Da cuore a cuore: essere con l'altro
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4 anni fa
Leggi un estratto da "La Scienza del Cuore" di Carmen Di Muro
Quando siamo venuti al mondo, eravamo programmati in modo perfetto. Avevamo la tendenza naturale a focalizzarci sull'amore. La nostra immaginazione era creativa e sapevamo come usarla. Eravamo connessi a un mondo molto più ricco di quello a cui siamo connessi ora, un mondo pieno di magia.
Cos'è successo dopo? Come mai, raggiunta una certa età, ci siamo guardati attorno e l'incantesimo era svanito?
Tutto dipende dal fatto che ci hanno insegnato a pensare secondo l'ordine del mondo attuale e le sue leggi basate sul successo, sulla competizione, sulla vincita.
Da bambini ci hanno educati a essere bravi. A pochi è stato insegnato che, essenzialmente, lo eravamo già. Pochissimi di noi hanno ricevuto approvazione incondizionata e la sensazione di essere preziosi in virtù di quel che siamo, non di quello che facciamo.
E questo non perché siamo stati cresciuti da mostri, ma da esseri umani che, a loro volta, avevano appreso le stesse modalità, trovando la propria stabilità in una regolazione emozionale che avveniva allo stesso modo.
A volte, infatti, sono state proprio le persone che più ci hanno amato a considerare come loro responsabilità quella di insegnarci a lottare, spostando dall'interno del cuore al fuori, il nostro senso di potere. Perché tutto questo?
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L'universo sostiene sempre la nostra sopravvivenza, sia dal punto di vista emotivo che psicologico, attraverso una trama di rimandi indissolubili che presiedono l'evoluzione e la crescita. L'equivalente interiore dell'ossigeno, ciò di cui necessitiamo per sopravvivere, sono le relazioni.
Relazioni e connessioni d'amore realizzano il nostro anelito a sentirci pienamente vivi.
Tutte le nostre esperienze mentali e affettive originano nella profondità del nostro contesto relazionale, dando forma alla nostra esperienza interiore ed esteriore. La mente crea se stessa nel rapporto con gli altri! Infatti essa non è limitata al cranio e al cervello, ma è costituita dalla rete di relazioni che intrattiene con la realtà emotiva circostante attraverso cui si plasma, consolidando e facendo emergere le sue potenzialità, in un'altalena costante. Ma in che modo le relazioni influiscono sulla creazione della nostra mente?
Ognuno di noi viene al mondo con la capacità di stabilire legami di amore, da cuore a cuore, legami di attaccamento.
Il senso dell'agire, la coerenza, l'affettività e persino la continuità del sé (memoria) sono influenzati dall'interazione con gli altri, soprattutto in seno alle nostre prime esperienze infantili. Infatti, il primo ambiente in cui costruiamo questo senso di "noi stessi" è il nido delle prime interazioni con le figure significative come nostra madre, o chi per lei.
Pertanto sono proprio le relazioni affettive in cui ci si prende cura del bambino, rispondendo al suo bisogno di calore e attenzioni, che vanno a formare una struttura di personalità interna di individuo meritevole o non meritevole di amore.
Esse consentono al Sé, in continua evoluzione, di avere un senso di coerenza essenziale per la crescita, divenendo integrato. Sebbene da sempre si sia riconosciuto il ruolo importante dei primi legami infantili nella strutturazione dell'identità della persona, oggi come non mai, le neuroscienze affettive fanno luce nelle pieghe più interne di questa interazione, mettendo in evidenza lo stretto legame tra lo sviluppo della relazione di attaccamento e la maturazione del cervello e di come le esperienze primarie influenzino l'organizzazione di alcuni circuiti cerebrali particolarmente duttili nei primi mesi di vita, capaci di condizionare profondamente ed incisivamente il comportamento socio-emotivo presente e futuro di un individuo (Schore e Schore, 2008).
Poiché il cervello è plastico, ogni esperienza di attaccamento implica l'attivazione di neuroni cerebrali che rispondono e si plasmano in virtù degli input sensoriali, emotivi ed energetici esperiti. E quando i neuroni, strettamente interconnessi tra loro in particolari circuiti cerebrali, si accendono assieme (legge di Hebb), danno vita a "mappe neurali" o "reti", ossia modelli specifici di attivazione, che servono a creare immagini mentali, sensoriali e rappresentazioni linguistiche. Ma soprattutto fanno sì che si sviluppi adeguatamente la capacità di sintonizzarsi con altre menti e con il sentire dell'altro.
