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Come affrontare in modo nuovo le emozioni forti di tuo figlio

Pubblicato 4 anni fa

Leggi un estratto da "Mamma, Non Ti Arrabbiare!" di Jeannine Mik, Sandra Teml-Jetter e scopri come rimanere un genitore amorevole e giusto anche quando tuo figlio ti fa sclerare

Questo libro vuole indicarti delle vie per affrontare in modo nuovo, aperto e consapevole le tue emozioni e quelle di tuo figlio.

La cosa può essere più agevole se osservi tuo figlio e le sue - così come le tue - emozioni da una prospettiva diversa, o semplicemente aguzzi lo sguardo.

Per consentirti di affrontare più facilmente le emozioni forti e il modo in cui si manifestano, vorremmo condividere con te alcuni principi di base che possono aiutarti a mantenere la calma e a guidare tuo figlio in modo adeguato.

Stai leggendo un estratto da...

Indice dei contenuti:

Tuo figlio può provare qualsiasi emozione, e anche tu!

Per uno sviluppo sano e una vita piena è essenziale dare spazio a tutte le emozioni, anche a quelle spiacevoli, ovvero quelle di cui faremmo volentieri a meno come la rabbia, la paura, la tristezza o il disgusto. Ciò vale sia per tuo figlio che per te.

E per quanto ti possa sembrare difficile se non impossibile concederti lo spazio necessario per questo, per quanto anche guidare il proprio figlio sia spesso un'impresa ardua, essere conscia della necessità di tali emozioni può aiutarti a non volerle «spegnere» subito ma affrontarle con un atteggiamento diverso: «Ah, sei tu, rabbia. Resta pure finché non ti ho provata e poi vai per la tua strada».

Lo stesso vale per le emozioni forti di tuo figlio e per i tuoi pensieri al riguardo: voi due potete provare tutte le emozioni che volete. L'unica questione decisiva per te è la tua capacità di gestirle, da persona adulta.

Quando si parla di accompagnare le emozioni del bambino, spesso le mamme ci chiedono: «Sì, ma come? Come posso accompagnare mio figlio nelle sue emozioni? Come funziona? Cosa devo fare?»

In realtà non si tratta tanto dì fare qualcosa, quanto di guidarlo in modo amorevole e attento. Come genitori, molte volte dobbiamo semplicemente essere per i nostri figli.

Questo concetto lo troviamo espresso con grande incisività nel motto inglese:


Stop doing, start being!


Se ti piace, approfondiscilo in chiave personale.

Che cosa vuol dire per te? Che cosa faresti di diverso? Quando fai e quando sei? E quando invece le due cose avvengono in contemporanea? In quali situazioni hai la sensazione di dover fare assolutamente qualcosa in quel preciso momento? Quando tuo figlio fa il diavolo a quattro? Quando si arrabbia e strilla come un forsennato? Quando piange in modo inconsolabile?

Magari i seguenti spunti possono aiutarti nelle tue riflessioni: accompagnare non significa... 

  • minimizzare
  • ingigantire
  • condannare
  • giudicare
  • stordire a suon di chiacchiere
  • andare in iperventilazione
  • distrarre
  • scappare
  • irrigidirsi
  • allontanare.

Sii semplicemente lì. Con tuo figlio e per tuo figlio, quando ha bisogno di te. Magari puoi abbracciarlo o accarezzarlo per dargli amore e protezione.

Guardalo e respira profondamente. Guarda tuo figlio che esprime le sue emozioni e concedi anche a queste ultime di essere. Non combattere quello che è in te o in tuo figlio.

Le emozioni spiacevoli che proviamo passano come una nube nera che si allontana, e poi l'aria è fresca e limpida. Tuo figlio può riprendere a respirare, come tu, idealmente, dovresti aver fatto per tutto il tempo. (Sulla respirazione e su come inserirla consapevolmente nella vita quotidiana per gestire le emozioni con maggiore facilità torneremo presto.)

Tuo figlio ha sempre un buon motivo per esprimere le sue emozioni!

Anche se questo motivo non riesci a vederlo né a capirlo, non è il caso di dare giudizi.


Le emozioni non hanno bisogno della nostra approvazione per essere fondate. Se ci sono, ci sono.


Naturalmente è utile sapere qual è la causa precisa della rabbia di nostro figlio. A volte lo capiamo, e se non lo capiamo, probabilmente avremo presto un'altra occasione per osservare e scoprirlo. Può essere il cucchiaio del colore «sbagliato» o la vita quotidiana troppo pressante, o anche una ragione più profonda.

