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Come sono collegati Bill Gates, la privacy e la nuova educazione scolastica?

Pubblicato 2 anni fa

Come viene gestita l'educazione negli ultimi anni, soprattutto nel post-pandemia e cosa non ci dicono della scuola che invece dovremmo sapere, per valutarla al meglio?

Oggi ti parliamo di un libro che cambierà completamente il tuo modo di vedere l'educazione e il modo in cui negli ultimi anni, soprattutto nel post-pandemia, viene gestita la scuola.

Ma partiamo andando un pochino indietro negli anni.

Stai per leggere un estratto dal libro:

Indice dei contenuti:

La Fondazione Gates e l'istruzione

William Henry Gates III, per gli amici Bill Gates, è universalmen­te conosciuto come il creatore dell'azienda informatica Microsoft Corporation, da lui fondata e rifondata a più riprese nel 1975, nel 1981 e, nella sua veste attuale, nel 1983.

Dal 1987 Gates è incluso nella lista Forbes delle persone più ricche al mondo.

Nel 1995 Gates lancia il si­stema Windows 95 e il browser Internet Explorer. Dal quel momento è proiettato nell'olimpo dei ricchissimi e dal 1995 al 2017, eccetto che per quattro anni, è la persona più ricca del mondo. La sua azienda è una delle più importanti al mondo nel settore informatico, una delle più grandi produttrici di software per fatturato e anche una del­le più grandi aziende per capitalizzazione azionaria.

A cominciare dalla metà degli anni Novanta le tattiche e gli accordi commerciali utilizzati dalla Microsoft di Gates per aumentare le proprie quote di mercato cominciano a essere criticate e accusate di illegalità, di abu­so di posizione dominante ed illecito. Infatti, Microsoft tenta di osta­colare e limitare l'affermazione di software Open Source o di stan­dard non-proprietari, in particolare Linux, l'unico sistema operativo che può minacciare il dominio incontrastato di Microsoft. Una parte delle accuse sono confermate nei cosiddetti documenti Halloween nel 1998, dei quali Microsoft ammette l'autenticità.

Qualche anno più tardi, Microsoft deve pagare un'ammenda di 497 milioni di euro.

Un po' di "filatropia"

Nel 1917 Bill Gates assieme alla moglie Melinda decidono di dare vita a una fondazione filantropica con i dichiarati scopi di pro­muovere progetti educativi, sanitari e di battaglia alla povertà.

Nasce così la Fondazione Bill & Melinda Gates, nella quale confluiscono inizialmente le ricchezze della Microsoft. Come riferisce la coppia di novelli filantropi direttamente nel sito della Fondazione, «Man mano che il nostro impegno per il nostro lavoro cresceva, abbiamo trasferi­to $ 20 miliardi di azioni Microsoft alla nostra fondazione, rendendo­la la più grande del suo genere al mondo».

Nel 2006 entra a far parte della squadra di filantropi anche "il leggendario investitore", Warren Buffett, in qualità di amministratore fiduciario, che «ha donato gran parte della sua fortuna alla nostra fondazione». Nasce così la Fonda­zione Bill e Melinda Gates Trust, con il compito di fare investimenti per conto della fondazione filantropica.

Buffett è unanimemente con­siderato il più grande investitore e speculatore di tutti i tempi, non­ché il quarantesimo uomo più ricco di sempre. L'attività di filantropo assieme ai coniugi Gates si rivela fortunata in quanto appena due anni dopo il sodalizio con la Fondazione, Buffett è stimato da Forbes come l'uomo più ricco del 2008.

Fu di Frederick T. Gates, nato nel 1853 e morto nel 1929, l'idea di creare organizzazioni filantropiche, da sovvenzionare con continuità, al fine di attuare politiche sociali e sanitarie promosse dai miliardari stessi. È a Frederick che si deve il geniale sistema di "donazioni filantropiche" esentasse utilizzato dal­la Famiglia Rockefeller per la propria fondazione filantropica, la Fon­dazione Rockefeller nata nel 1913.


