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Gastrite, reflusso e l’idraulico “di mio cugggino”

Pubblicato 4 anni fa

Leggi un estratto da "Ascolta la tua Pancia" di Gabriele Prinzi e Livia Emma per scoprire l'importanza di una corretta diagnosi

Hai presente quando il lavandino della tua cucina si intasa? Te ne accorgi perché l’acqua ristagna nel lavandino anziché defluire.

È logico immaginare che c’è qualche ostacolo che impedisce il deflusso: nel collo d’oca, nel tubo di giuntura o nel cavedio del palazzo, dove si congiungono metri di tubature.

Così, cosa fai?

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L’idraulico “di mio cugggino”

Chiami l’idraulico. Quello “bravo”, quello di “mio cugggino”. Che ti dice: “Signora, il suo è un problema legato al lavandino, glielo sostituisco io!” E ti monta un lavandino nuovo, tutto luccicante, di acciaio inossidabile, bellissimo, con due lavelli. Il top di gamma!

Ma quando va via – dopo averti fatto pagare un conto salato – quello che succede è che continua a esserci un ristagno, e l’acqua non defluisce.

Ti è mai capitato?

In effetti, l’idraulico “di mio cugggino” avrebbe dovuto valutare di disostruire il lavandino, usando l’idraulico liquido o smontando il collo d’oca e pulendolo. O cambiando i tubi e il flessibile, se fosse servito. O controllando ancora più a valle, lungo metri di tubature, se fosse utile a trovare la causa. Non so se hai mai notato che, nella loro capiente borsa degli attrezzi, gli idraulici si portano sempre appresso una sonda sturatubi: io ne ho viste alcune con tanto di telecamera, non diverse da un endoscopio in miniatura…

Non è cambiare il lavandino la soluzione: non rimuove né risolve la causa.

Se così fosse, trovato e rimosso l’ostacolo (la causa), come per magia il lavandino sarebbe dovuto tornare a funzionare perfettamente.

Ti è mai capitato?

Questo esempio descrive quel “problema di stomaco” che gli italiani – e i “diagnosti” che li curano – chiamano amichevolmente “gastrite”. Ma che gastrite non è.

O chiamano “colon irritabile”. Ma che colon irritabile non è.

Ma è perfetta come metafora per spiegarti un paio di concetti.

Andiamo per gradi.

I problemi di stomaco sono tutti uguali?

Lo stomaco è la parte più alta di un tubo lungo 8-e-passa metri, chiamato “tubo digerente”. E, dalla bocca all’ano, questo tubo è costituito dagli stessi tessuti, è innervato dallo stesso (secondo) cervello e servito dallo stesso sistema vascolare.

Oltre a questo:

  • possiede la maggiore concentrazione di cellule (e tessuti) del sistema immunitario dell’intero corpo;
  • ospita la maggiore concentrazione di batteri, virus, miceti, batteriofagi, parassiti, vermi eccetera (per gli amici: il microbiota) dell’intero corpo.

Lo stomaco è capiente come un piccolo lavandino (4,5 litri) ed è foderato di “acciaio inossidabile” perché deve reggere alla presenza di acido per giorni, mesi, anni. Per tutta la vita!

Ma il “sifone” che dallo stomaco va verso l’alto (l’esofago) non è rivestito di acciaio, quindi, quando lo stomaco “sfiata” in quella direzione (indigestione o reflusso), l’acido viene percepito quasi subito a livello dello stomaco, nella parte più alta dell’addome, al di sotto dell’osso che segna il limite con il torace.

Ovviamente, quando senti il bruciore in quel punto, nella pancia, pensi subito alla gastrite. Così, quello che normalmente sarebbe classificato come “reflusso acido” (o biliare) o “rigurgito” la maggior parte degli italiani lo definisce “gastrite”. E così, probabilmente per comodità, preferisce percepirlo buona parte dei “diagnosti”.