Se i conflitti famigliari si ripetono in continuazione o tuo figlio manifesta sempre determinati modelli di comportamento, è possibile che i motivi non abbiano a che fare con la situazione presente ma con il clima esistente all'interno della famiglia.

I bambini sono «creature sensibili». Percepiscono anche le condizioni e le dinamiche dei rapporti che non affrontiamo apertamente o di cui magari non siamo nemmeno consapevoli. Comprese quelle che non vogliamo ammettere.

Così, nelle famiglie in crisi, i figli spesso fanno da «condizionatore» o da «calorifero» a seconda del caso.

Se il clima famigliare è gelido e i genitori sfuggono ai conflitti (che ci sono tra di loro come coppia), è possibile che uno dei figli si senta «chiamato» a portare attrito e calore nella famiglia. Inconsciamente, s'intende. Questo bambino diventa allora un «bambino problematico» e aiuta i genitori finalmente a scaricarsi: la mamma, per esempio, ha in continuazione conflitti esagerati col figlio durante i quali urla e inveisce rabbiosamente. La temperatura sale, il gelo si smolla, e il clima famigliare si appiana, anche se in modo decisamente insano e dannoso.

Finché i genitori non affrontano i veri problemi (come la freddezza tra le loro famiglie, la fine di un matrimonio o cose del genere), il bambino si sacrificherà per ottenere questo infelice «appianamento» differito. Lo fa nella segreta speranza che qualcosa possa cambiare.

Nella crisi che ne deriva, tuttavia, la famiglia trova in genere una distrazione dai problemi ben più seri che ha.

Non sentirti in dovere di fare sempre felice tuo figlio!

Sarebbe bello se potessimo essere sempre felici e in armonia col mondo, non trovi? Ma non è possibile.


Tuo figlio ha il diritto di essere triste. Convincertene ti dà una forza incredibile.


«Va tutto bene» ti dici. «Non devo stressarmi e muovere mari e monti per farti smettere di piangere! È sufficiente che sia qui a consolarti quando hai bisogno di me.»

Di nuovo, non devi/are niente, basta che tu sia lì per lui.

Nelle situazioni difficili, è già molto!

Tuo figlio non fa niente contro di te; tutto quello che fa è per sé!

L'idea del piccolo tiranno che mette sotto i piedi tutti quelli che non gli fanno capire subito «come stanno le cose», assoggettandoli, purtroppo è dura a morire.

Noi qui vogliamo prenderne le distanze con decisione. Questa visione non ha niente a che fare con la natura dei bambini e rende impossibile guidarli con amore, attenzione e rispetto.

I bambini sono esseri molto sociali, indipendenti da noi, che hanno bisogno di noi per ricevere sicurezza, cure e orientamento.

Non abbiamo la scienza infusa!

In nessun'altra circostanza come nella relazione genitore-figlio abbiamo la possibilità di osservare cosa succede quando una persona è convinta di saperne più di un'altra.

Eppure i bambini sono molto competenti - non dobbiamo «educarli» a questo. Certo, hanno conoscenze e abilità diverse dalle nostre. Nel corso della nostra lunga vita, noi abbiamo accumulato più esperienza. Se però trasformiamo i nostri figli in oggetti del nostro insegnamento, per esempio spiegando loro in continuazione cosa si deve fare e cosa non si deve fare, ignoriamo il fatto che i bambini imparano a comportarsi attraverso l'imitazione.

«Walk what you talk!» Ovvero; dai il buon esempio, invece di predicare.

Occorre capire che nostro figlio è una persona con un'«anima pronta». E noi dobbiamo instaurare con lui una relazione per conoscerlo e accompagnarlo nella vita nel ruolo di una guida con più esperienza.

In questo ci aiutano enormemente la modestia e la consapevolezza che noi genitori non sappiamo tutto, anzi, abbiamo ancora molto da imparare.

È solo una cosa momentanea!

A differenza per esempio dei neonati, che non sanno se la mamma tornerà quando vengono lasciati soli, noi adulti sappiamo che la rabbia dei nostri figli è solo uno stato momentaneo. Non dura per sempre.

Ricordatelo: si tratta di un breve lasso di tempo in cui devi riuscire a cavalcare l'onda emotiva che cresce dentro di te. È «solo» tuo figlio che ti sta facendo impazzire. La tua vita non ne è minacciata.

Allarga lo sguardo e osserva il quadro generale! Non è facile, ma è possibile.

Tuo figlio non può fare a meno di comportarsi così!

