Cosa insegna l’antica tradizione dei Navajo
Pubblicato
2 anni fa
Qual è il grande insegnamento che i popoli nativi custodiscono da sempre? Cosa la nostra società può apprendere da una tradizione così illuminata e preziosa?
I ricordi, soprattutto quelli che hanno segnato profondamente il tuo cammino, a cosa servono?
Io sono convinto che siano lì a dirti che qui ci sei stato, che hai vissuto, che hai imparato cose buone e disimparato stupide certezze. È molto? È poco? Io credo che sia qualcosa che serve a migliorare la nostra prossima vita, ovunque decidiamo di rinascere, perché nulla va sprecato, essendo ogni cosa energia capace di rinnovarsi, di assumere nuove forme, nuovi modelli, di creare nuovi programmi.
In questi giorni mi sono tornati alla mente tanti ricordi del tempo che divisi coi Nativi americani. E ho scelto di raccontarli in un libro, almeno quelli che considero davvero importanti e che nel momento in cui scrivevo si sono riaffacciati in me, e con stupore, visto che stavano sepolti chissà dove e hanno deciso di tornare improvvisamente a galla...
Stai per leggere un estratto dal libro
I Navayo
L’antica tradizione della Nazione dei Navajo dell’Arizona è basata essenzialmente su quella che potremmo definire “guarigione”, o meglio il mantenimento del perfetto equilibrio con noi stessi e col Tutto, pena l’origine delle malattie e della disarmonia che sta conducendo il nostro mondo al caos.
I Navajos, o meglio i Dinè, “il Popolo”, affermano cioè che per essere “sano” l’uomo deve essere costantemente “centrato”, ovvero in perfetta sintonia con l’ambiente che lo circonda e con quella che essi chiamano la “Gente Sacra”, vale a dire le essenze spirituali inerenti ogni aspetto del creato.
È infatti collocandosi nel giusto mezzo tra i due opposti che l’uomo impara cosa vuole dire “sa’ah naaghai bik’eh hozho”, cioè: “Camminare nella Bellezza”; o in caso contrario, a soccombere alla malattia, che altro non è se non squilibrio dell’originale piano armonico.
I Dinè sostengono che al momento della nascita la “Gente Sacra” provvede a fare dono a ognuno di noi di un “piccolo vento” che per tutta la vita ci fornirà i mezzi atti a respirare, a muoverci, a pensare, a parlare, e via dicendo.
Questo “piccolo vento” individuale è parte del grande “Vento Universale” che è la sostanza, l’alito della Creazione, essendo composto dei quattro venti che furono messi alle “Quattro Sacre Direzioni” al momento della creazione dell’Universo.
Il nostro “piccolo vento”, dunque, essendo emanazione del più grande “Vento Universale”, è ugualmente sacro e va mantenuto in equilibrio col Tutto attraverso un modo di vivere basato sull’armonia e il rispetto.
In caso contrario, l’uomo si ammala e trascina l’intera Creazione nell’abisso del più caotico squilibrio.
Il Cerchio della Vita
La nostra visione del mondo – diceva il lakota Russell Means – è molto semplice.
Noi crediamo che tutta la vita, tutti i popoli della Terra, siano nati da una stessa madre, la nostra sacra Madre Terra. Così tutti gli esseri viventi sono fratelli. Noi siamo tutti nel sacro cerchio della vita. Allo stesso modo siamo legati a coloro che vennero prima di noi.
La polvere sotto i nostri piedi è fatta delle ossa dei nostri antenati e pertanto gli Indiani d’America non potranno mai abbandonare la propria terra. L’Indiano che lo facesse perderebbe la propria identità e la potrebbe ritrovare solo ritornando alle proprie origini.
Non dico queste cose solo per una semplice amenità. Dico questo perché il mondo primitivo si trova dall’altra parte del mondo industriale che ritiene di poter violentare la propria madre e trovare tuttavia un qualche paradiso qui sulla Terra attraverso le meraviglie della tecnologia.
