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Gioco di squadra, organizzazione e paletti: come sostenere i nostri figli adolescenti

Pubblicato 2 anni fa

Intervista a Daniele Novara, pedagogista, autore, ideatore del metodo maieutico nell'apprendimento e nella relazione d'aiuto

E poi viene il momento. Viene il momento in cui i nostri bambini crescono, lasciano il mondo dell’infanzia e si avviano a diventare grandi. E noi genitori, che vorremmo tenerli nel nido ancora un po’ (dopo aver passato anni a sperare che crescessero in fretta) ci ritroviamo spaesati e spesso senza strumenti per affrontare quell’età di grandi cambiamenti, silenzi e spesso scontri che è l’adolescenza.

Che fare dunque di fronte ai no, alle porte sbattute, allo studio trascurato, alla voglia di stare sempre e solo con gli amici e alla presenza così pervasiva di console e smartphone?

Ne abbiamo parlato con Daniele Novara, pedagogista e autore di numerosi libri sulla gestione dei conflitti in famiglia.

Come cambiano i bisogni educativi dei bambini quando diventano adolescenti?

Va detto che l’infanzia è l’età più diversa dal resto del corso della vita e che gli adolescenti sono più simili agli adulti che ai bambini. Questo è fondamentale da considerare, perché uscire dall’infanzia è una cosa molto grossa, e anche molto importante. L’adolescenza è solo un’età di passaggio, che non ha più le caratteristiche dell’infanzia, nel modo più assoluto.
L’adolescenza con l’infanzia non c’entra nulla, ma questo fatto è molto difficile da percepire da parte degli adulti, specialmente da quest’ultima generazione di genitori e di insegnanti, che tendono a considerare i preadolescenti come dei bambini un po’ più grandi. E non è così, perché le informazioni che abbiamo sul cervello dei bambini, rispetto al cervello dei preadolescenti, ci dicono che sono due mondi completamente diversi. La corteccia pre-frontale, usciti dall’infanzia, comincia a coordinare in maniera sistematica tutte le altre aree del cervello e quindi ad andare verso la stabilizzazione neurocerebrale che nell’infanzia è molto limitata. In altre parole, un vero pensiero astratto lo si può avere solo a partire dagli 11-12 anni, proprio per le motivazioni neurocerebrali di cui ho detto prima.
Quindi, è molto importante trattare i preadolescenti, tanto più gli adolescenti, in maniera diversa da come si gestiscono i bambini.

Lei ha detto che gli adolescenti sono molto più simili a noi adulti che ai bambini. Come mai, però, quando i nostri figli diventano adolescenti noi genitori facciamo così fatica a interagire con loro? Siamo noi a dover cambiare? E in che direzione?

Oggi i figli sono talmente pochi, sono diventati così preziosi, che si tende a prolungare l’accudimento oltre misura, per cui, ad esempio, una percentuale di ragazzi e ragazze sui 12 anni dorme ancora nel lettone con i loro genitori, magari non per tutta la notte. Oppure, vediamo sempre dodicenni, tredicenni, quattordicenni che vengono chiamati dai genitori “amore” e “tesoro”, come se fossero dei cuccioli di 3 o 4 anni. Si tende a mantenere una promiscuità, che può essere legittima quando i figli sono piccoli, ma che non è più legittima quando hai in casa dei ragazzoni e delle ragazzone alte letteralmente come te. Quello che voglio dire è che nel mondo della mutazione antropologica e narcisistica, in cui dagli anni Novanta tutti viviamo, i figli sono talmente preziosi che vanno conservati. In questa logica che non è più quella dell’educazione, ecco che l’accudimento infantile viene trascinato fino a età molto avanzate.
Ad esempio, in Italia non si usa la “paghetta”, che invece è un segnale molto importante per far capire che è finita l’infanzia e che quindi il figlio ha il diritto e il dovere di imparare a usare i soldi. I genitori gli danno un cash settimanale che gli deve bastare. Un vero e proprio paletto. Viceversa, il genitore italiano, molto accuditivo, molto protezionistico, preferisce fare il “genitore bancomat”, che dà i soldi on demand, in una logica di puro e semplice accudimento.
Si tratta di una difficoltà psicologica, che però crea molti disagi ai preadolescenti e agli adolescenti che poi alzano l’asticella della trasgressione: qualcuno si ritira, qualcuno fa cose sempre più strane.

