Vai al contenuto principale Vai al footer

  +39 0547 346317
Assistenza dal Lunedì al Venerdì dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 18, Sabato dalle 8 alle 12

Come si è costruita l'immagine che abbiamo di noi?

Pubblicato 4 anni fa

Leggi un estratto da "Apro la Porta alla mia Nuova Vita" di Claudia Rainville e scopri la Metamedicina delle Emozioni

Per molte persone, "conosci te stesso" equivale a "devi sapere come ti considerava chi, nella tua vita, contava per te".

Infatti l'immagine che abbiamo di noi stessi si è costruita in base a:

  • ciò che dicevano di noi, per esempio affermazioni denigratorie del tipo: «Sei una frana, non vali niente, non farai ma niente di decente nella vita, hai un caratteraccio, nessuno vorrebbe un figlio come te, non ti si può mai dare fiducia» possono averci dato un'immagine negativa di noi stessi. Inversamente, commenti capaci di valorizzarci come: «Sei molto carina, sei intelligente, nella vita andrai lontano, sono fiero di te» hanno potuto darci un'immagine positiva di noi.
  • i paragoni tra noi e gli altri, inclusi quelli che provenivano dai nostri cari, come quando la gente trovava che nostra sorella fosse più carina, nostro fratello più intelligente, i nostri compagni più benestanti... o magari eravamo noi a fare paragoni, trovandoci meno belli, meno intelligenti, oppure più dotati, più capaci...
    E poi c'erano i nostri genitori, o i nonni, che magari ci paragonavano a qualcuno della famiglia: "tuo fratello è più piccolo di te, però già ci riesce"; "tua sorella sì che è seria: a scuola va bene, mentre tu..."; "io, alla tua età, già lavoravo: non era mica un buono a nulla come te!"; "se i proprio come quella disgraziata di tua zia"; "sei come tuo padre: un fannullone", o "come tua madre, una povera vittima"...
    I paragoni potevano però anche essere elogiativi: "sei bravo come tuo zio, che è un gran musicista"; "riesci sempre a cavartela, proprio come tua madre"; "hai lo stesso carisma di tua zia"...
  • le nostre vittorie e sconfitte: una serie di insuccessi può aver opacizzato la nostra immagine, conducendoci a svilirci, mentre i nostri successi possono averci dato un'immagine migliore di noi stessi.

Un'immagine sana di noi stessi non può che aiutarci a costruire la nostra autostima, mentre un'immagine negativa avrà conseguenze sfavorevoli nella nostra vita, e questo fino a quando continueremo ad alimentarla.

Io stessa mi sono rifugiata per armi dietro a una facciata di insensibilità. Quand'ero adolescente, a scuola passavo per una dura: se mi punivano e mi mandavano in corridoio, ci andavo con un sorrisetto indifferente; e se mi davano una bacchettata sulla mano destra, tendevo la sinistra con aria disinvolta.

A tredici anni, una delle mie insegnanti, esasperata da quei miei comportamenti ribelli, trovò l'occasione per incrinare quel mio guscio protettivo.

La sua borsetta era scomparsa e, secondo la sua versione dei fatti, era stata trovata sulla scala della chiesa che io frequentavo. Gli indizi erano contro di me. All'epoca andavo a messa tutte le mattine prima di iniziare le lezioni; e avevo anche deposto cinque dollari canadesi nella piccola banca della scuola, i proventi dei miei lavoretti da baby sitter: precisamente la somma che le era stata rubata dal portafoglio. Non le ci volle nient'altro per convincersi che la colpevole ero io, e mi diede della ladra davanti a tutta la classe.

Come se non fosse abbastanza, dopo la lezione mi trattenne per esprimermi tutta l'esasperazione che aveva accumulato fin dall'inizio dell'anno scolastico. In una vampata di collera mi gettò in faccia: «Oh, tu, tu... tu sei proprio odiosa! I tuoi fratelli e le tue sorelle non ti sopportano, le tue compagne non ti sopportano, nessuno ti sopporta e nessuno ti amerà mai, tanto sei detestabile!».

Sebbene mi avesse colpita nel profondo, mi rifiutai di darle a vedere la mia vulnerabilità, e ancora una volta m'infilai l'armatura protettiva, rispondendo: «La pioggia dei suoi insulti non sfiora neppure l'ombrello della mia indifferenza».

