Ciò che sono in grado di comprendere dipende dallo stato di coscienza in cui mi trovo
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3 anni fa
Leggi un capitolo del libro "Senza io senza Dio" di Salvatore Brizzi
Tutto ciò che posso davvero osservare se guardo me stesso è sempre qualcosa che non sono io.
Tuttavia, questo accade unicamente se mi osservo in uno stato di coscienza ordinario, attraverso il pensiero superficiale.
La verità parziale e il pensiero superficiale
Tutto ciò che osservo con questo genere di pensiero non corrisponde a verità, o meglio, corrisponde a una verità parziale, che non è qualcosa di oggettivo, bensì il risultato dell'utilizzo di questo mezzo di indagine molto limitato. In virtù del pensiero superficiale io posso osservare unicamente oggetti che si trovano fuori di me.
Anche i pensieri e gli stati d'animo sono oggetti che si collocano fuori di me, se considero come "me" ciò che io veramente sono e non anche tutti i fenomeni che avvengono dentro il mio apparato psicofisico.
A causa del pensiero calcolante, io sono costretto a indagare me stesso cercandomi come un qualsiasi altro oggetto che si trova fuori di me. In conclusione, utilizzando questo primitivo metodo di indagine, non posso mai osservare chi osserva, non posso cioè scoprire cos'è quella misteriosa entità cosciente che osserva tutto e che chiamo "io".
I limiti del pensiero astratto
Nemmeno il pensiero astratto ci viene in aiuto. Lo state già utilizzando per comprendere ciò che leggete in questo momento e lo potete utilizzare per creare nuove teorie riguardo l'esistenza, ma, in fondo, il modo di operare del pensiero astratto e lo stesso del pensiero calcolante: dividere la realtà tra soggetto che percepisce e oggetto che è percepito.
Esso è solo più articolato, ma non è radicalmente differente dal pensiero superficiale in quanto a modo di operare.
lo sono cosciente dell'esistenza di qualcosa, ma tutto ciò di cui posso essere cosciente... Certamente non sono io.
Se riflettiamo sufficientemente a lungo su questa constatazione, è possibile che entriamo in uno stato di coscienza non ordinario e iniziamo a pensare secondo il pensiero contemplativo.
Diventa allora possibile che veniamo colti da un'intuizione: realizziamo che non siamo un "io", bensì solo una sensazione di esserci piuttosto impersonale. Se per "io" intendiamo un individuo, cioè una persona ben definita... Beh... non è ciò che siamo.
Se noi siamo ciò che rimane dopo che abbiamo escluso tutti i possibili oggetti che appaiono nella nostra coscienza, allora non possiamo essere definiti come un'entità reale percepibile nello spaziotempo, perché questa sarebbe ancora un oggetto della coscienza. Siamo qualcosa d'altro.
Qualcosa di veramente strano! Siamo qualcosa che può essere definito solo negativamente, cioè escludendo tutto quello che non siamo.
Sicuramente non siamo quello che possiamo percepire, sia esso all'interno o all'esterno del nostro apparato psicofisico. Escludendo tutto quello di cui possiamo essere coscienti, ciò che resta e l'auto-coscienza stessa, la sensazione di esistere.
Se vogliamo, per comodità, possiamo chiamare "io" questa sensazione di esserci, ricordandoci però che si tratta di qualcosa di impersonale, qualcosa che non ha una personalità con un carattere, ma risulta essere la stessa in chiunque si prenda la briga di indagarla.
La realizzazione della verità
Ribadisco che è possibile giungere a questa realizzazione, perché e una realizzazione, non una teoria, unicamente grazie all'intervento del pensiero intuitivo/contemplativo. Questo pensiero corrisponde a uno stato alterato di coscienza, il quale non può essere ottenuto pensando solo per qualche secondo al problema della coscienza, magari durante la lettura di un libro, per poi dichiararsi d'accordo oppure no con quanto dice l'autore.
Se vogliamo capire cosa siamo e quale differenza intercorre fra noi e i pensieri che osserviamo in noi, dobbiamo dedicarci a lungo, con impegno e concentrazione, all'osservazione della nostra attività cosciente.
"Osservazione" non è però il termine più adatto, perché, come abbiamo visto, tutto ciò che posso osservare e ancora un oggetto separato da me e quindi non posso essere io. Anche se non sono un appassionato di filosofie orientali, devo ammettere che il termine meditare è molto più adatto a descrivere l'attività che conduce alla realizzazione della verità, rispetto a termini come pensare, ragionare o elucubrare.