Il Dio della società industriale
La società industriale, trastullandosi nel gioco del "mangia il pianeta", ci ha portati sull’orlo del suicidio della specie.
Quando l’uomo, come se fosse un dio, ritiene di poter controllare ogni cosa in questa vita fisica sulla Terra, allora non c’è domani, c’è solo oggi, e ieri è solo un ricordo romantico costruito dalle sue percezioni. Così non ha niente da imparare dallo "ieri" e niente da dire sul "domani", poiché vive solo per l’"oggi", avendo paura della fine, dell’ignoto.
La gente della società industriale ha paura dell’ignoto per una mancanza di comprensione dell’equilibrio fra tutte le cose viventi nell’Universo.
Quando si arriva a un’armonia con l’ignoto si arriva a confrontarsi non con la propria mortalità ma con la propria immortalità. Gli esseri umani non devono fare altro che guardare i propri figli per capire che siamo immortali.
La Natura non morirà mai
A livello di coscienza si può sapere questo, ma bisogna sentirlo nel proprio cuore e poi farne una cosa sola col proprio pensiero. La società industriale è una società che pensa con la bocca e non con il cuore e la mente.
Quando si seguirà il cuore si seguirà il modo di vivere della natura. Quando si comprenderà l’immortalità con la mente si comprenderà che non si deve avere paura dell’ignoto, che non si deve avere paura del buio, che l’uomo non è nato diavolo, che non moriremo mai, perché la natura non morirà mai.
Ricorderò queste parole, le ricorderò sempre.
Così come ricordo sempre anche le parole di tanti altri Nativi americani, allorché fu data loro la facoltà di parlare e dire come la pensavano senza avere paura di essere imprigionati perché avevano avuto l’ardire di farlo.
E tengo sempre a mente la cosa che ritengo la più importante fra tutte, che ancora una volta lascio dire a un “Uomo Sacro” appartenente al popolo degli Inuit che vivono lungo le coste artiche dell’America del Nord: “La più grande distanza nell’esistenza dell’uomo non è da qui a là o da là a qua. No. La più grande distanza nell’esistenza dell’uomo è dalla mente al cuore. Finché non conquista questa distanza, non imparerà mai a volteggiare come un’aquila e a conoscere la sua immensità interiore.”
Nella Bellezza io camminerò
Mi viene da chiudere quanto ho scritto con queste ultime righe: quando ero giovane avevo capelli biondi e occhi sognanti ed ero molto timido e a volte quando sorridevo guardavo da un’altra parte.
Ho ancora occhi sognanti oggi? Non lo so e non c’è nessuno che possa dirmelo, ma saperlo o non saperlo non cambia nulla. I miei capelli sono diventati bianchi e quando cammino accanto al mare o la sera guardo il mare prima di coricarmi mi sento in pace con me stesso. È una bella sensazione questa, che non è in vendita, che non si può comprare a nessun prezzo.
Presto verrà l’inverno, i giorni saranno sempre più corti e farà sempre più freddo, finché un giorno cadrà la neve e il silenzio. Ma il cielo continuerà a essere blu, il sole a splendere, i fiumi a scendere dai monti, l’erba a essere verde e così il mio spirito.
Il Creatore conosce le vie, conta i grani che sono gli anni che mi restano, il tempo che ancora mi è concesso.
Non ho paura dell’ultimo dei miei giorni. Nella luce calante del tramonto sarà bello andare via. La fine è l’inizio, il vero inizio.
Mi entusiasma pensare a quale volto vedrò per primo quando intraprenderò quel viaggio, e quale luogo mi sarà destinato. Spero di tornare a cavalcare ancora una volta insieme ai miei maestri, di ritrovare i miei antichi padri e madri e fratelli e sorelle e amici e ridere ancora con loro come una volta.
Sarà un grande giorno quel giorno. Nella Bellezza io camminerò.
Scopri il libro da cui è tratto questo articolo: