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Chiedimi se sono felice

Pubblicato 1 anno fa

Come sviluppare la felicità eudaimonica, e vivere davvero felici e contenti

Sei felice? Sono felice? Quante volte ci siamo sentiti porre questa domanda o l’abbiamo fatta a noi stessi. La risposta sembra essere sempre legata alla salute, al lavoro, alla disponibilità economica, alle nostre relazioni di coppia, alla famiglia, alle vacanze o a qualche bene appena acquistato. 

Ma di che tipo di felicità stiamo parlando? I più grandi maestri e i più antichi saperi, da Oriente a Occidente, si sono a lungo interrogati sulla natura della felicità.

Da qui due linee di pensiero: da un lato si colloca la felicità edonica, derivante dalla massimizzazione del piacere e della soddisfazione personale, quindi basata sull’avere, sul fare e sull’apparire; dall’altro, invece, la felicità eudaimonica, data dall’aderenza ai valori più nobili e dalla realizzazione del proprio autentico potenziale come essere umano, quindi fondata sulla propria elezione personale.

Indice dei contenuti:

La vera felicità non è quella dell’avere

Circa due secoli fa, alla fine degli anni Novanta dell’Ottocento, come ho avuto modo di approfondire nel libro scritto insieme alla professoressa di Harvard Immaculata De Vivo, Biologia della Gentilezza (Mondadori, 2020), le scienze psicologiche hanno indagato soprattutto il filone dell’edonismo, identificando nella soddisfazione personale e nel benessere soggettivo il principale indice per valutare e misurare la felicità, fattore che ha influito notevolmente sulla percezione collettiva e sul comportamento. 

Da qui è nato uno dei più grandi paradossi dell’era moderna: la felicità edonica è, di fatto, uno stato di insoddisfazione cronica, volto al raggiungimento di un piacere dopo l’altro e a una fame di fare e di avere insaziabile. Tuttavia, stiamo imparando a nostre spese – e la scienza lo conferma – che la felicità degna di attenzione è, invece, quella eudaimonica. 

La visione degli antichi greci in merito a questa tipologia si può riassumere nell’espressione “essere nati sotto una buona stella”; secondo Aristotele, era addirittura il più alto di tutti i beni ottenibili con le azioni umane attraverso l’espressione dei valori e delle virtù dell’anima, identificate in virtù del pensiero e virtù del carattere. 

La prima categoria di virtù viene appresa con il tempo, grazie all’insegnamento e all’esperienza, mentre la seconda deriva da abitudini e scelte di vita. Entrambe, comunque, spingono l’individuo verso ciò che è migliore o altamente perfetto, secondo un principio dinamico di aspirazione continua al raggiungimento di obiettivi e valori positivi nella propria vita. 

In questo modello di felicità, dunque, il piacere deriva dall’allenare i propri talenti, le proprie capacità e virtù, e aumenta tanto più la capacità viene realizzata o maggiore è la complessità. In tempi recenti, la ricerca sulla felicità eudaimonica ha visto una nuova fioritura grazie agli studi di Ryff e Singer, che hanno dato una nuova definizione del benessere come «sforzo in direzione della perfezione rappresentata dalla realizzazione del proprio vero potenziale» (Ryff, 1995). 

Con un approccio multidimensionale si toccano sei aspetti dello sviluppo dell’essere umano – autonomia, crescita personale, auto-accettazione, scopo della vita, padronanza e relazioni positive con gli altri – che spostano l’attenzione da un benessere focalizzato sulla ricerca del piacere a una felicità intesa in senso più ampio, sia come realizzazione delle potenzialità individuali, sia come integrazione con il mondo intorno a noi. 

Come distinguere la vera felicità dal piacere

Uno studio sociale famosissimo chiamato il “Test del Marshmallow”, risalente agli anni Sessanta del secolo scorso ad opera di un giovane professore di psicologia di Stanford di nome Walter Mischel, ha dimostrato come gran parte di noi sia attratta da una gratificazione immediata ma temporanea (il piacere), mentre chi sa aspettare e allena autocontrollo, pazienza, determinazione, ascolto di sé e una reale consapevolezza, raggiunga una felicità più profonda e duratura grazie a una più alta realizzazione personale. 