Secondo Maurizio Blondet: «Il siste­ma ideato da Frederick Gates e dalla famiglia Rockefeller è il primo strumento in cui, sotto la voce beneficenza, i miliardari americani attuano la forma di "ingegneria sociale" e di politica che desiderano imporre ai governi. Ogni altra "foundation", fino alla Open Society di Soros, sono create su quel modello originale».


Frederick fu intimo consigliere e amico di John D. Rockefeller ed è stato co-azionista del­la Standard Oil2. Fu lo stesso Frederick a consigliare ai Rockefeller di concentrare gli investimenti della Fondazione di famiglia nella me­dicina, nell'eugenetica, nelle scienze sociali e nell'educazione. Ed è proprio per operare in questi stessi ambiti che Bill e Melinda Gates decidono di dare vita alla propria fondazione filantropica.

Il potere raggiunto dalla Fondazione Bill e Melinda Gates

Questo potere, in ambito di salute pubblica, è sotto gli occhi di tutti: la Fondazione è il secondo finanzia­tore in termini assoluti dell'OMS; è socio fondatore, assieme all'OMS, della Gavi-Alleanza per i vaccini, a sua volta quarto finanziatore as­soluto dell'OMS3; è il principale finanziatore del progetto ID4D del Gruppo Banca Mondiale, finalizzato alla diffusione dell'Identità Digitale globale su base vaccinale.

Meno noti, ma altrettanto impor­tanti, sono gli interessi di Bill Gates relativi al settore dell'istruzione pubblica. L'8 maggio 2020 il giornalista e insegnante Peter Greene, parlando di Gates in un'inchiesta pubblicata su Forbes dichiara che «Nessuno ha speso più soldi e avuto più influenza sull'istruzione de­gli Stati Uniti [ ... ] La spesa di Gates per l'istruzione degli Stati Uniti coinvolge miliardi di dollari e ha influenzato direttamente il modo in cui sono stati spesi trilioni di dollari dei contribuenti».

Greene parla addirittura di una "riforma gatesiana" della scuola portata avanti al­meno a partire dal 2000 con una serie di costosissime iniziative, tutte però sommerse da critiche e fallimenti. Secondo Greene «Gates non ha chiari successi. Né ci sono segni che stia imparando qualcosa dai suoi fallimenti. Leggendo anni della lettera annuale di Bill e Melinda, trovi il riconoscimento che la loro ultima idea non è andata bene, ma i problemi non si trovano mai all'interno dei programmi stessi. Gli insegnanti non avevano le giuste risorse o formazione. Il lavoro di PR della Fondazione non ha adeguatamente anticipato la resistenza. Dopo anni di iniziative fallite, l'ultima newsletter di Gates conclude non che dovrebbero riesaminare alcune delle loro ipotesi, cambia­re il loro approccio o inviare un diverso insieme di bulbi oculari a guardare i loro programmi, invece, dovrebbero solo fare quello che stanno facendo, ma farlo più duramente».

Ci dovremmo ora chiedere quale sia la visione educativa che ha spinto Gates a diventare il più grande finanziatore della scuola americana.

Al di là delle dichiara­zioni di facciata, del resto pienamente e universalmente condivisibi­li, come migliorare la formazione di insegnanti e studenti, non sem­bra vi sia una chiara visione d'insieme relativa a cosa debba essere migliorato nel campo educativo.

La Microsoft Corporation è la più grande azienda al mondo di software ed è, per tanto, molto brava nell'analisi dei Dati.

Assieme a Google, Amazon, Facebook, Apple, la Microsoft è una delle aziende leader che sta traghettando il mondo verso la cosiddetta Quarta Rivoluzione Industriale e verso il nuovo capitalismo della sorveglianza.

Per il nuovo capitalismo Hi-Tech la materia prima sono i dati che possono essere estratti, elaborati e ri­venduti a partire da una qualsiasi attività umana. Pertanto è proprio nelle estrazioni di dati che Greene individua il fulcro delle iniziati­ve gatesiane volte a migliorare l'educazione e, con essa il mondo.


«I dati sono stati un obiettivo singolare della riforma gatesiana. Se i dati sono il nuovo petrolio, allora le scuole pubbliche sono il nuovo Texas».