Rispetto all’adolescenza, lei parla spesso dell’importanza della figura paterna, di un padre che possa fornire una mappa regolativa del vivere: in che senso?

L’adolescente, giustamente, vuole schiodarsi dal nido materno, vuole schiodarsi dal controllo della mamma, vuole schiodarsi da tutto ciò che gli ricorda la dipendenza infantile, che è sostanzialmente rappresentata, anche in termini biologici, proprio dalla mamma. In Italia spesso non si coglie questa necessità del materno di fare un passo indietro. Anzi, proprio in adolescenza, le mamme diventano insistenti, petulanti, controllanti e, cosa fondamentale, rinunciano al gioco di squadra con il padre, lasciato - senza motivo - in panchina, nelle retrovie, quando invece ci sarebbe bisogno di lui. Il padre, piuttosto, deve essere attivato dalla madre nel gioco di squadra - perché tocca a lui entrare in campo - nel senso che l’adolescenza è il momento del paterno. L’accudimento, lo ripeto, richiama all’infanzia e genera molti problemi agli adolescenti. Sto pensando, ad esempio, anche a tutta la gestione dei compiti scolastici, dello studio, dove tanti adolescenti vengono trattati letteralmente come bambini di 5 anni.

In pratica quindi, come si fa? Quali sono le strategie educative da mettere in campo con i nostri adolescenti?

Gli esempi sono tutti nei miei libri. Ho parlato di convergenza educativa sul padre in adolescenza e di “tecnica del paletto”.
La convergenza educativa sul padre è il front-office da lui gestito, con la madre che passa la palla al padre nella logica della staffetta, dicendo, ad esempio: «Stasera ne parliamo col papà».
La “tecnica del paletto” è molto interessante. In che cosa consiste? Ad esempio, se hai un figlio di 15-16 anni, gli dici: «Questa estate devi fare un’esperienza di apprendimento»; oppure «Questa estate devi fare un viaggio»; o ancora: «Questa estate devi fare un’esperienza di lavoro». Stabilito questo, poi si negozia con il figlio o con la figlia su come attuare questa necessità, cioè quale esperienza di apprendimento, di lavoro o di viaggio fare. Ecco, quindi, che il paletto non è una regola, ma è un “vincolo di libertà”. Sembra un ossimoro, ma non lo è. È come la paghetta: se hai cinque euro alla settimana, ti devi arrangiare con tale somma. È un limite. Hai un orario di rientro? Non ti chiedo cosa farai fino alle 7:00, però alle 7:00 devi rientrare. All’interno del paletto si crea una negoziazione. Altro esempio: devi fare uno sport. Non ti dico quale, decidilo pure tu, però devi fare uno sport. Ed ancora: una volta alla settimana devi sistemare la tua cameretta. Non ti dico quando, però durante la settimana lo devi fare.
Sono tutte tecniche di negoziazione basate sul paletto. Sono molto efficaci e, ovviamente, non vanno gestite con urla o intemperanze emotive, ma con molta organizzazione: essere pratici, concreti, asciutti, utilizzando comunicazioni di servizio e, se il ragazzo o la ragazza ti aggredisce, applica il silenzio attivo e non parlargli più.
Un’altra tecnica descritta ampiamente nei miei libri è la “tecnica del gatto”: è inutile andare a incalzare il ragazzo o la ragazza su questo mito deleterio del dialogo a tutti i costi. I ragazzi non vogliono parlare con i genitori, ma vogliono parlare con i loro coetanei, quindi che senso ha? La “tecnica del gatto”, viceversa, è una tecnica di attesa: è chiaro che se ti vuole parlare lo ascolti - ovviamente tenendo conto del fatto che ogni volta che ti chiede l’ascolto c’è dietro una richiesta opportunistica, perché è questa la natura del pensiero adolescenziale.
L’adolescente non è interessato ai genitori, ma a conquistare la vita, ad avere un proprio spazio. Se poi tutte le strade sono chiuse, succede quello che è sotto gli occhi di tutti: l’adolescente si chiude davanti ad un videogioco, davanti a un social. Inebetisce in un contesto di addiction neuro-digitale - come accade con l’uso della cocaina - che colpisce le aree del cervello dopaminergiche, per cui, dopo due ore di videogioco, un ragazzo non è più in grado di fermarsi. Su questo la rimando al bel libro Il cervello degli adolescenti, della neurologa americana Frances E. Jensen. Jensen scrive nero su bianco che se si passano molte ore al giorno sui videogiochi, si riduce sia la materia cerebrale bianca che la materia grigia.