In buona sostanza, il “tutto e subito” a cui ci ha abituati la società consumistica odierna si contrappone alla capacità di esercitare una scelta consapevole che attinge alle immense potenzialità di cui ciascuno di noi è dotato. 

Inoltre, la scienza ci dice anche che a livello biologico il benessere eudaimonico, al contrario di quello edonico, è associato a una significativa riduzione dell’espressione dei geni legati allo stress, con la conseguenza di una migliore risposta immunitaria e una ridotta infiammazione a livello cellulare, oltre a una maggiore sensazione di benessere. 

Quindi, il piacere porta a una felicità a breve termine, che comporta nel lungo periodo conseguenze negative per la salute, mentre il corpo non mente e collega in modo diretto la ricerca dello scopo della vita con la qualità e la lunghezza della vita stessa, collocando la via eudaimonica al primo posto nelle strategie evolutive convenienti. 

La terza via alla felicità

Ma se affermassi che esiste anche una terza via alla felicità? Possiamo realmente vivere in una condizione di felicità indipendentemente dagli accadimenti esterni e a prescindere da ciò che scegliamo di perseguire, fare e ottenere nella vita? Possiamo, certamente, ma solo quando ci rendiamo conto che in questo preciso istante, in questo presente, siamo vivi. 

La felicità, quindi, è in grado di manifestarsi come stato naturale dell’essere che ha piena consapevolezza di esistere: è la felicità esistenziale

È incondizionata e si esprime nelle infinite possibilità di questo presente che si schiude intorno a noi: il miracolo della vita. 

Per questo dovremmo impegnarci a raggiungere questo tipo di felicità, ricordandoci di celebrare a ogni respiro, in ogni attimo questo miracolo, con la stessa intensità dell’ultimo istante ancora concesso. Se smettiamo di ricercare, ottenere e lottare per arrivare a qualcosa, e ci arrendiamo alla natura stessa del nostro essere umani, possiamo manifestare la felicità esistenziale insita in noi. Qui sta la vera rivoluzione: siamo condannati alla felicità, dobbiamo solo arrenderci ad essa.


Ultimi commenti su Chiedimi se sono felice

Recensioni dei clienti

Gilia M.

Recensione del 14/05/2025

Valutazione: 5 / 5

Data di acquisto: 14/05/2025

Credo essenzialmente nella felicità esistenziale e spero di averla inculcata un minimo ai miei figli fin da piccoli mentre girando il mondo facevo vedere loro la differenza tra il non avere nulla, come in molte delle popolazioni che abbiamo visitato, e quello che abbiamo in "occidente" spiegando loro che non sono le cose materiali che ci rendono felici perché quei bambini che non avevano niente erano felici lo stesso.

Lia M.

Recensione del 08/12/2024

Valutazione: 5 / 5

Data di acquisto: 08/12/2024

Che bella lettura. Certe volte erroneamente si crede di essere felici, quando invece è solo un'illusione. Imparare a distinguere la vera felicità da quella fittizia è molto importante

Baristo T.

Recensione del 27/09/2024

Valutazione: 5 / 5

Data di acquisto: 27/09/2024

Credo che la felicità sia personale, se una persona è felice per cose materiali in modo duraturo nella sua vita resta pur sempre felice esattamente come chi è felice per valori più nobili, a un certo punto è solo una questione etica ma non c’è differenza tra le due felicità. Invece c’è differenza tra piacere e felicità, sono due cose diverse e di durata nettamente diversa. Inoltre, trovo che molte persone siano “felici nella loro infelicità”. Se invece si vuole fare qualcosa di buono per se stessi è giusto perseguire il bene riponendolo nella felicità.

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