Effetto Mozart: i benefici della musicoterapia
Pubblicato
11 mesi fa
Marcello Ferrara Corbari
Autore, scrittore e musicista
Studi scientifici hanno dimostrato che ascoltare musica classica sviluppa le capacità dell'emisfero destro e le potenzialità cognitive ed emotive di adulti e bambini: ecco in che modo
La musica ha accompagnato da sempre la vita dell’uomo, fin dalle sue origini. I benefici che l’arte dei suoni apporta sul piano emotivo alla vita degli esseri umani sono conosciuti da tutti. La musica ci fa stare bene, migliora l’umore, parla direttamente alle nostre emozioni bypassando il filtro di una razionalità a volte troppo ingombrante. Inoltre è anche un valido fattore di aggregazione sociale, crea spirito di gruppo, aiuta a relazionarsi in maniera più disinvolta. Ma ci sono altri servigi che la musica può rendere al nostro intelletto?
Identikit sonoro
“Se volete conoscere un popolo, dovete ascoltare la sua musica” affermava Platone, e in effetti lo spirito di una nazione e di un’intera epoca è ben rispecchiato dai suoni che predilige. Allo stesso modo Nietzsche invitava a diffidare dall’uomo che non ama la musica poiché il suo cuore è celato anche a se stesso. Perché la musica ci affascina tanto?
In un certo senso il potere della musica è qualcosa d’incontestabile. Ritmo, melodia e armonia sono gli elementi che s’intrecciano a formare il pregiato arazzo del linguaggio più universale che si conosca. La pulsazione ritmica scandisce il tempo, suddividendolo con gradevole equità, a beneficio del nostro amore per la simmetria. La melodia canta all’orecchio umano disegnando linee affascinanti come paesaggi esotici. Infine l’armonia crea pennellate di colori sgargianti e seducenti come quelli sempre mutevoli di un tramonto.
Non ci sarebbe nemmeno bisogno di scrivere altro per ribadire tutto ciò: ciascuno di noi ne ha più volte fatta esperienza diretta.
Senza la musica il mondo sarebbe più grigio e lo scorrere del tempo, per dirla con Frank Zappa, soltanto una sequela di minuti tutti uguali.
Ma ascoltare musica può anche modificare radicalmente la nostra struttura cerebrale? Contribuendo magari a migliorare le nostre prestazioni mentali, così come quelle dei nostri figli? Detto più semplicemente: può la musica contribuire attivamente ad aumentare le nostre capacità cognitive o si tratta semplicemente di un nobile esercizio dello spirito?
Recenti studi hanno dato nuove risposte a queste domande, antiche come l’uomo, dopo che a partire dagli anni Novanta il tema era assurto agli onori della cronaca grazie a un esperimento che fece scalpore.
Agli albori della ricerca
Nel 1993 un team di ricercatori dell’Università della California pensò di indagare gli effetti che la musica ha sulla nostra memoria operativa a breve termine. E lo fece in questo modo: gli studiosi Frances Rauscher, Gordon Shaw e Catherine Ky chiesero a una sessantina di giovani volontari, suddivisi in tre gruppi, di risolvere alcuni esercizi di logica spaziale. Prima di impegnarsi in questo compito, però, a ciascun gruppo era stato domandato di svolgere tre mansioni diverse.
A un primo gruppo venne chiesto di ascoltare un brano di Mozart (nello specifico la Sonata per due pianoforti in Re maggiore K448), al secondo gruppo vennero fatti eseguire esercizi di rilassamento, e al terzo venne chiesto soltanto di attendere l’inizio del test in completo silenzio. Risultato: il gruppo che aveva ascoltato Mozart risolse più brillantemente degli altri gli esercizi logico-matematici, mostrando un incremento di 8 punti di QI rispetto agli altri due gruppi.
I ricercatori furono entusiasti: erano state poste le basi per quello che ormai è conosciuto in tutto il mondo come il celeberrimo Effetto Mozart.
L’idea che stava alla base della ricerca era che l’ascolto della musica classica potesse aiutare a organizzare i circuiti neuronali che alimentano la corteccia cerebrale: in particolar modo rafforzando i processi dell’emisfero destro, adibito a funzioni spazio-temporali.
L’entusiasmo dei ricercatori, però, fu un po’ prematuro, poiché il numero di partecipanti all’esperimento era molto esiguo e, secondo i dettami del metodo scientifico, si sarebbero dovute fare molte altre prove simili prima di giungere a conclusioni definitive. Ma, come a volte accade, il desiderio di trovare conferme a quella che era una teoria indubbiamente seducente portò gli studiosi a divulgare i propri risultati di lì a poco.