Inizialmente, è proprio sulla questione delle privacy e della spregiudicata diffusione dei dati di studenti, famiglie e docenti che le iniziative di Gates ricevono le critiche e le opposizioni più feroci

La dittatura europea

Rimarrà probabilmente sorpreso il lettore di Teoria della Dittatura del popolare filosofo francese Michael Onfray, nel constatare che il primo capitolo del libro è interamente dedicato all'Europa di Maastricht. Secondo Onfray, l'Unione Europea nasce sulla spinta di ideali imperialistici e il Trattato di Maastricht appare come la formula più compiuta dell'ideologia liberale mercatista.

Inoltre, la progressiva costituzione dell'Unione Europea è stata accompagnata da una forma di propaganda caratteristica di ogni regime: «Grazie all'appoggio dei media del servizio pubblico e di quelli privati, l'Europa di Maastricht è stata presentata come l'unica forma possibile di Europa; rifiutare l'Europa liberale perché era liberale e non perché era Europa significava rifiutare l'Europa, significava rifiutare tutte le forme possibili di Europa, significava rifiutare l'idea stessa di Europa. E soprattutto significava prendere le parti del nazionalismo, il che significava a sua volta parteggiare per la guerra».

Se il Trattato di Maastricht pone comevalore centrale della società europea la libertà dei mercati, non c'è da sorprendersi che con l'avvento del "mercato unico digitale" ogni aspetto della società sia stato piegato a questo nuovo imperativo categorico.

Il 5 maggio 2010 il Parlamento Europeo approva la Nuova Agenda Europea del Digitale. Tutta la Risoluzione del Parlamento è permeata dalla convinzione che le tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (TIC) dovranno costituire il fulcro di ogni aspetto della nostra vita, della prosperità e della competitività economica, financo della salvaguardia dell'ambiente e di una società più democratica, aperta e inclusiva.

Lo sviluppo delle TIC

Le tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni vengono descritte come lo strumento per far fronte a sfide strutturali, consentendo una crescita economica sostenibile. In pieno accordo con le prospettive delineate dalla quarta rivoluzione industriale, promossa dal direttore esecutivo del Forum Economico di Davos, Klaus Schwab, il Parlamento riconosce che ci troviamo di fronte ad una «rivoluzione digitale che non può essere intesa come un'evoluzione del passato industriale, bensì come un processo di radicale trasformazione».

I settori privato e pubblico devono essere spinti a investire in piattaforme e servizi innovativi come il cloud computing, l'eHealth, i contatori intelligenti, la mobilità smart, il tutto per favorire la transizione verso un «mercato unico digitale».

Nei punti 21, 22, 23 e 24, la Risoluzione detta anche l'Agenda futura relativa alla Scuola, che ogni Stato membro sarà tenuto a rispettare e a mettere in atto, eludendo, a questo punto, ogni possibilità di dibattito democratico.

Innanzitutto si sottolinea che «tutte le scuole primarie e secondarie devono disporre di connessioni Internet affidabili e di qualità entro il 2013 e di connessioni ad alta velocità entro il 2015, con il sostegno della politica regionale e di coesione ove opportuno».

Si sottolinea inoltre che la formazione nel settore delle TIC e dell'e-learning dovrebbe diventare parte integrante delle attività di apprendimento permanente e che l'e-learning deve diventare un metodo di formazione adeguato.

A giudizio di chi scrive, l'aspetto più sconcertante della Risoluzione è contenuta nel punto 23, dove il Parlamento Europeo «raccomanda di introdurre il concetto di alfabetizzazione digitale nei sistemi di istruzione a partire già dal livello pre-elementare [...] con l'obiettivo di formare utenti esperti il più presto possibile»

Senza voler entrare, per il momento, nel merito di cosa possa implicare un'"alfabetizzazione digitale" in bambini di 3-5 anni, basti qui notare che l'obiettivo formativo previsto per i piccoli europei è quello di essere trasformati in "utenti", il più presto possibile.

