Con le buone!
Pubblicato
2 anni fa
Elisabetta Vagliani
Dottoressa in scienze dell’Educazione, esperta nei processi di apprendimento
Educazione dolce nella prima e nella seconda infanzia
Dicono che il compito più difficile del genitore, la sfida più grande a cui è chiamato, sia educare i propri figli. Niente manuali, né ricette, solo aspettative, credenze, abitudini, timori e convinzioni accompagnano il genitore in questa impresa così delicata e assieme complessa.
Quello educativo rappresenta da sempre un dibattito aperto, acceso talvolta, una tavola rotonda a cui siedono psicologi, educatori, filosofi, insegnanti che studiano, confutano, commentano e propongono modelli e stili educativi tra i più diversi, attuali e passati.
Educare costituisce un fatto universale, connaturale all’uomo, un processo di umanizzazione più o meno intenzionale presente in ogni cultura, in ogni comunità.
Così, il tema educativo, anzi il problema educativo procede nel tempo, attraversando generazioni, punti di vista, rimanendo spesso irrisolto, sottovalutato, in balia di teorie, salotti social, visioni, consigli e tanto sentito dire… E noi genitori, sempre più stretti nella morsa dei tempi moderni, del far presto, del permissivismo, dell’autoritarismo, dell’assenza, navighiamo in alto mare, spesso senza bussola.
Che poi… cosa significa esattamente educare?
Questioni etimologiche
Secondo l’accezione originaria il termine educare deriva dal latino ex-ducĕre, "trarre fuori", "far emergere ciò che è dentro". Tirar fuori appunto, non mettere dentro. Non lana caprina, ma una questione annosa, lo spartiacque tra educare e istruire. Due processi inversi: nel primo, il prefisso "e-" indica un moto di uscita, nel secondo, la preposizione "in-" indica un portare all’interno.
Educare, quindi, equivale a tirare fuori dal soggetto, alunno o figlio che sia, ciò che è già insito in lui; pertanto il maestro, il genitore o l’educatore dovrà farsi guida sapiente e silenziosa, senza contaminare o deviare dovrà portare alla luce virtù, talenti, capacità e la vera natura di quel particolare fanciullo. Natura appunto già intrinsecamente presente nel bambino, una natura buona, come scriveva Rousseau, a cui il soggetto tende, a cui è chiamato.
Nell’ etimologia della parola educare è presente anche un altro aspetto: il nutrimento, la crescita. Quindi, educare è condurre fuori, lasciar emergere, favorire, tutto ciò che è natura, e al contempo nutrire.
Per educěre, è necessario creare l’ambiente e le condizioni ottimali affinché emerga ciò che la natura ha previsto, senza condizionamento alcuno.
Per eděre occorre scegliere, con coscienza e responsabilità, le azioni, le parole, i modelli e i pensieri che proponiamo attraverso il nostro esempio. Sapendo bene che esso stesso sarà cibo per l’identità e l’essere autentico del fanciullo.
Educare è perciò promuovere lo sviluppo di facoltà intellettuali, estetiche e morali della persona attraverso l’esempio e la relazione.
Genitori efficaci
Nel dialogo educativo il primo interlocutore è proprio il genitore, che grazie alla sua posizione privilegiata, possiede l’onere e l’onore di educare i propri figli, di educare alla vita, di puntare sulla scommessa antropologica più grande: fare luce appunto sulla loro irriducibile unicità. Pertanto, la figura di adulto, di genitore, di educatore efficace si riflette in colui che è capace di stare sulle sfondo, atto ad allestire l’ambiente giusto affinché il bambino possa compiersi nella sua natura. Un luogo in cui coltivare relazione, fiducia, rispetto, un setting stimolante, aperto al dialogo non violento, al fare e al pensare.
L’adulto autoritario e direttivo sparisce, sostituito da un osservatore attento, un modello, un esempio integro e giusto, che scorge con precisione le peculiarità, le attitudini, i bisogni, i talenti e le fragilità del bambino che ha di fronte.
Una guida consapevole, determinata, flessibile e soprattutto amorevole.
Un genitore efficace, capace di accompagnare senza sostituirsi, di ascoltare, di tacere, di comprendere, di offrire risposte, di sostenere, spronare, di esserci con amore, pazienza ed empatia.
Certamente non un compito facile per il genitore, al contrario, un vero e proprio lavoro, una missione che necessità di un processo quasi catartico, di abbandono di pregiudizio, di presunzione e ambizione manipolatoria.
Un lavoro di autoeducazione che vede il genitore costantemente impegnato in un’azione di profonda analisi di sé, di ponderazione, di autocritica talvolta.