Un successo annunciato
Fu così che lo studio venne pubblicato in quello stesso anno sulla rivista scientifica “Nature” e ottenne vasta risonanza (Rauscher, Shaw and Ky, Music and Spatial Task Performance, "Nature", 1993, 365-6447). Immediatamente la stampa si lanciò in titoli sensazionalistici: “La musica classica rende più intelligenti” oppure “Mozart renderà tuo figlio un genio”.
L’opinione pubblica ne fu notevolmente impressionata e in breve tempo fiorì un vasto commercio di cd musicali per la primissima infanzia, dove celebri melodie dei più grandi compositori del periodo classico venivano riproposte in originale o con vari adattamenti. Ciò che l’Effetto Mozart prometteva era qualcosa che andava incontro alle ansie e alle aspirazioni di genitori coscienziosi, sempre desiderosi di dare il meglio al proprio figlio e di vederne fiorire tutte le potenzialità.
Anche molte organizzazioni e amministrazioni pubbliche contribuirono con impegno alla diffusione di questa nuova teoria, regalando cd di musica classica a tutti i nuovi nati di molti dipartimenti ospedalieri. Gli Stati Uniti e l’Europa erano stati presi dalla passione febbrile per la musica settecentesca. La musicoterapia non era mai stata così tenuta in considerazione.
Ma perché la scelta era ricaduta proprio su Mozart?
Amadeus perché sei tu, Amadeus?
Perché non chiamare questo potere della musica effetto Bach o effetto Beethoven o effetto Beatles? Perché proprio la musica del compositore salisburghese venne scelta come in assoluto quella più indicata per lo sviluppo di capacità logico spaziali?
La ragione sta nel fatto che la musica di Mozart rappresenta com’è noto il culmine di un’epoca musicale in cui dettami costitutivi quali simmetria, nitidezza, rigore compositivo e sviluppo costruttivo si presentano al massimo grado. Mozart è profondo quanto Bach ma melodicamente meno complesso. Tocca tutta la gamma dei sentimenti umani come anche Beethoven, ma lo fa con più leggiadria, attraverso un discorso musicale cristallino. È vivace e spensierato senza mai essere banale.
Tutti questi elementi vanno ovviamente a braccetto con il mondo dell’infanzia.
Intelligenze multiple
Lo psicologo Howard Gardner di Harvard è l’ideatore del concetto d’intelligenze multiple. Il suo libro Frames of Mind (1983) è uno dei capisaldi del pensiero educativo odierno. In quest’opera Gardner sostiene che oltre all’intelligenza linguistica, logico-matematica, spaziale e cinestetica, esistano anche forme d’intelligenza relazionale, emotiva e musicale. In particolare, per ciò che concerne l’intelligenza musicale, Gardner sostiene che maggiore è il numero di stimoli musicali a cui il bambino è sottoposto, fin dalla più tenera età, più gli altri tipi d’intelligenza ne trarranno giovamento.
A partire dalla sua prima pubblicazione Gardner ha continuato a indagare su questo tema, riabilitando in parte le tesi dell’Effetto Mozart. In un testo recente dal titolo Formae Mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza (2013) lo studioso afferma con sicurezza che i vari tipi d’intelligenza sono tra loro correlati: lo sviluppo di ciascuna di queste intelligenze non può che apportare benefici anche alle altre.
I bambini meritano di essere esposti alla ricchezza dell’arte e della cultura umana, in tutte le sue forme. L’intera società ne trarrà beneficio.
Nello specifico è stato dimostrato che la musica funziona come un vero e proprio “tonico” in molte circostanze, calmante o eccitante a seconda delle esigenze. Dunque quella dei suoni non è soltanto un’arte per così dire “decorativa”, ma ha un potente effetto sulla nostra psiche ed è in grado di influenzare certi processi fisiologici.
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Doping sonoro
Nella maratona di New York del 2007 fu vietato l’uso delle cuffie a tutti i partecipanti. Secondo la federazione di atletica americana la musica alterava le prestazioni degli atleti, dando a chi ascoltava musica un indubbio vantaggio. Anche in Italia alcune federazioni (ciclismo, triathlon e atletica leggera) hanno adottato questa politica.
Secondo una ricerca condotta dal dott. Costas Karageorghis, vice-direttore della Sport and Education of Brunel University of London, la musica ha veri e propri effetti dopanti ("Journal of Sport Behavior", The Psychological, Psychophysical and Ergogenic Effects of Music in Sport, 2009). Riduzione del senso di affaticamento, aumento della motivazione, distrazione da stimoli esterni. Inoltre l’ascolto di determinati ritmi influenza direttamente il battito cardiaco, la tensione muscolare e il rilascio di endorfine.
Dunque questo famigerato Effetto Mozart se non è ancora appurato che contribuisca a renderci più intelligenti sicuramente ci aiuta a essere più felici, motivati e performanti. L’importante è che sia musica che ci piace: non occorre che sia Classica in senso letterale, ma “classica” per noi. Vale a dire: intramontabile.
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