E al tuo educato saluto quando entri nel loro ambulatorio, spesso rispondono – estremamente ligi ai protocolli e senza pensarci su – vergando sul loro ricettario 20 o 40 mg del miglior gastroprotettore che conoscono. 20, 40, ma anche 80 mg, quando i sintomi non cambiano e loro sentono la necessità di fare una diagnosi differenziale con problemi legati ad ansia o a stress (senza mancare, spesso, di prescriverlo comunque uno psicofarmaco, magari spacciandolo per procinetico, un farmaco per stimolare il transito intestinale).

Tratterò più dettagliatamente l’argomento nel prossimo capitolo, relativo al microbiota e a quel batterio scientificamente noto come Helicobacter pylori (HP).

Certo, gli inibitori di pompa protonica (IPP, meglio conosciuti con il termine “coccoloso” di gastroprotettori) hanno ridotto l’insorgenza di tante malattie “gastriche” e hanno fatto enormemente diminuire tutti quei casi clinici d’urgenza (emorragie gastriche, ulcere perforate eccetera) in cui chirurghi come me venivano chiamati a operare per competenza.

Il grosso problema si è generato quando l’uso di questi farmaci è stato esteso anche a situazioni croniche che con la gastrite non hanno nulla a che fare. Come il reflusso gastroesofageo.

Se, infatti, per un attimo, cambi prospettiva, usi la tua capacità analitica e immagini che il reflusso sia l’ultima manifestazione (il sintomo!) di un problema che si trova più a valle (intestino o colon), la metafora dell’idraulico di “mio cugggino” diventa chiara.

Perché nel fare di tutta l’erba un fascio, nel prescrivere sempre lo stesso protocollo a tutti, abbiamo fatto un errore di valutazione. Siamo quasi 8 miliardi di persone sul pianeta e possiamo avere manifestazioni esterne simili tra noi, ma cause diverse che si presentano con la stessa sintomatologia.


La cura varia da persona a persona.


Fatti le domande giuste

Noi medici dovremmo fare un passo indietro e tornare a fare i sarti, cucendo addosso ai pazienti un abito terapeutico specifico, su misura, piuttosto che usare su tutti lo stesso trattamento farmacologico.

Anche quando il paziente si accorge che non funziona.

Chiariamoci: in una buona percentuale di casi, quel trattamento è corretto, appropriato, e risolve il problema.

  • Cerchiamo la gastrite e la troviamo. 
  • Cerchiamo una disbiosi da Helicobacter e la troviamo. 
  • Applichiamo la cura e il problema sparisce.
  • Il caso è così brillantemente risolto.

Ma molte volte accade tutto il contrario.

Sempre più spesso cerchiamo una gastrite e non la troviamo; ci aspettiamo una celiachia, ma la gastroscopia ci smentisce; cerchiamo l’Helicobacter e curiosamente l’esame risulta negativo, anche se la manifestazione sintomatica sembrava indicarne la presenza.

Ma il protocollo terapeutico curiosamente non cambia, è lo stesso.

E viene applicato indiscriminatamente, a tutti, anche quando non funziona.

A volte i diagnosti credono così tanto nell’efficacia della cura da smettere di credere al paziente, ai sintomi che riferisce – spesso immutati o peggiorati con la cura.

La risposta, anche troppo spesso, è aumentare la posologia, fino al punto che i pazienti trattati con 80 mg di gastroprotettore sviluppano acloridria (cioè la mancanza di acido cloridrico nel succo gastrico, sintomo di varie gastropatie) e non riescono a digerire alcuna proteina.

Per venire incontro alla pressione di un Sistema Sanitario Nazionale (SSN) che nel corso degli ultimi anni ha dovuto tagliare le sue risorse per motivi di budget e di pareggio di bilancio, ci sono sempre più pazienti e sempre meno specialisti. E lo specialista dentro ambulatori accreditati è spesso costretto a valutare una persona in pochissimi minuti.

