Diete ipocaloriche: ecco perché possono rallentare l'attività della tiroide
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2 anni fa
Comprendere e trattare l'ipotiroidismo secondo la medicina di segnale
Perché oggi sembra che tutti, ad una certa età, debbano prendere un farmaco per la tiroide? È davvero sempre necessario trattare o è un caso lampante di sovradiagnosi?
Un recente lavoro ha documentato in Italia un forte innalzamento nelle prescrizioni di ormone tiroideo come terapia sostitutiva per la cura dell’ipotiroidismo. Dal 2001 al 2008 le prescrizioni di terapia sostitutiva ormonale sono cresciute del 30% negli USA e in Inghilterra (JAMA int med ottobre 2013), e in Italia siamo del tutto allineati.
Il motivo principale dell’errore risiede nella scorretta abitudine, da parte di un gran numero di medici, di trattare con ormoni sostitutivi anche i pazienti cosiddetti subclinici, ovvero con produzione ormonale corretta (fT3 e fT4), ma con un lieve innalzamento del TSH (l’ormone ipofisario che stimola la tiroide a lavorare di più e meglio). Tale incongruo trattamento (che mette sotto farmaci un paziente sostanzialmente sano e privo di qualunque sintomatologia) genera dipendenza farmacologica e rallenta la naturale attività della tiroide, producendo un paziente via via sempre più dipendente dal trattamento. Se viene interrotta la “cura”, infatti, il TSH schizzerà alle stelle per effetto rimbalzo fornendo al paziente l’errata convinzione di avere assoluto bisogno del trattamento. Sulla base di questa falsa informazione il numero di “malati” di tiroide aumenta esponenzialmente e non è difficile ormai trovare, in una cena tra amiche, la maggioranza dei presenti sotto trattamento.
Il punto di vista della medicina di segnale
La medicina di segnale ci dice che se un organismo sposta il proprio equilibrio in una direzione (rallentamento tiroideo, aumento pressorio, innalzamento glicemico, risposta allergica) lo fa sempre con uno scopo difensivo o, per meglio dire, per tamponare un danno, evitare danni peggiori o ripristinare un equilibrio perduto. Questo è esattamente ciò che fa la tiroide, che è un organo importantissimo per la regolazione di fino della spesa metabolica, in grado di fare la differenza – in un individuo preistorico – tra la vita e la morte per fame. Se le quantità di cibo (o la qualità dello stesso) non sono reputate sufficienti dall’organismo, l’ipotalamo si incarica di rallentare la tiroide al fine di ottenere un atteggiamento metabolico più prudente, ovvero di rallentare i consumi complessivi. Una tiroide più lenta, infatti, accumula più grassi, consuma meno scorte muscolari, rallenta il battito cardiaco, abbassa la temperatura corporea, induce pigrizia, calma e tranquillità.
Fino a che la situazione non diventi cronica o si aggravi, il medico di segnale dunque non tratta con ormoni (levotiroxina). I soli pazienti che devono essere trattati con certezza sono quelli tiroidectomizzati (la cui tiroide è stata interamente asportata per un tumore o per altri motivi) o quelli che abbiano avuto un’atrofizzazione della tiroide, per esempio con radio-iodio a causa di un grave ipertiroidismo. Per tutti gli altri serve un ragionamento che vada al di là del meccanico calcolo che vede aumentare i dosaggi se il TSH è alto e abbassarli se il TSH si abbassa. Serve ragionare di cause reali del problema, e ancora prima chiedersi se il problema realmente esista o sia solo nella fantasia di chi ha definito linee guida troppo restrittive.
Per sapere se e quando trattare occorre ragionare sulla effettiva utilità del trattamento.
Oscillazioni del TSH temporanee non devono essere prese in considerazione. Come recitano le linee guida delle maggiori società di endocrinologia mondiali: trattare un paziente con ormone tiroideo, in presenza di una secrezione ormonale normale (cioè con fT3 o fT4 a norma) può generare ipertiroidismo iatrogeno. Ben più grave di qualunque forma di ipotiroidismo. Insomma: avere troppa fretta nel trattare un paziente con ormoni non è mai raccomandabile. E comunque, finché non si risolve il problema dell’apporto calorico insufficiente (prima causa di ipotiroidismo) non vi è trattamento che possa ritenersi giustificato.
Agire sulla causa non sul sintomo
Il medico di segnale cerca dunque di modificare i fattori causali alla base del rallentamento. Il che significa riprendere un’alimentazione corretta, che escluda categoricamente qualunque tipo di dieta a controllo calorico (esplicita o meno) e qualunque forma di digiuno (parziale, intermittente, 5+2, mini-digiuno, salto dei pasti ecc.).
Chiunque segua incautamente le più diffuse diete popolari o (ahimè) le diete ipocaloriche proposte da una parte del mondo scientifico, si troverà a soffrire un rallentamento dell’attività tiroidea.
Se togliamo benzina, insomma, la macchina dovrà andare più piano. La tiroide è quel piede che decide quanto a fondo spingere sull’acceleratore. Se spinge poco, probabilmente, ha i suoi buoni motivi: a noi capirli e, ove possibile, correggerli con modifiche efficaci su alimentazione e stile di vita, lasciando da parte, almeno in un primo momento, qualunque tipo di intervento farmacologico.
Ricordiamoci che i danni da ipertiroidismo (anche solo iatrogeno: tachicardie, aritmie, insonnia, deplezione muscolare) sono di gran lunga peggiori rispetto a quelle legate ad un lieve ipotiroidismo, che abbiamo ben imparato ad affrontare negli ultimi due milioni di anni della nostra evoluzione e che ci hanno più volte (e in modo naturale) salvato la vita in situazioni di carestia o di sottonutrizione.