Tuttavia, quell'evento ebbe su di me un effetto devastante: vissi per anni con l'idea di non essere degna d'amore.

Con un'immagine del genere, non potevo davvero credere che qualcuno potesse amarmi: quand'anche il mondo intero mi avesse detto «sei meravigliosa», ne avrei comunque dubitato. Per sopravvivere a questa immagine di me, cercavo di dare agli altri l'immagine della persona perfetta, a cui non si poteva rimproverare nulla: facevo in modo d'essere performante in tutto ciò che intraprendevo, ma nelle relazioni affettive accumulavo gli insuccessi.

Mentre vivevo dietro a questa facciata, qualcuno aveva confidato ad una mia sorella: «Tua sorella è una persona molto sensibile», al che, stupita, mia sorella aveva risposto: «Claudia? Sensibile? Direi piuttosto il contrario». L'amica aveva aggiunto: «Ma no! Ascoltala quando parla: la sua voce vibra... Una voce così, può avercela solo una persona sensibile».

La mia maschera era così ben costruita che la mia stessa famiglia ignorava la sofferenza che avevo dentro.

Un giorno, una collega di lavoro mi regalò una medaglia, dicendomi che quella era la medaglia del "claudismo", perché secondo lei avevo una bella filosofia di vita. Avrei voluto davvero dirle: «Se sapessi come sei lontana dalla verità!», ma non sapevo più come liberarmi della mia facciata per essere me stessa, convinta com'ero che il mio autentico sé fosse detestabile, falso e insopportabile.

Avevo un'immagine di me così negativa da non potermi amare: facevo di tutto per essere amata, ma dubitavo continuamente dei sentimenti altrui nei miei confronti.

Quando fui sulla cinquantina d'anni, però, incontrai quella che, all'epoca di quella sfuriata, era stata la mia migliore amica, e le chiesi se si ricordava della storia del furto della borsetta della nostra professoressa e se questa avesse poi detto alla classe di non rivolgermi più la parola.

«Mi ricordo benissimo della faccenda - rispose - ma non mi ricordo che ci abbia mai detto di non rivolgerti più la parola...»

Ascoltandola, mi resi conto che, effettivamente, mi ero messa in quarantena da sola: mi ero chiusa completamente in me stessa, perché mi vergognavo; e mi ricordai in quel momento che, dopo quell'episodio, avevo persino preso le distanze dalla mia amica.

Alla fine dell'anno scolastico la mia famiglia aveva traslocato, cosa che mi aveva aiutato ad emergere dal senso di vergogna, però non mi fidavo più di nessuno.

Un po' dopo entrai nella scuola superiore dove, orgogliosa dei miei successi, indossai la maschera della superficiale, il che mi valse il soprannome di "snob". La mia stessa famiglia non vedeva altro che "la snob": molto spesso mi giudicava, come d'altronde tutti coloro che non avevano mai visto la vera Claudia.

Come una tartaruga, mi ero fabbricata un carapace per proteggermi dalla cattiveria altrui, perché la mia vera natura era ipersensibile: una minuscola attenzione poteva toccarmi enormemente, e bastava una parola, un atteggiamento, per ferirmi profondamente.

Quella ipersensibilità era, ai miei occhi, una debolezza inaccettabile, che mi impediva di volermi bene. Ancora non sapevo che si trattava in realtà di una grande forza, e tantomeno sapevo come servirmene.

E tu, hai per caso vissuto esperienze che ti hanno indotto a sviluppare un'immagine negativa di te? Prenditi il tempo di ricordarle e di scriverle.


Non ci sono ancora commenti su Come si è costruita l'immagine che abbiamo di noi?

Altri articoli che ti potrebbero interessare

SHAMATHA - Suoni e Frequenze per la Meditazione in Armonie con l’Universo

Pubblicato 1 anno fa. 350 visualizzazioni. 2 commenti.

L'Essenziale - Bhagavad Gita

Pubblicato 1 anno fa. 617 visualizzazioni. 2 commenti.

Guarire con una fiaba

Pubblicato 1 anno fa. 580 visualizzazioni. 1 commenti.