Quando i bambini si buttano per terra e strillano o si mettono a scalciare e a tirare pugni a destra e a manca, provano sofferenza. Sentono traboccare le emozioni e vi fanno fronte con la strategia che hanno a disposizione in quel momento.

Dobbiamo capire che in situazioni del genere i bambini si trovano in uno stato d'emergenza e non scelgono di comportarsi così per divertimento o per dispetto.

Nel suo libro Bambini con le spine, Jesper Juul descrive tre modi in cui i genitori possono reagire quando il loro bambino, per esempio, li picchia:

  • Prima possibilità. La mamma dice: «Se fai così, la mamma è triste!» Secondo Juul, questa è la reazione egoistica. L'adulto in tal modo scarica la responsabilità della propria condizione sul bambino, che viene così screditato e si sente terribilmente male.
  • Seconda possibilità. La mamma dice al figlio che non vuole che si comporti così, mostrandogli i propri «confini». È una cosa che può fare. Bisogna però considerare il fatto che in tal modo il bambino impara qualcosa sui confini della mamma, ma niente su di sé.
  • Terza possibilità. La mamma riesce ad accompagnare il bambino anche in questa circostanza fornendogli le parole adatte a ciò che sta succedendo dentro di lui. Per esempio: «Sei arrabbiato, triste, irritato...»'"

In queste situazioni c'è qualcosa che il bambino deve buttare fuori perché tutto si risistemi. E lo fa uscire, che lo vogliamo o no.

Se sai che tuo figlio, a causa del suo sviluppo cerebrale, non può ancora evitare di comportarsi così, questo potrebbe aiutarti a reagire in modo adeguato. Gli fornirai le parole adatte e lo accompagnerai? O vuoi scaricare su di lui la responsabilità della tua condizione?

Guidalo amorevolmente e sii sempre d'esempio!

Non partire dal presupposto che tuo figlio debba imparare determinate cose. Pensa piuttosto che le imparerà da sé, se lo guidi amorevolmente e vivi in prima persona i valori che vuoi trasmettergli.

Probabilmente, quando sei rilassata e tutto «fila liscio» non hai problemi a lasciar «essere» tuo figlio, rinnegando l'educazione che magari hai ricevuto anche tu, fatta di esercizio del potere arbitrario, minacce, ricatti e punizioni.

È del tutto umano, però, che quando sei sotto stress ti venga la tentazione di ricorrere a questi metodi educativi tradizionali. Che in un momento di insicurezza o di pressione ti frulli il pensiero «Mio figlio deve pur imparare che...» e tu agisca spinta dal timore di trascurare qualcosa nell'educazione, di fare passi falsi, trasformando tuo figlio in un tiranno perfido e incapace di relazionarsi con gli altri.

Metti a tacere queste voci: l'amore, la comprensione e la riflessione su di sé non creano nessun tiranno. Ad avviare un bambino su quella china sono semmai la paura delle persone di cui ha più bisogno e l'obbedienza estorta con la minaccia di punizioni.


La violenza rimane impressa.


Dobbiamo vedere l'educazione come nient'altro che amore ed esempio, vivere nella fiducia e instaurare relazioni in modo attivo e consapevole!

Quando il gioco si fa troppo duro, tira il freno!

Se hai la sensazione di non riuscire più a sopportare gli strilli, la rabbia e tutte le emozioni di tuo figlio, dillo. Fai qualcosa.

Sopportando e subendo non si risolve niente. Fai un passo indietro, o anche dieci.

Preoccupati solo di te stessa! Non pensare solo alla sicurezza di tuo figlio, ma anche alla tua.

Non devi per forza riuscirci da sola!

Se la situazione diventa insostenibile e hai paura di fare qualcosa a tuo figlio o a te stessa, come ultima risorsa puoi uscire dalla stanza o chiuderti in bagno.

Chiedi aiuto, se possibile subito. Se non riesci a calmarti da sola, chiama qualcuno che possa prendere in mano temporaneamente la situazione. In caso di emergenza, puoi far intervenire anche tua suocera, che ha idee così diverse dalle tue sull'educazione.

Va bene tutto, pur di evitare il peggio. O magari è sufficiente telefonare a un amica.

Quando ti trovi di fronte a situazioni eccezionali di questo tipo, ti consigliamo di farti seguire per un po' di tempo da una persona esperta in materia.

Puoi rivolgerti a un(a) counselor famigliare che segue i principi di Jesper Juul, a un operatore o un'operatrice del già citato «pronto soccorso emozionale» di Thomas Harms, o anche a uno/a psicoterapeuta.

Chiedere aiuto non è una cosa di cui vergognarsi ma un segno di coraggio e di risolutezza!

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