La trasformazione in utenti

Vale la pena sottolineare che il concetto di "utente" si riferisce a colui che usufruisce di beni o di servizi e che, in economia, l'"utente" si contrappone al termine "cliente". Il cliente sceglie e paga per ottenere un bene e un servizio, mentre l'utente paga beni e servizi pur non potendoli scegliere in quanto erogati in regime di monopolio da un ente pubblico o privato.

Che l'introduzione dell'alfabetizzazione digitale nelle scuole, financo alla materna, non sia finalizzata al conseguimento di migliori prestazioni scolastiche e accademiche doveva essere già chiaro anche ai decisori europei. Infatti, erano già stati pubblicati studi che fornivano interpretazioni piuttosto negative circa la correlazione tra digitalizzazione della scuola e prestazioni degli alunni, basati proprio sull'analisi dei risultati dell'OCDE-PISA.

Nel 2004 uno studio di Thomas Fuchs e Ludger Woessmann3, pubblicato su Social Sciences and Research Network, analizzando i risultati OCDE-PISA, conclude che «una volta che controlliamo ampiamente il background familiare e le caratteristiche scolastiche, la relazione diventa negativa per i computer di casa e insignificante per i computer scolastici. Pertanto, la semplice disponibilità di computer a casa sembra distrarre gli studenti da un apprendimento efficace».

In particolare «la presenza di un computer in casa induce in primo luogo i bambini a giocare con i videogiochi. Questo li distoglie dallo studio e si ripercuote negativamente sui risultati scolastici [...] Per quanto riguarda l'utilizzo dei computer a scuola si è evidenziato come gli stu-denti che non utilizzano mai questo strumento, ottengono più raramente brutti voti rispetto a quelli che lo usano poche volte all'anno o poche volte al mese [...] Viceversa, le capacità di lettura e di calcolo dei soggetti che stanno al computer più volte a settimana sono decisamente peggiori. Lo stesso vale per l'uso di Internet a scuola».

Ai dati OC-DE-PISA fa riferimento anche il saggio del 2011 di Paolo Ferri, Nativi digitali. Anche qui, suo malgrado, l'autore riconosce che «gli studenti che ottengono i punteggi migliori nell'indagine PISA non sono quelli che in assoluto fanno uso quotidiano delle tecnologie a scuola. I punteggi migliori sono infatti conseguiti da quegli studenti [...] che durante le ore curriculari non fanno un uso troppo frequente di questi strumenti».

Nel 2013 Federico Biagi e Massimo Loi pubblicano un articolo sull'European Journal of Education, basato sui dati OCDE-PISA del 2009, volto a misurare la correlazione tra l'uso delle TIC e i risultati dell'apprendimento. In questo caso, gli autori concludono che la relazione lineare tra frequenza d'uso di Internet e i risultati di apprendimento in lettura e matematica è generalmente negativa.

A settembre 2015 la stessa OCDE pubblica il corposo studio Studenti, Computer e Apprendimento. Effettuare la connessione, sui dati PISA del 2013, volto ad esaminare l'impatto delle TIC sugli apprendimenti degli studenti. Nel capitolo 6 «Come i computer sono correlati alle prestazioni degli studenti», la stessa OCDE ci dice che:

«Nonostante i considerevoli investimenti in computer, connessioni Internet e software per uso didattico, ci sono poche prove concrete che un maggiore uso del computer tra gli studenti porti a punteggi migliori in matematica e in lettura».

In particolare i dati esaminati dall'OCDE mostrano che:

  1. Le risorse investite nelle TIC per l'istruzione non sono legate al miglioramento dei risultati degli studenti in lettura, matematica o scienze
  2. Nei paesi in cui è meno comune per gli studenti utilizzare Internet a scuola per i compiti, le prestazioni degli studenti in lettura sono migliorate più rapidamente rispetto ai paesi in cui tale uso è in media più comune
  3. La relazione tra l'uso del computer a scuola e le prestazioni è illustrata graficamente da una forma di collina, il che suggerisce che l'uso limitato dei computer a scuola può essere migliore del non utilizzarlo affatto, ma i livelli di utilizzo dei computer al di sopra dell'attuale media OCSE sono associati a risultati significativamente inferiori».