Ecco che quei medici “costretti” a una valutazione superficiale per necessità si basano su una altrettanto superficiale strategia terapeutica, che guarda a un sintomo come fosse quella la malattia.


È per questo che esistono i protocolli. Per applicare una cura velocemente. Senza pensarci più di tanto…


Come i più grandi fra i credenti o i più profondi fra gli atei, questi medici credono a tutto, ma si trovano spesso nelle condizioni di non credere a ciò che dice il paziente.

Questa condizione di lavoro – voluta dai burocrati di Stato, che impongono ritmi inumani ai vari specialisti e spogliano l’atto medico dall’empatia – è fallimentare tre volte:

  1. perché viene spento un sintomo senza preoccuparsi di cercare la causa che lo ha generato;
  2. perché la causa continua imperterrita ad andare avanti, si cronicizza e peggiora;
  3. perché c’è da pagare un conto salato in termini di visite ed esami, ma soprattutto in termini di effetti collaterali.

infatti, anche il miglior gastroprotettore del mondo – il top di gamma! – quello che riesce a ridurre perfettamente l’acido, sta lavorando su un effetto! Su un sintomo. Piuttosto che curare la causa di una “malattia”, sta invece silenziando un sintomo.

Quel sintomo è un campanello d’allarme del tuo corpo, che ti avvisa che c’è qualcosa che sta avvenendo più sotto, più in basso, negli 8-e-passa metri di intestino. E se cancelli ciò che si manifesta, come puoi seguire a ritroso gli indizi e arrivare alla causa? È questo ciò che farebbe l’investigatore protagonista della tua serie TV preferita?

Perché nessuno ti ha mai detto che quando ti si gonfia la pancia (disbiosi fermentativa), nello stesso momento il colon di destra preme sul duodeno, provocando lo sfiato di bile e succo pancreatico che risale su per lo stomaco, l’esofago, fino ad arrivare in gola e in bocca.

La disbiosi può essere la causa dei tuoi problemi, ma è anche un effetto collaterale arcinoto del gastroprotettore.

Domandati: quanti medici vanno a cercare l’ostacolo nei 7 metri a valle dello stomaco? Perché in pochi sospettano un problema intestinale, una disbiosi, un’allergia alimentare, una sibo (sovracrescita batterica del piccolo intestino), una sifo (sovracrescita fungina del piccolo intestino), o altro?

E quanto c’è da fidarsi dell’idraulico di “mio cugggino”???

Cosa irrita il tuo colon?

Caro amico o amica che stai leggendo, quando hai un sintomo o una patologia gastrointestinale ricorda sempre

  • Che il tubo digerente è lungo 8-e-passa metri.
  • Che è ricoperto dal microbiota intestinale.
  • Che i sintomi potrebbero essere connessi al cibo che entra in contatto (anche piccole quantità) con la mucosa che va dalla bocca all’ano. O alla carenza di micronutrienti (il gastroprotettore esclude la possibilità di assorbire la vitamina B12, assieme a calcio, magnesio, selenio e altro...).
  • Che, a volte, i sintomi che avverti sono un modo attraverso il quale il tuo corpo fa di tutto per dirti: “Questo cibo è cacca!”, come nel caso eclatante della diarrea. E tal quale quel cibo lo espelle, per fartelo materialmente vedere.

Così, se mi dici che hai il “colon (intestino, prego!) irritabile”... 

... Io in automatico ti risponderò chiedendoti: Cosa irrita il tuo colon? È il cibo che ingoi senza consapevolezza? Sono le pessime “relazioni” che rendono tossico il tuo ambiente sociale, lavorativo e casalingo? Sono gli effetti collaterali (dimenticati o sottovalutati) dei farmaci che ti somministra il SSN (ma che sono prescrivibili e gratis)?


Ascoltati.
Ascolta la tua pancia.
Fatti la domanda.
Permettiti dei dubbi.
Datti la risposta.
E trova una soluzione.


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