Qui non si tratta di riflettere sulla coscienza, bensì di un vero e proprio, progressivo, assorbimento in uno stato che supera la dualità soggetto/oggetto.
È più un dimorare nella sensazione di esistere, un riposare nella sensazione del proprio esserci. Qualcosa che concerne una differente percezione di sé, non una teoria filosofica. Qualcosa che risulta quindi impossibile da tradurre secondo i termini della comunicazione convenzionale.
Cosa sono io?
La domanda su cui meditare tutta la vita è sempre la stessa: cosa sono io, o meglio, chi se lo chiede?
Le altre domande, pur essendo altrettanto valide nel condurci alla verità, sono tutte gerarchicamente inferiori alla prima.
Se non ho compreso cosa sono, non ha senso che io mi chieda cosa è l'universo, di cosa è fatta la materia, cosa significa esistere, perché c'è qualcosa anziché il nulla.
In ogni caso, la risposta a tutte queste domande è uno stato di coscienza contemplativo che coincide con la verità.
Come si giunge a tale nuovo stato di coscienza?
Dobbiamo ricordarci di dimorare nel senso di esserci. Tornare al nostro senso di esistere ogni volta che ce ne ricordiamo. Dobbiamo ricordarci di esserci ogniqualvolta ci è possibile.
Questo è il vero senso del meditare sulla domanda: cosa sono io? Una risposta intellettuale a questa domanda non ci è di alcuna utilità. Heidegger parlava di "pensiero meditante" contrapposto al "pensiero calcolante".
«Io sono pura coscienza impersonale» sarebbe la risposta intellettuale più vicina alla realtà dei fatti.
E adesso che conoscete la risposta, cosa è cambiato nella vostra vita? I filosofi, orientali od occidentali che fossero, che nel corso della storia sono giunti a tale risposta, se non l'hanno anche realizzata, in che modo sono stati differenti dagli altri esseri umani?
Quando invece hai un'intuizione della risposta, anche se non diviene uno stato di coscienza permanente, la tua vita viene cambiata per sempre.
Sono molti i filosofi occidentali che hanno ricevuto, questo è il termine più adatto, poiché si tratta di una Grazia, almeno un'intuizione della verità.
Molti di loro hanno compreso solo parzialmente ciò che hanno ricevuto, inoltre hanno poi mischiato questi lampi di verità con le loro elucubrazioni mentali e le convinzioni personali.
Il fatto di esprimersi in termini filosofici ha reso impossibile la divulgazione al grande pubblico. Il dover tradurre in un linguaggio intellettuale delle intuizioni che oltrepassano la dicotomia soggetto/oggetto, ha talvolta reso difficile la comprensione anche da parte dei loro stessi colleghi (tre esempi su tutti: Kant, Wittgenstein e Heidegger).
Per questo motivo i guru orientali sono più comprensibili dei filosofi occidentali, i filosofi dell'antichità più comprensibili di quelli moderni e gli scienziati più comprensibili dei filosofi.
Personalmente, nel mio cammino verso la realizzazione della verità, ho trovato più utile la lettura di David Bohm, Erwin Schrodinger, Gregory Bateson e Roger Penrose rispetto alla maggior parte dei guru orientali.
In realtà, non mi piace quando la scienza prova a usurpare la filosofia e per mezzo della ricerca tenta di rispondere a domande che se la ricerca fosse condotta con serietà, non dovrebbe nemmeno porsi. Non mi piace nemmeno la moderna tendenza della filosofia a genuflettersi di fronte ai risultati scientifici.
Un filosofo che attende le ultime scoperte nel campo delle neuroscienze per "aggiustare" le sue teorie, è come un mendicante che non si accorge di stare seduto su una scatola piena di monete d'oro. Tuttavia, i fisici che ho appena citato, e ce ne sono anche altri, possiedono la capacità di accedere al pensiero intuitivo, ed è questo che fa la differenza, non il campo di studi a cui un ricercatore si dedica.
Se ricerchi la verità con costanza, un'intuizione ti può giungere anche mentre stai piegato sul tavolo d'un laboratorio a sezionare il cervello di qualcuno per capire dove sta la sua coscienza oppure mentre trascrivi i risultati di una ricerca condotta al CERN di Ginevra!
Viceversa, puoi studiare filosofia tutta la vita e se non ti è dato di accedere al pensiero intuitivo, restare sempre nell'ambito della masturbazione mentale.