Alle medesime conclusioni giunge il successivo studio OCDE dell'ottobre 2015 "Collegati per apprendere? Studenti e nuove tecnologie": «In media, negli ultimi dieci anni, i paesi che hanno fatto investimenti significativi nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nell'istruzione non hanno visto alcun miglioramento notevole nelle prestazioni dei loro studenti in lettura, in matematica e in scienze».

In un saggio del 2016 Philippe Bihouix e Karine Mauvilly mettono in luce «la schizofrenia dell'OCDE».

L'Organizzazione intergovernativa, osservatore ufficiale dell'ONU, nata per promuovere lo sviluppo del libero mercato, riesce incredibilmente a promuovere sempre e comunque l'introduzione delle nuove tecnologie nella scuola, nonostante siano i suoi stessi dati e analisi a confermarne costantemente l'inutilità, quando non la dannosità.

Nel già citato studio OCDE dell'ottobre 2015, ad esempio, si legge «non dobbiamo arrenderci di fronte a questi riscontri [...] Date le incertezze che accompagnano qualsiasi cambiamento, i professionisti dell'istruzione sceglieranno sempre di mantenere lo status quo. Se vogliamo mobilitare il sostegno per una scuola più aperta alle nuove tecnologie, dobbiamo mettere in atto strategie migliori, sia per comunicare la necessità di cambiamento sia per mobilitare il sostegno a suo favore».


Le schizofreniche analisi dell'OCDE appaiono funzionali a promuovere il nuovo mercato digitale, piuttosto che le abilità scolastiche e accademiche delle nuove generazioni.


L'istruzione digitale

A novembre 2017 si tiene il vertice dei capi di Stato e di Governo europei di Goteborg per promuovere l'economia digitale e il digital single market dell'Unione Europea. Sulla scia di questo incontro il 17 gennaio 2018 la Commissione europea promuove un nuovo piano d'azione per l'istruzione digitale con nuove misure per migliorare le competenze digitali dei cittadini europei.

Tra queste misure per l'istruzione figurano, tra le altre, l'introduzione delle T.I.C., dell'Intelligenza Artificiale (I.A.), delle tecnologie per la realtà virtuale e la realtà aumentata, i progetti pilota di learning analytics per raccogliere e analizzare dati sugli studenti.

Le raccomandazioni dell'Unione Europea impongono ai propri Stati membri un programma di digitalizzazione dell'istruzione che sembra voler sacrificare le nuove generazioni sull'altare del nuovo mercato digitale e gli Stati membri accolgono tali raccomandazioni con entusiasmo.

Analizzando l'introduzione del digitale nelle scuole in vari paesi europei è possibile identificare una sorta di copione e di propaganda comune.

Almeno dalla fine degli anni '80 l'informatica ha fatto il suo ingresso nelle scuole, ma è dopo il 2010 che si assiste ad una progressiva ed ubiqua accelerazione della didattica digitale un po' in tutti i paesi. Dopo decenni di sperimentazioni in ordine sparso, i grandi piani per la scuola digitale appaiono quasi contemporaneamente attorno al 2012 accompagnati da grande clamore mediatico.

In tutti i paesi si sventola lo spauracchio del "restare indietro", perché i media e i politici si impegnano a far sentire arretrati i propri sistemi scolastici. Arretrati perché mancano le infrastrutture digitali, perché le scuole non sono fornite di connessione e device, perché gli insegnanti non sono sufficientemente Hi-Tech, perché gli alunni non sono ancora stati alfabetizzati digitalmente.

Se tutti i paesi si percepiscono indietro, viene da chiedersi rispetto a chi si sentano indietro. E ancora, un po' ovunque, la digitalizzazione dell'istruzione viene proposta come strumento per eliminare le disparità socio-economiche.

Contemporaneamente, gli educatori, i pedagogisti, gli psicologi, gli psichiatri e i neuroscienziati che hanno messo in luce gli effetti negativi dei nuovi media digitali sui livelli di apprendimento degli studenti e, più in generale, sulla qualità della loro vita vengono mediaticamente ridicolizzati, accusati di tecnofobia, luddismo e marginalizzati.

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