Il genitore efficace educa alla libertà, all’autonomia, al pensiero, è in grado di intravedere nei propri limiti l’opportunità della crescita, di raccogliere le sfide quotidiane che la sua stessa missione gli sottopone.
Il genitore efficace conosce l’arte maieutica, ammette la rivoluzione interiore, si pone davanti al bambino offrendogli il mondo nelle sua varietà. Non teme rivali. Si fa sostegno discreto, offrendo il suo aiuto solo quando è richiesto, invita alla conoscenza, all’esperienza, all’intelligenza, alla critica, alla relazione. Promuove lo sviluppo integrale, la maturazione armonica della personalità del bambino; non spiana la strada, non rimuove gli ostacoli, non semplifica. Ma con il suo esserci, con la sua presenza responsabile e avveduta favorisce la scoperta, il tentativo, l’esercizio. Sa fronteggiare il fallimento, la sconfitta e la perdita. Ha voce onesta, parole sincere, sa immaginare e raccontare sogni.
Il genitore efficace lascia che il bambino proceda verso ciò per cui è predestinato: una creatura da potenza ad atto, una perfetta, autentica e meravigliosa espressione di sé!
Sì, ma come?
Tutto giustissimo! Ma tra dire e fare c’è di mezzo il mare! Nelle nostre giornate, spesso sovraffollate di impegni, traffico e capricci, si finisce per cedere all’autoritarismo, alla minaccia, al "Se fai, allora poi…". Altrettanto spesso, una volta a letto, prima di prendere sonno, veniamo assaliti da sensi di colpa, ci rivediamo nella versione peggiore di noi stessi, sentendoci madri e padri inadeguati, educatori imperfetti.
Allora come è possibile educare i nostri figli con la calma e la consapevolezza necessaria, la spontaneità e la responsabilità che contraddistingue l’educatore autentico? Come affrontiamo la corrente, la ridda selvaggia rimanendo perfettamente centrati?
Non è necessaria una scuola di equilibrismo, né un manuale per funambolisti provetti. Semplicemente (se così si può dire) siate voi stessi, esseri aperti, fiduciosi di quella stessa natura buona, intrinsecamente insita nell’animo umano, quella stessa natura che siamo chiamati ad esaltare, a promuovere, a incentivare nei nostri bambini, è la stessa di cui anche noi siamo dotati. Quella natura, che potremmo più facilmente chiamare istinto, ci guiderà se saremo capaci di lasciargli spazio, di ascoltare. Bandite la perfezione, allontanate le convenzioni, i cliché. Ritrovate la semplicità bambina, la spontaneità, l’originalità della vostra essenza. Spogliatevi delle rigidità.
Come? Con l’empatia. Essa costituisce il segreto! L’empatia è la risposta che cercavamo, è la nostra bussola. È in questo rispecchiamento emotivo, sensoriale ed intellettuale che ha luogo l’Educazione. Così indossare i panni di nostro figlio, ci permette di guardarlo e ascoltarlo davvero, di comprenderne gli stati d’animo, le necessità, i desideri, le percezioni, senza invadenza, senza presunzione.
L’empatia fomenterà l’intimità relazionale, ci sintonizzerà con i nostri figli e con noi stessi. L’empatia sarà la nostra preziosissima mappa, essenziale per poter anzitutto comprendere la natura, la realtà su cui far luce. Quel sentire con amore ci dona l’efficacia di compiere la nostra missione genitoriale al meglio e porta con sé la forza della sinergia. È proprio la potenza della relazione genitore-figlio, educatore-bambino che, sprigionando empatia, permette di isolare i bisogni, intercettare i talenti, far riecheggiare le esperienze, cogliere gli spunti, offrire strumenti.
In questo modo educare un bambino si trasformerà nel pretesto per ripercorrere la nostra personale storia educativa, non per risolvere o sanare eventuali mancanze o ferite, ma per compiere quel preventivo lavoro di autoeducazione che ci permette di educare davvero. Non una pesante gogna, non un banco di prova, non un duro processo di autovalutazione, piuttosto un’evoluzione consapevole, matura e perpetua in grado di percepire con amore i propri punti deboli, i limiti.
L’educazione è un percorso senza fine, costellato di battute d’arresto, di smarrimento, di se e di ma. Ed è proprio quando i progetti, le aspettative collidono con le imminenze e i vincoli dell’ordinario, quando veniamo colti dalla frustrazione, che basterà riconnettersi con il proprio bambino interiore, con quella natura primordiale che ci permette di scorgere un elefante nella pancia di un serpente!
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