette. Esperimenti borderline. Scarsa sicurezza. Così si presentava nel maggio del 2018 la città degli spettri.

«La tarda primavera è sempre un disastro dal punto di vista climatico. Sono ventun giorni che piove (anche forte) e tanta acqua non può che portarci problemi», dichiarò al “Frederick News-Post” il sindaco democratico Michael O’Connor.

Quel che il primo cittadino di Frederick non poteva sapere era che la pioggia aveva finito per allagare e rovinare un impianto di sterilizzazione a vapore vecchio di decenni che l’istituto utilizzava per trattare le acque reflue dei laboratori dell’area «A», conosciuta come “The Farm”. Da quanto ammisero le stesse autorità di Fort Detrick, quando l’acqua cessò di cadere si scoprì che c’erano state delle falle. In altre parole, dalla base erano fuoriusciti dei quantitativi sconosciuti di diversi virus in quel momento in studio, alcuni dei quali altamente contagiosi e pericolosi. Così come ammise la stessa portavoce della base Caree Vander Linden.

Un danno che interruppe la ricerca all’interno della base per mesi. Fino a quando l’UsAmriid, vero cuore di Fort Detrick, non sviluppò un nuovo sistema di decontaminazione utilizzando sostanze chimiche. Sistema che richiese, però, modifiche in alcune procedure nei laboratori. Inoltre, «con il nuovo processo di decontaminazione basata su sostanze chimiche può significare che si debba tornare a un sistema basato sul calore che, se richiedesse la costruzione di un nuovo impianto di sterilizzazione a vapore, potrebbe comportare ritardi molto lunghi nel raggiungere standard di sicurezza accettabili e costi molto elevati», come scrisse in un’email poi resa pubblica dal “New York Times” il dottor Richard H. Ebright, un biologo molecolare ed esperto di armi biologiche presso la Rutgers University.

In altre parole, il direttore dell’UsAmriid e direttore scientifico di Fort Detrick Sina Bavari e il direttore del Centro per le scienze genomiche sempre di Fort Detrick Gustavo Palacios, ovvero coloro che avevano tollerato standard di sicurezza inadeguati avevano deciso di mettere una pezza con un sistema forse troppo complesso da gestire e sicuramente molto lungo da implementare.

E così, pochi mesi dopo, al termine di un sopralluogo alla base il Cdc (Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie) riscontrò che «le nuove procedure non venivano seguite in modo coerente».

Gli ispettori riscontrarono anche «problemi meccanici con il sistema di decontaminazione a base chimica, così come perdite».

Una cosa era certa. Fort Detrick sarebbe stato per diverso (forse troppo) tempo insicuro e soggetto a fughe di materiale che, nel caso specifico, avrebbero potuto significare lo scoppio di un’epidemia a Fredrick, in Maryland o addirittura negli Stati Uniti o oltre.

Infatti, accadde.

Fairfax. Ottantaquattro chilometri più a sud. Non lontano dalla stazione Burke Center di Virginia Railway Express e dalla più grande istituzione educativa pubblica dello Stato, la George Mason University, nella periferia occidentale di Washington a trenta chilometri dalla Casa Bianca, si trovava una ridente casa di riposo per anziani. Appartamenti di lusso, piscina, centro fitness, campus con medici a tempo pieno. La Greenspring Retirement Community era da quarant’anni molto ricercata dagli ultra sessantaduenni, specialmente quelli usciti da una carriera nell’esercito. «Diamo valore a ciò che apprezzi. Il nostro scopo è quello di rappresentare gli interessi finanziari dei residenti per promuovere programmi e servizi della massima qualità per il miglior valore possibile», si leggeva nel depliant di presentazione.

Il 30 giugno 2019 dagli uffici della casa di riposo partì un’email diretta al dipartimento della Salute della contea. «Oggi c’è tra i residenti uno strano caso di febbre, tosse, dolori muscolari, respiro sibilante, raucedine e debolezza generale. Più in generale di sintomi respiratori che fanno presagire una polmonite di natura sconosciuta».

Quindici giorni dopo tre residenti erano deceduti, diciotto erano stati ricoverati in ospedale e altri sessantatre si erano ammalati. «Una cosa del tutto anomala. Tutti i test hanno dato i medesimi risultati: “malattia sconosciuta”», ha dichiarato alla rete tv Usa “Abc” il direttore del dipartimento sanitario di Fairfax, Benjamin Schwartz. «Vedere un’epidemia respiratoria in una struttura di assistenza a lungo termine non è strano. Cosa diversa è se questa epidemia non solo si verifica in estate quando, di solito, non abbiamo molte malattie respiratorie, ma assume forme sconosciute agli esperti».

Nel frattempo, l’11 luglio l’“Abc” mandò in onda un servizio con queste parole: «Stanotte un’epidemia mortale in Virginia. Due morti. Decine di residenti infettati da una malattia respiratoria qui nella casa di riposo di Greenspring. Negli ultimi undici giorni cinquantaquattro persone si sono ammalate con sintomi che vanno da una brutta tosse alla polmonite».