Qual è quindi l’età corretta per dare in mano ai nostri figli uno smartphone e quali le regole imprescindibili di utilizzo da fissare?

Io sostengo una cosa molto semplice: in prima media è necessario che il ragazzino, quando esce di casa, possa avere uno strumento per muoversi. È sufficiente il cellulare, in cui ci sono anche gli sms e le foto. Finita la terza media, si può parlare dello smartphone, però con delle regole. Il genitore deve avere, almeno fino a 16-17 anni, accesso all’utilizzo dei social, che sono piuttosto pericolosi, come è noto, sia per i contenuti, sia perché c’è uno scambio di video e di foto, che può essere al limite della legge, soprattutto nel caso di foto a sfondo sessuale. Questo è infatti il periodo in cui incominciano le prime relazioni, anche sessuali. Ci possono dunque essere dei pasticci seri, per cui poi i genitori finiscono nei guai.
Un altro paletto fondamentale riguarda il sonno notturno che va tutelato. La notte il telefono sta fuori dalla camera da letto. Inoltre, va regolamentata la quantità di utilizzo perché fa la differenza. Il cervello viene agganciato sulla quantità, non necessariamente sulla qualità - fatto salvo ovviamente che i film porno e quelli dell’orrore sono pericolosi in questa fase dello sviluppo, tanto più i film porno, perché educano a una sessualità misogina. La quantità crea dei danni nel cervello adolescenziale. Queste, più o meno, sono le regole, di cui ho parlato spessissimo anche nei miei libri. Peraltro, sono anche abbastanza semplici. La cosa più importante è tutelare il sonno notturno, in secondo luogo tutelare la quantità, inoltre operare una supervisione generale, da parte dei genitori, sull’uso e sui contenuti di questi dispositivi.

Ulteriori approfondimenti

Ragazzi, ecco come vivere con coraggio l'adolescenza è il titolo della lettera scritta da Daniele Novara ai ragazzi e alle ragazze di 14 e 15 anni che stanno per lasciare definitamente il mondo della preadolescenza e quindi il piede che tenevano, ancora comodamente, nel mondo dell’infanzia. Viaggia, vivi le relazioni, lavorare stanca ma fa crescere, giocare su un prato è meglio che giocare su un videoschermo, impara, leggi e condividi sono i consigli del professor Novara per i nostri figli adolescenti.

Il CPP (Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti) fondato e diretto da Daniele Novara si occupa da oltre trent’anni di gestione dei conflitti e dei processi di apprendimento. Organizza corsi, seminari e workshop, convegni e gli incontri della Scuola Genitori.


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Recensioni dei clienti

Baristo T.

Recensione del 11/12/2024

Valutazione: 4 / 5

Data di acquisto: 11/12/2024

Concordo quasi su tutto ma è sicuro che ci va dialogo e comprensione, oltre a tanta pazienza. Non è un periodo facile ma è molto importante non lasciarli soli, carcare di capirli e capire i loro atteggiamenti. Grazie per tutte le spiegazioni.

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