Già nell'epoca della gestazione, in particolare nell'ultimo trimestre, si formano quelle che poi verranno chiamate credenze, cioè convinzioni, dei modi di porsi e di essere, che vengono trasmesse non psicologicamente, ma come modi di reagire allo stress.
Infatti, il sistema nervoso del piccolo in formazione fa fronte agli stimoli percepiti, ossia a quelli che sono gli eventi più o meno stressanti del mondo in cui poi si troverà a vivere come individuo separato, adattandosi e regolandosi fisiologicamente già nel ventre materno.
Ogni essere umano porta una firma epigenetica dello stress vissuto tanto nell'età infantile, quanto embrionale.
Numerose evidenze indicano che lo stress emotivo nelle donne in gravidanza, altera profondamente l'espressione genica dei loro futuri bambini, modificando le connessioni neurali nell'amigdala e riducendo il numero di recettori ormonali nell'ippocampo - centralina essenziale della memoria biografica - necessari per spegnere la risposta allo stress (Taliaz et al., 2011).
Ciò significa, perciò, che gli individui esposti a tensioni emotive croniche nelle primissime fasi della vita, possono essere più sensibili a situazioni stressanti da adulti, a causa di un circuito di feedback interrotto che ne inficia il funzionamento. Questo è il caso di vissuti traumatici che hanno tracciato le nostre prime esperienze.
Quanto stress e quanta pressione una persona può tollerare dinanzi agli eventi critici dipende in larga misura dalla forza di connessione che si sviluppa sin dall'infanzia. E in questo, biologia, biografia e capacità di far fronte a situazioni avverse sono strettamente interconnesse (Di Muro, 2020d).
La forza della resilienza pone le sue basi già nella prima infanzia, ma si può rinforzare durante tutta la vita.
Le interazioni emotive con le figure di attaccamento sono, dunque, di primaria importanza nel dare forma al nucleo centrale di sé, alle connessioni neurali del cervello, ma soprattutto alla regolazione del SN e delle proprie emozioni. Come ci ricorda il noto psichiatra Daniel Siegel (1999), padre della neurobiologia interpersonale, sono «le connessioni umane che creano le connessioni neurali dalle quali emerge la mente».
Nell'essere in relazione, non c'è logica e non c'è un progetto razionale. C'è solo il più puro ordine di senso delle emozioni, che veicola l'informazione interpersonale da cuore a cuore, da soma a soma e da mente a mente.
Gli affetti appaiono, quindi, veri e propri "sistemi viventi organizzati" in virtù di quel magico "circuito di risonanza" (Siegel, 2010) che permette ai due "Io" di diventare un "Noi" di informazione integrata.
Infatti ogni volta che le persone interagiscono, sincronizzano spontaneamente le loro risposte neurali, percettive, affettive, fisiologiche e comportamentali (Semin e Cacioppo, 2008); ma la cosa sorprendente è che lo fanno attraverso il campo magnetico generato dal cuore, di cui parleremo in modo approfondito successivamente. A tal proposito, Steven Porges (2011), noto neurofìsiologo statunitense, arriva ad assegnare alla relazionalità la definizione di imperativo biologico: l'interazione con gli altri risponde all'esigenza fisica di co-regolare il proprio stato biologico, emotivo e comportamentale.
Una ridotta capacità di connessione e ascolto dei propri stati emotivi e di quelli del cuore dell'altro e la conseguente riduzione di energia vitale sono, dunque, le dimensioni nascoste che stanno alla base di molti problemi psichici e somatici a cui fa capo la disregolazione emozionale.
Purtroppo siamo spesso inconsapevoli dei blocchi che ci portiamo dentro, muri antichi che abbiamo innalzato per difenderci, che sono frutto di una mancata regolazione emotiva e di stili di sopravvivenza che interferiscono con la capacità di sentirsi connessi con il proprio cuore, spostando da dentro a fuori il nostro potenziale.
In sostanza, sebbene sappiamo di avere tutto ciò che serve, in alcuni ambiti continuiamo a sentirci paralizzati, bloccati da una morsa presente dentro di noi, che ci dirige automaticamente e che ci allontana progressivamente dall'amore. E quando le persone vivono senza amore, si dimenticano di se stesse e del potere miracoloso a loro disposizione.
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