Il 13 luglio, sempre l’“Abc”: «Un misterioso virus respiratorio ha colpito una seconda casa di riposo nella contea di Fairfax. Il dipartimento sanitario della contea afferma che venticinque persone si sono ammalate nella casa di riposo di Heatherwood a Burke. Nessun morto e i funzionari della sanità affermano che non esiste nessun collegamento diretto con la misteriosa malattia che ha colpito la struttura di Greenspring. Il dipartimento sanitario della contea afferma di non aver ancora trovato la causa e la verità e che potrebbero essere mai in grado di farlo. Potrebbe essere stata l’influenza a luglio? Lo scopriremo».

Un’epidemia in pieno luglio?

Due giorni dopo l’allarme lanciato dai media il Cdc inviò a Fort Detrick una lettera con l’ordine di chiudere il laboratorio P4 a tempo indeterminato per motivi di «sicurezza nazionale». Ovvero, sconosciuti. Il Cdc aveva ispezionato UsAmriid a giugno e già a giugno aveva rilevato un incidente di biocontenimento.

Il tutto nel massimo riserbo e silenzio.

14 agosto, la rete tv del Maryland “Fox5”: «Gli abitanti vicino Fort Detrick vogliono sapere perché il laboratorio biologico militare è stato chiuso così improvvisamente. Gli scienziati di Fort Detrick gestiscono alcuni degli agenti biologici più sensibili e conducono ricerche mediche. Il problema è che a luglio il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie ha emesso un ordine di cessazione, bloccando tutte le ricerche a Fort Detrick con la motivazione che “non hanno sistemi sufficienti per decontaminare le acque reflue nel laboratorio di massima sicurezza”».

Fort Detrick dista ottantaquattro chilometri e molti centri abitati dalla contea di Fairfax. Come era arrivato fin laggiù il virus?

Da un’inchiesta del “Frederick News-Post” emerse che «almeno sei dipendenti del laboratorio» erano stati «ricoverati nell’ospedale militare di Fort Belvoir». Quel che allora non si sapeva, ma che successivamente è diventato ben noto riguardo al Covid-19, è che si tratta di una malattia nosocomiale, ovvero che si diffonde facilmente e rapidamente negli ospedali.

Insomma, se di Covid si trattò (e tutti gli elementi indiziari a disposizione porterebbero a questa ipotesi) una volta messo piede nell’ospedale i militari diffusero il virus tra gli operatori sanitari. Ed essendo Fort Belvoir l’ospedale di riferimento degli ospiti delle due case di riposo, molto probabilmente sarebbero stati gli stessi medici e infermieri del nosocomio a infettare gli anziani. Su un depliant si legge: «Fort Belvoir assiste anche i veterani di guerra che vivono a Greenspring e a Heatherwood. Veterani della seconda guerra mondiale, della guerra di Corea, della guerra in Vietnam».

Il deputato Hailey Rouda ha chiesto durante un’audizione del Congresso Usa: «Voi sostenete che qualcuno è morto per l’influenza. Ma avete fatto i test post mortem per vedere se era influenza o Covid-19?».

Il direttore del Cdc Robert Redfield ha risposto: «Il Cdc ha un sistema di monitoraggio delle polmoniti mortali ma non in ogni città, in ogni Stato, in ogni ospedale».

Rouda: «Così noi negli Stati Uniti potremmo aver avuto morti per quella che sembrava un’influenza mentre in realtà sarebbe stato il coronavirus?».

Redfield: «Ad oggi alcuni casi sono stati diagnosticati in questo modo negli Stati Uniti».

Il giornale “McKnight’s Senior Living” ha rivelato: «Nell’agosto 2019 un’influenza di tipo sconosciuto su larga scala ha ucciso più di diecimila persone negli Stati Uniti. Ad agosto?».

Aggiungendo, poi: «Abbiamo rilevato che dopo l’esplosione conclamata della pandemia da Covid19 molte delle pagine internet che parlavano di quell’influenza risultano essere cancellate, non da parte degli autori».

Solo un anno dopo, in seguito alla richiesta da parte “Frederick News-Post” di accesso alle informazioni in base al Freedom of Information Act emerse che la direzione del laboratorio non era riuscita a «implementare e mantenere procedure di contenimento sufficienti a contenere agenti selezionati o tossine». Sempre secondo il rapporto del Cdc, «in un caso il personale ha deliberatamente aperto la porta della stanza dell'autoclave mentre il dipendente rimuoveva i rifiuti a rischio biologico. Questa deviazione aumenta il rischio che l’aria contaminata dalla stanza fuoriesca e venga trascinata nella stanza dell’autoclave, dove le persone non indossano protezioni respiratorie».

Quel che i media che trattarono la vicenda non sapevano (o omettevano di sapere) era che buona parte dei protagonisti dell’incidente estivo di Fort Detrick lavoravano attivamente anche in un altro laboratorio P4, situato dodicimila chilometri più a ovest. Laboratorio nel quale portavano avanti gli stessi esperimenti sui coronavirus, con le stesse modalità e gli stessi standard di sicurezza.


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